Da Repubblica.it – Di Maria Novella De Luca – Allarme dei centri antiviolenza: la “reclusione” domestica contro il virus fa esplodere i conflitti
Ci sono famiglie che in questi giorni sono diventate prigioni. Clausure di sopraffazione domestica. In cui le donne maltrattate, spesso insieme ai loro bambini, nella reclusione inevitabile anti-Coronavirus, si sono ritrovate senza più vie di fuga nelle mani dei loro mariti e compagni violenti. Donne che fino a qualche settimana avrebbero potuto chiedere aiuto, ma oggi, controllate a vista, non possono più nemmeno accendere il cellulare. Negli ultimi quindici giorni, le chiamate al numero 1522, centralino antistalking della Presidenza del Consiglio gestito dalla associazione “Telefono Rosa”, si sono dimezzate. Meno cinquanta per cento rispetto allo stesso periodo di un anno fa. E di circa il cinquanta per cento sono diminuite le denunce di violenza presentate anche alle forze dell’ordine.
Un silenzio preoccupante e foriero di tragedie, dicono i centri antiviolenza, emergenza nell’emergenza. A cui si somma la crisi sanitaria delle case rifugio che non possono più accogliere le donne in fuga. Gabriella Carnieri Moscatelli è la presidente di “Telefono Rosa. «Le donne riescono a chiedere aiuto quando i loro carcerieri non ci sono. Quando il marito violento è al lavoro, quando escono, quando vanno a fare la spesa. Oggi si ritrovano prigioniere, senza più nemmeno uno scampolo di libertà. Le poche che riescono a contattarci ci raccontano di situazioni domestiche esasperate, con violenze fisiche e psicologiche». «Il nostro telefono è muto dal 9 marzo – denuncia Cinzia Marroccoli, responsabile del centro antiviolenza “Telefono donna” di Potenza – ma non è una buona notizia. Vuol dire che le donne sono così controllate e vessate da non poter nemmeno respirare. Alcune, già seguite da noi, che vivono condizioni di maltrattamento, adesso non rispondono più al telefono. Hanno paura”.
Perché la prima persecuzione a cui lo stalker (che sia marito, compagno, fidanzato) sottopone la sua vittima, è il controllo ossessivo. Il cellulare, i due passi fuori casa, addirittura il tempo che la donna passa in bagno e potrebbe da lì chiedere aiuto. «Chiamateci quando andate a buttare l’immondizia, chiamateci quando riuscite ad andare in farmacia, quando potete nascondervi, noi ci siamo, vi aiuteremo», ripete accorata Cinzia Marroccoli.
Ma non c’è soltanto il problema della reclusione domestica. Molte case rifugio oggi, per le nuove regole sanitarie, non riescono più ad accogliere le donne. «E nelle nostre case – denunciano i centri della rete “Dire” che ieri hanno inviato una lettera aperta a Governo e Parlamento – mancano tutti i presidi sanitari, dalle mascherine ai disinfettanti. Ma soprattutto abbiamo bisogno di fondi per poter nascondere le donne che chiedono aiuto, potendole tenere separate le une dalle altre, per evitare i contagi. Fondi per affittare strutture sicure e protette». Nel decreto “Cura Italia” dei centri antiviolenza non si fa menzione. Anche se la ministra della Famiglia Bonetti, anticipando, ma per il post emergenza, un fondo straordinario oltre ai 20 milioni già stanziati per il 2020 per i centri antiviolenza, ha poi annunciato ieri l’arrivo di un milione di euro, per reperire nuovi alloggi, destinati alle donne che devono essere messe sotto protezione.
«Denunciate, denunciate, i centri sono aperti, chiamate il 1522» è l’appello di Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato. «Ci vogliono misure concrete e urgenti. Migliorare l’accesso al numero 1522, prima di tutto, oggi si può soltanto telefonare o mandare una mail, dovrà essere possibile inviare anche un sms o un whatsApp, in un contatto più stretto con le Forze dell’Ordine. Quindi creare un rete di medici che supportino i centri. ai quali bisogna far arrivare il materiale sanitario». E fondi per nuove strutture, aggiunge Valente, dove poter trasferire le donne in pericolo. Oppure, al contrario, i maschi maltrattanti, come ha fatto, ad esempio, la procura di Trento, lasciando la casa familiare a moglie e figli. Una misura già prevista dalla Convenzione di Istanbul.
Ma a tutto questo, nell’isolamento imposto dal Coronavirus, oltre al pericolo di nuove stragi familiari, si aggiunge la necessità di ripensare, per le donne protette, altre modalità di denunciare i partner violenti. E’ quello che chiede l’associazione “Differenza donna”. «Rivedere i tempi previsti dal “Codice Rosso”, poter inviare le denunce anche tramite posta certificata». Insomma bisogna agire. In questi mesi bui, oltre ai morti del Covid 19, il rischio è che si allunghi, purtroppo, l’elenco dei femminicidi.