Il nostro “viaggio” attraverso la realtà delle filiali emiliano-romagnole di MPS, tocca oggi una tappa di particolare interesse: la linea affluent.
Si tratta del segmento operativo che, in qualche modo, somma ed enfatizza, potenzialità, rischi, limiti e difetti del “fare banca” oggi.
La fascia di clientela interessata è probabilmente quella più rappresentativa del nostro territorio o, per meglio dire, quella su cui massimamente si concentrano risorse, sforzi ed eccessi della banca commerciale.
Per tipologia dell’offerta e propensione/capacità all’acquisto della clientela di riferimento, gli affluent costituiscono infatti il settore nevralgico dell’attività di collocamento di prodotti a budget e con elevato ritorno commissionale.
Com’è nello spirito e nelle finalità di questa nostra collana monografica, tenteremo una disamina stringata ma puntuale della realtà affluent, partendo dagli aspetti più tecnici per poi approdare -il settore lo impone- ad una breve digressione di carattere più squisitamente politico, sociologico e di costume.
Tecnicamente, al settore affluent è affidata la gestione di una quota importante del passivo della Banca e sappiamo come, da alcuni anni ( ma questa verità si è drammaticamente chiarita solo in tempi relativamente recenti) la nostra Banca ben difficilmente riesce a produrre utili derivanti dalla gestione di un attivo, di fatto ingessato e pesantemente penalizzato -in termini di redditività- da una serie di scelte gestionali a dir poco scellerate.
Già dal 2009, si era palesato ai nostri occhi -e non abbiamo davvero omesso di denunciare una simile, preoccupante consapevolezza- un dato di fatto davvero allarmante:
il periodico collocamento di prodotti ad elevato up-front (in particolare le Unit) veniva presentato e di riflesso gestito, come un evento “esiziale” (più volte questo aggettivo è stato utilizzato anche dai massimi vertici della filiera commerciale) per le sorti della Banca;
non può non sorprendere che al di sotto e di sopra di un’enunciazione similmente impegnativa, molto del nostro top-management (in alcuni casi tuttora saldamente in carica) non si ponesse una domanda che in noi nasceva spontanea: in quali condizioni si trova realmente la terza banca italiana se il collocamento di una Unit diventa “esiziale”?
La storia recente ci ha dolorosamente rivelato quale possibile coerenza sussistesse fra un simile enunciato, i suoi molti, inequivocabili e nefasti effetti sulla rete filiali e sulla clientela e la (teorica) veridicità di bilanci e relazioni trimestrali improntate, quasi sempre ad un sobrio e pacato ottimismo…
Non ci pare a dire il vero che molto sia cambiato:
ancora oggi la Banca è impegnata a spingere al massimo nell’estrarre utili dalla gestione del passivo, amplificando così la diaspora di clienti ingenerata dalla massacrante aggressione mediatica di questi mesi;
si tratta di una visuale strategica disperata e disperante che ben certifica, a nostro avviso, l’incapacità (o la NON volontà) di abbandonare logiche gestionali improntate ad un brevissimo orizzonte temporale.
Nessuno pare intenzionato a chiedersi fino a quale misura sia lecito ottenere utile dalla gestione del risparmio.
Ecco dunque che la difficoltà dei nostri gestori affluent, nella relazione con i clienti, si può riassumere nella consapevolezza di non dire o di omettere, perché se il gestore fosse sincero (il che significa agire nei precisi limiti di legge) e chiarisse tutta l’operazione, inclusi i costi occulti, il budget non sarebbe raggiunto.
Ecco perché da un paio d’anni a questa parte, la professionalità solida e stratificata, nel settore, è divenuta per assurdo un disvalore, in quanto portatrice di una autonomia di analisi e di critica, di fatto incompatibile con obiettivi e strategie similmente assiomatiche.
Oggi la linea affluent è il settore in cui massimamente si esprime, anche nella gestione delle risorse umane, la pochezza di una visuale strategica limitatissima, in cui l’egocentrismo e l’ambizione personale vengono sollecitate, sempre più spesso, senza alcun rispetto per la dignità delle persone e senza nessuna cura dell’immane rischio reputazionale cui, nel medio/lungo periodo si espone la Banca.
Basta essere primi in classifica e tutto è risolto…da anni si va avanti così e dove siamo arrivati lo sappiamo tutti…
Si tratta in altri termini, dell’avamposto di un modello di banca in cui etica e sostenibilità sociale non hanno più alcuno spazio.
Ciò ovviamente mortifica e affligge –fino a creare situazioni di stress insostenibile- quei tanti colleghi che, a dispetto di tutto ciò, continuano a interpretare il ruolo con un equilibrio e una professionalità sempre più difficili, ammirevoli e preziosi.
