Si è aperto ieri a Torino il processo di appello “Eternit” ad un anno di distanza dalla storica sentenza che aveva condannato a 16 anni ciascuno e interdizione perpetua a contrattare con la pubblica amministrazione i padroni dell’Eternit: il barone belga Louis de Cartier e il magnate svizzero Stephan Schmidheiny (3 miliardi di dollari di patrimonio personale nel 2011 secondo Forbes).
Oltre alla pesante pena furono condannati, altresì, a risarcire le parti civili che si sono costituite in processo prime fra tutti le associazioni delle vittime dell’amianto e le associazioni sindacali compresa la CGIL che si era costituita nel processo con tutte le sue articolazioni: nazionale territoriale e di categoria.
I reati contestati dal Pubblico Ministero Raffaele Guariniello furono i reati di disastro ambientale doloso permanente e reato di omissione dolosa delle norme di sicurezza riconosciuti, nella sentenza, dal Tribunale di Torino.
Si trattò del più grande procedimento penale per reati ambientali causati da un ambiente di lavoro che si sia mai fatto con più di 6000 parti civili, tra cittadini, enti, associazioni.
Cittadini, lavoratori, Organizzazioni Sindacati, Associazioni delle vittime dell’amianto, dopo una battaglia durata più di trent’anni videro un epilogo importante: il riconoscimento evidente delle ragioni della loro lotta, mentre la dolorosa contabilità degli effetti mortali dell’amianto non si ferma.
Le vittime, calcolate per difetto sono, indicativamente, 1800 a Casale e paesi circostanti e oltre 3000 in Italia comprendendo anche le città di Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli.
L’esposizione ambientale, che proseguirà ancora per decenni e cioè finché tutti i manufatti di amianto non saranno smantellati continua a causare vittime di mesotelioma, la forma di cancro indotta dalla inalazione delle fibre di amianto. Si parla di almeno 50 nuovi casi all’anno a Casale.
Il ricorso in appello, oltre che dai difensori degli imputati e da alcune parti civili, viene presentato anche dal Pubblico Ministero il quale non ritiene adeguata la pena inflitta (16 anni anziché i 20 richiesti) e ritiene altresì sbagliata la decisione di prescrivere i reati in relazione agli stabilimenti di Napoli (Bagnoli) e Rubiera.
In merito alla prescrizione per Bagnoli e Rubiera anche le parti civili avevano interposto appello in quanto hanno ritenuto anche loro sbagliata e noi aggiungiamo, incomprensibile, la decisione del tribunale.
La Corte d’Appello nella udienza di ieri ha dato il segno di voler procedere spedita per giungere ad una conclusione rapida, infatti ha predisposto un calendario di udienze stringente e fitto impegnando tre giorni alla settimana per tutte le settimane necessarie.