Alleghiamo l’intervento di Anna Maria Romano – Dip. Internazionale Fisac Cgil durante il seminario che si è tenuto nei giorni scorsi a Lisbona. La delegazione della Fisac Cgil era composta da: Cristiano Hoffmann, Mario Ongaro, Anna Maria Romano, Daniele Quiriconi.
Iniziamo il dibattito del pomeriggio con i ringraziamenti per essere chiamati a rappresentare i sindacati italiani in un consesso così interessante. Interessante non solo per la discussione, ma per la possibilità di condividere e far conoscere un’esperienza positiva come quella portoghese, esempio di come si provi a superare la crisi in modo socialmente sostenibile.
Ci viene chiesto di presentare brevemente la situazione italiana, insieme a quella degli altri paesi del sud Europa. Dopo decadi di declino culturale, la crisi del 2007 ha comportato un generale e serio impoverimento economico, insieme ad una iniqua distribuzione della ricchezza, che tutti i paesi del sud Europa conoscono anche troppo bene. La soluzione dei governi che si sono succeduti hanno avuto la stessa caratteristica di austerity: tagli senza investimenti, comportando un depauperamento dello stato sociale, verso i servizi privati.
Inoltre, la riforma del sistema pensionistico e l’allungamento della vita lavorativa ha un serio impatto sociale, viste le condizioni di disinvestimento sui servizi e ha influito negativamente sul ricambio generazionale e sull’impiego di qualità.
La tendenza confermata negli anni è l’accrescimento del lavoro più debole e povero, la mancanza di reale supporto di investimenti in grado di sostenere il tessuto di PMI, tipico del nostro paese. Questo scenario ha cambiato (e continua a cambiare) l’anima della nostra società, spingendo verso un radicalismo nazionalista e populista, ben esemplificata dal nuovo governo.
Ed in modo pericoloso, assistiamo all’incattivirsi dell’attacco al valore democratico dei corpi intermedi, noi in primis, indebolendo il nostro ruolo sociale.
Un esempio molto paternalistico è la trattativa diretta del Ministro del lavoro con i riders, contando più sull’effetto mediatico delle azioni, che su un reale investimento strutturale sul paese.
Il tripartitismo, tema portoghese, che è stata una pratica positiva nella costruzione di accordi che guardassero oltre il conflitto, oggi perde un terzo degli attori, quello istituzionale. Se gli imprenditori, almeno in linea generale, sono ancora in grado di dare valore al dialogo sociale, così non è da parte di questo regime istituzionale, perdendo di vista gravemente il valore della contrattazione collettiva come fattore di stabilità economica e sociale di medio e lungo periodo. I banchieri lo sanno: in Italia ci approcciamo a rinnovare il CCNL del settore.
Con questo scenario, rappresentato più che sinteticamente, ci approcciamo alle prossime elezioni europee, in un clima pericoloso di generale sfiducia nella politica e nel significato dell’Unione Europea. Viene meno sempre più il senso solidale della collettività e del bene comune verso un egoismo che ha come orizzonte l’interesse personale o della comunità ristretta.
In mattinata, la parola chiave dei relatori che ci avevano raccontato come il Portogallo sta riuscendo a coniugare riforme sostenibili e crescita economica fuori dalle misure di austerity assoluta era stata “fiducia”. E penso che debba essere l’elemento chiave anche per noi, per un futuro più equo. Se le persone hanno perso fducia in noi, sicuramente ci sono nostre grandi responsabilità. Ma è soprattutto la conseguenza di anni di quei cambiamenti sociali da cui sono partita: una precarietà che è diventata esistenziale e che toglie possibilità al futuro, che ci fa scappare o rinchiudere in un isolamento incattivito. Le persone hanno perso la volontà, la capacità, ma anche gli spazi per una discussione costruttiva. Principalmente hanno perso l’idea del diritto ad avere diritti, l’unica base possibile per la libertà e come bene comune capace di generare collettività.
Noi siamo, dobbiamo essere, parte della risposta a questo declino.
Un dei modi per riguadagnare la fiducia persa, per combattere la politica del “contro” e della divisione ora imperante è presentare delle proposte chiare, che parlino di un sistema economico inclusivo, di un sistema europeo che guardi alle persone; un modello “nostro” e senza paura. Per fare questo è necessario rafforzare la nostra cooperazione internazionale, uscire noi per primi dai confini nazionali. Dobbiamo riempire di azioni concrete la parola “solidarietà”.
Dobbiamo condividere di più, aprire le nostre porte. Dobbiamo sognare di più, ma insieme.