La normativa sui licenziamenti: 6 – interpretazioni giurisprudenziali su licenziamenti comminati ai sensi del D.L. 2015

In questi mesi sono state pubblicate le primissime sentenze di Tribunale relative ai licenziamenti comminati ai sensi del decreto legislativo n. 23/2015: ovviamente l’elaborazione giuridica in materia è appena agli inizi, non risultano ancora pronunce della Corte di Cassazione e quindi la giurisprudenza non è assolutamente consolidata.

Una delle primissime pronunce è stata la sentenza del Tribunale di Roma del 24/6/2016. Il caso riguardava un lavoratore del turismo, al quale erano state dapprima comminate due sospensioni dal servizio (nei giorni 22 e 23 settembre 2015) per presunte aggressioni verbali a colleghi di lavoro e per assenza ingiustificata; il lavoratore impugnava entrambe le sanzioni davanti alla DTL.  Infine (in data 8 ottobre 2015) il lavoratore era licenziato per giusta causa, con la motivazione “dei provvedimenti disciplinari irrogati e del comportamento tenuto successivamente”.

Il Tribunale di Roma ha osservato che “L’ordine temporale tra i provvedimenti ed i comportamenti del dipendente è tale che tra la sospensione dal servizio ed il licenziamento alcun giorno di lavoro effettivo è stato svolto ed alcun comportamento può essersi quindi realizzato, neppure in ipotesi, da parte del dipendente (assente), se non la sola impugnativa delle sanzioni dinanzi all’Organo arbitrale. (….) Per tali ragioni la scelta datoriale risulta connotata dal chiaro e unico intento ritorsivo, quale risposta alla impugnativa delle precedenti sanzioni.”

Pertanto, il Tribunale ha dichiarato la nullità del licenziamento e disposto la reintegra del lavoratore.

Le due sentenze del Tribunale di Torino del 16/09/2016 e del Tribunale di Milano del 3/11/2016 hanno entrambe affrontato il caso di un licenziamento intimato per asserito esito negativo della prova, mentre in realtà il periodo di prova era già terminato.  Secondo i giudici, si trattava di un licenziamento a tutti gli effetti e nel caso concreto mancava qualunque fatto a sostegno della giusta causa o del giustificato motivo: la sentenza ha quindi stabilito l’insussistenza del fatto materiale contestato e la conseguente reintegrazione del lavoratore.

La sentenza del Tribunale di Roma del 4/10/2016 ha affrontato il caso di una lavoratrice del settore pulizie licenziata per “un comportamento del tutto inadeguato sul luogo di lavoro, una marcata arroganza nei confronti del personale (….) nonché per assenze ingiustificate (…) con conseguente disagio organizzativo e logistico arrecato all’azienda “.

Il Tribunale di Roma ha accertato come non vi fossero assenze ingiustificate attribuibili alla lavoratrice né che vi fosse alcuna prova del comportamento del tutto inadeguato della stessa, anche in considerazione del fatto che il datore di lavoro non si sia presentato al processo.   Anche in questo caso, la sentenza ha quindi stabilito l’insussistenza del fatto materiale contestato e la conseguente reintegrazione della lavoratrice.

La sentenza del Tribunale di Milano del 5/10/2016 riguardava il caso di un lavoratore licenziato per giusta causa in relazione ad un periodo di malattia di 181 giorni.  Il Tribunale di Milano ha osservato come il datore di lavoro – contumace al processo – non ha precisato alcunché circa il superamento o meno del periodo di comporto e neppure in ordine alle gravi ripercussioni organizzative derivanti dall’assenza, tali da giustificare un licenziamento per scarso rendimento.

Al pari delle precedenti, anche questa sentenza ha stabilito l’insussistenza del fatto materiale contestato e la conseguente reintegrazione del lavoratore.

La sentenza del Tribunale di Roma del 5/4/2017 ha affrontato il caso di una lavoratrice licenziata per una presunta simulazione di un infortunio sul lavoro.

