Più di sei occupati su dieci si sentono insicuri. Sono soprattutto i più deboli, ma non sono affatto salvi anche quelli che stanno nel mezzo della scala gerarchica delle imprese. E non hanno più solide certezze, anche quelli che stanno un poco più su. La preoccupazione cominicia a contagiare anche impiegati, liberi professionisti e quadri. I risultati sono quelli della ricerca realizzata, attraverso interviste via web, dalla Ispo di Renato Mannehimer per Openjobmetis.
Tra preoccupazioni e ansie. In questi anni, un significativo segmento di lavoratori ha visto peggiorare le proprie condizioni e rispetto a cinque anni, quasi quattro lavoratori su dieci ammettono di sentirsi meno sicuri di quanto fossero prima che iniziasse la crisi. Un grande spicchio di società che si aggiunge a un altro 25 per cento di italiani che già cinque anni camminava quotidianamente sul filo della precarietà.
Anche quadri e funzionari. Tante sono le figure coinvolte. Di fronte alla richiesta di definire il proprio impiego in termini di stabilità-instabilità, solo il 17 per cento degli autonomi ha utilizzato l’aggettivo “sicuro”. Gli operai e i commessi mostrano una percentuale solo di poco superiore (il 23 per cento) così come anche i freelance (il27 per cento). Sono solo il 37 per cento, gli impiegati che si sentono sicuri sul posto di lavoro. Non si sentono poi così tanto tranquilli, neppure i liberi professionisti e quelli che si trovano nelle posizioni di rincalzo dietro ai manager e ai dirigenti aziendali (vedi tabella).
Assunzioni con il conta gocce. D’altronde non c’è da stare sereni. Nel quarto trimestre 2012 il numero degli occupati (dati grezzi Istat) è diminuito di altre 148mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. L’occupazione a tempo pieno continua a diminuire: 441 mila in meno, soprattutto tra i dipendenti a carattere permanente. Il tasso di disoccupazione trimestrale è dell’11,6 per cento, in crescita di due punti percentuali rispetto all’anno precedente. Da qui alla fine di giugno, poi, solo il 6 per cento delle imprese pianifica qualche movimento in entrate delle imprese (vedi tabella) mentre quasi il triplo pensa a altri tagli e il 77 per cento delle realtà produttivi preferisce rimanere a guardare quel che succede.
Generazioni a rischio. A temere di più sono i giovani, ma non si salva nessuno. Per gli under 25 la situazione è più accentuata e l’incertezza, dice l’indagine Ipso, coinvolge quasi sette ragazzi su dieci. Ma prova lo steso disagio anche chi è nato tra il 1978 e il 1983. Così come gli over 55. Solo chi appartiene alla fascia d’età compresa tra 45 e 54 anni è relativamente più tranquillo. Anche in questo caso, però l’insicurezza coinvolge il 57 per cento del campione.
Il cuore della crisi. Gli italiani sanno che è il lavoro il vero problema del Paese e che è necessario correre ai ripari al più presto. Nell’indagine realizzata da Eurobarometro, sono quelli che hanno indicato la disoccupazione come il più grande problema che il Paese si trova a dover affrontare. Più della stagnazione economica e dell’eccessiva tassazione. E quasi sei italiani su dieci pensa che l’impatto “delle crisi economiche” sul mercato del lavoro non ha ancora toccato il suo picco e che il peggio deve ancora venire.
I tagli agli stipendi. Tra le preoccupazioni più ricorrenti c’è quella di essere licenziati, ma sono percepiti come elementi destabilizzanti anche il timore di avere un’ulteriore riduzione di stipendio, non trovare un lavoro continuativo nel tempo e dover ridurre le proprie ambizioni. Molti hanno anche indicato di avere la sensazione di dover fare la gavetta per sempre, di non riuscire a trovare il lavoro che piacere e di andare in cassa integrazione.
Sacrifici e investimenti. Non appare difficile comprendere che molti si siano trovati a dover fare qualcosa per rimanere in qualche modo competitivi o non vedersi sfuggire di mano quel che hanno. La metà delle persone intervistate ha fatto più ore di lavoro e un terzo ha accettato condizioni più sfavorevoli (tra gli under 35 si sale al 40 per cento). Un terzo ha accresciuto le proprie competenze studiando una lingua o aggiornandosi nell’ambito delle competenze della propria professione (soprattutto le donne). In minor numero quelli che conseguono un nuovo titolo di studio.