In ciò, a dire il vero non siamo soli;
vediamo perchè:
a) le normative relative al mondo del risparmio provengono da: Consob,Banca d’Italia, Isvap, Ministero del Tesoro, normative interne.
Il rispetto di tutte queste norme provocherebbe, seduta stante, l’immediata sospensione dell’attività in tutto il mondo bancario. Quanto alla MIFID, ricordiamo come l’autorevole Financial Times nell’ottobre 2007, nel delinearne termini e contenuti, coniò il termine “Mifidiot” e propose un’ apposita guida, destinata a supportare gli operatori professionali nella gestione di un sistema di regole,la cui ampollosa, costosissima e fuorviante strumentalità è tuttora un dato di fatto;
b) dato che, con ogni evidenza, l’attività prosegue, la responsabilità civile e penale , in caso che qualcosa vada storto, ricadrà in capo al gestore;
(Tornando allo specifico MPS):
c) le campagne “Metodo”, “recupero raccolta” , la gestione dei “numeri rossi”, la segnalazione dei “contatti clienti” e il “Paschi Face” (che dovrebbe gestire il tutto), sono sistemi di marketing talmente pretestuosi, farraginosi e lenti che il tempo dedicato a queste mansioni, e ai loro controlli, è semplicemente assurdo;
(ricordiamo, per altro, che esiste una procedura di telefonia “CISCO” collegata al sistema informatico che potrebbe benissimo inserire il contatto cliente ad ogni telefonata, dato che nella scheda del cliente è segnalato il n. Telefonico);
d) la piattaforma “Advice” è un sistema “quantitativo” di gestione del risparmio semplicemente obsoleto e rottamato dagli Stati Uniti ormai da 10 anni, fra l’altro,esso è completamente al servizio del collocamento di prodotti a budget, in grado quindi di eliminare anche la sia pur minima validità e credibilità dell’apporto professionale indipendente del gestore.
e) nelle nostre filiali spesso il questionario MIFID è redatto dal gestore senza la presenza del cliente. Nel momento in cui il cliente si presenta in filiale a firmare la documentazione relativa all’investimento proposto, si acquisisce la firma.
In alcuni casi il Mifid, al fine di consentire il collocamento di prodotti ad elevato up-front e strutturalmente complessi (media-elevata rischiosità F3/F5), viene “aggiustato” in modo da far risultare positiva la consulenza Advice.
Ricordiamo anche, come nella nostra Area siano state da noi documentate più volte, con adeguati approfondimenti di carattere tecnico, le molte e diffuse perplessità in merito al collocamento di prodotti ad elevata componente derivativa e a “carta terzi” di dubbia pertinenza.
Obiezioni sempre confutate o ignorate da un’azienda il cui precedente responsabile finanziario è tuttora agli arresti e che muove azione di responsabilità, nei confronti, tra gli altri, di Nomura: un paradosso questo, il cui peso ricade interamente sui gestori/collocatori e sulla clientela che Nomura se la ritrova oggi in portafoglio.
Concludiamo questa nostra incursione nel mondo affluent con una nota -lo dicevamo in apertura- di carattere politico e sociologico:
nella drammaticità quasi marziale, nel richiamo all’orgoglio e all’appartenenza, con cui, in queste ore, si animano i colleghi della linea affluent (e non solo loro) al pronto recupero di quanto vergognosamente strappatoci dagli avvoltoi della concorrenza (ma quanti comportamenti non meno vergognosi e non meno dannosi sono stati osservati e sottaciuti da chi oggi urla?), non possiamo non scorgere qualcosa di intollerabilmente falso e ipocrita;
nè possiamo tacere della compostezza anodina e asettica con cui è stato presentato il sistema di autovalutazione o della pericolosità di un sistema premiante assolutamente discrezionale e sempre più elitario.
Gioverebbero noi crediamo, insieme ad una più chiara conoscenza della realtà umana e professionale dei colleghi, una maggiore compostezza, una maggiore sobrietà, una più chiara consapevolezza di ciò che è stato e un più grande rispetto per le persone che “prima, dopo, durante” non hanno rubato, non hanno urlato, non hanno portato a casa fior di quattrini (meritati o no) e che ancora adesso, in queste ore, stanno tenendo in piedi la baracca.
Gioverebbe anche una visuale eticamente e politicamente più ampia e consapevole:
leaders poco credibili o non all’altezza, quando urlano troppo o tacitano il dissenso attraverso l’implementazione di sistemi di controllo e condizionamento culturale o sono ridicoli o sono dittatori o peggio sono ridicoli dittatori.
Bologna, 8 marzo 2013 Coordinamento RSA Fisac/CGIL MPS Emilia-Romagna