Al riguardo, il Tribunale ha stabilito che “le risultanze istruttorie dimostrano che il fatto materiale addebitato (la simulazione dell’infortunio sul lavoro) al lavoratore non sussiste.  In particolare la prova “diretta” di tale insussistenza è data dal riconoscimento da parte dell’INAIL della sussistenza dell’infortunio sul lavoro, il che esclude la simulazione.” Da tale presupposto, è derivata l’illegittimità del licenziamento e la reintegra della lavoratrice.

La sentenza del Tribunale di Taranto del 21/4/2017 ha affrontato il caso di un lavoratore licenziato per giusta causa a seguito di violazione di disposizioni del datore di lavoro e per giustificato motivo oggettivo a seguito della mancanza di ordinativi.

Non è un caso che il Tribunale di Taranto riprenda il concetto di fatto materiale e fatto giuridico così come delineato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 20540/2015 relativa ad un licenziamento ai sensi della “legge Fornero” e già più volte citata.  Il Tribunale sostiene che anche il fatto materiale al quale di riferisce la norma del 2015 deve essere comunque connotato da un “nucleo insopprimibile di giuridicità intesa come necessaria illiceità del comportamento addebitato al lavoratore.”  In caso contrario, i licenziamenti del tutto pretestuosi resterebbero privi di tutela reale.

Osservando che nel caso concreto la contestazione disciplinare manca del tutto, secondo il Tribunale la stessa procedura disciplinare è inesistente, con la conseguente insussistenza di qualunque fatto materiale.  Egualmente, il giustificato motivo oggettivo posto ambiguamente come base alternativa al licenziamento, è stato considerato pretestuoso dal Tribunale.

In conclusione, secondo il Tribunale di Taranto, il licenziamento in esame appare “un utilizzo distorto del potere datoriale di recesso che ne comporta la nullità per frode alla legge (….); l’intento fraudolento è costituito dalla volontà di sottrarsi alla tutela reale derivante dall’insussistenza materiale del fatto contestato.”

Da queste poche sentenze, emerge come il punto decisivo per stabilire o meno la reintegra del lavoratore licenziato sia ancora una volta l’interpretazione del concetto di sussistenza del fatto contestato.  Ciò vale per le norme sui licenziamenti introdotte nel 2012 ed anche per quelle introdotte dall’ultima controriforma del 2015.  Inoltre, in relazione ad entrambe le leggi, si fa strada una giurisprudenza sui licenziamenti ritorsivi.

Per concludere sull’argomento, lo sviluppo giurisprudenziale più rilevante è rappresentato dall’ordinanza del Tribunale di Roma 26/7/2017, che nel corso di una causa di lavoro riguardante un licenziamento comminato ai sensi del cosiddetto “Jobs Act”, ha rimesso all’esame della Corte Costituzionale alcune norme della legge delega n. 183/2014 e del decreto legislativo n. 23/2015.  In ordine a tali norme, il giudice ha ravvisato un contrasto con gli articoli 3, 4, 76 e 117 della Costituzione, oltreché con l’art. 30 della Carta di Nizza, con la Convenzione ILO n. 158/1992 e con l’art. 24 della Carta Sociale Europea.

Si tratta delle norme ben note riguardanti le tutele meramente risarcitorie previste per la quasi totalità dei licenziamenti illegittimi, tutele che secondo il Tribunale di Roma sono inconsistente e inadeguate, con la conseguenza che:

  • tali norme non hanno carattere di ristoro per il lavoratore né carattere dissuasivo per il datore di lavoro;
  • si creano situazioni difformi in quanto un imprenditore tenderà a licenziare i lavoratori soggetti al regime del “Jobs Act” e non a quelli soggetti al regime dell’art. 18 della legge n. 300/1970 (per quanto decurtato dalla legge “Fornero” n. 92/2012);
  • per effetto della preclusione al giudice di ogni valutazione discrezionale, una disciplina uniforme è applicata a casi del tutto diversi.

Al riguardo, non resta che attendere la pronuncia della Corte Costituzionale.ut

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