Abbiamo parlato di FinTech, cioè di Digitalizzazione nel mondo della Finanza, nel precedente articolo del 14 Aprile (commissione-europea-conferenza-sul-tema-fintecheu).
Andiamo avanti, cercando di guardare i vari aspetti che collegano ad un mondo sempre più digitale, a come si muovono le Autorità di Vigilanza Europea e al nostro ruolo in esse e non solo.
Una serie di articoli, quindi, per entrare insieme in un tema che ha sfaccettature fondamentali per il nostro futuro di lavoratori/lavoratrici e cittadini/e e nel quale il sindacato Europeo gioca un ruolo fondamentale. La FISAC/CGIL è presente proprio con il rafforzamento dell’attività Internazionale.
Questo articolo, quindi, ne inaugura una serie, relativi all’attività svolta dai componenti del dipartimento internazionale, in un programma di avvicinamento della nostra attività all’intera organizzazione.
Big Data
Il termine richiama immediatamente alla mente l’idea di Grande Fratello ed è il termine usato per descrivere una raccolta di dati ed informazioni, sia strutturate che non, depositati in un apposito database. Le informazioni sono così tante in termini di volume/quantità, velocità con la quale vengono raccolte e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici affinché questi dati abbiano un valore.
Perchè non è la quantità di dati che è importante. E ‘quello che le organizzazioni ci fanno che conta. Le informazioni possono essere analizzate per intuizioni, decisioni in termini di business.
La quantità di dati che vengono creati e memorizzati a livello globale è quasi inconcepibile, e continua a crescere, ma solo una piccola percentuale di essi è in realtà analizzata ed utilizzata: per ora.
Ciò significa che c’è ancora di più il potenziale per raccogliere informazioni chiave in termini di business: raccogliere, analizzare e rendere fruibili informazioni è l’oro nero del nostro tempo.
Di tutto ciò si stanno occupando le Autorità Europee. Le autorità di Vigilanza Finanziaria (ESAs – European Supervisor Authorities) hanno elaborato un documento comune di proprio legato alla necessità di protezione dei dati in possesso delle banche e delle società finanziarie, assicurative e di controllo delle stesse. (ne parleremo più diffusamente in un prossimo articolo).
Che cosa significa per le imprese? Come possono fare un uso migliore delle informazioni grezze che scorre nelle loro organizzazioni tutti i giorni?
Cosa significa per ognuno di noi, come utente, cittadin*, al lavoro, cliente, consumatore.
Le aziende che immagazzinano volumi sempre maggiori di informazioni personali stanno utilizzando nuovi tipi di analisi dei dati e di intelligenza artificiale per creare prodotti e servizi e per anticipare i desideri dei clienti.
Lo straordinario potere delle «big data company» deriva dalla capacità di combinare i dati personali dei clienti con osservazioni sugli stessi: da quali prodotti acquistano a dove si trovano (in base ai dati Gps dei telefoni cellulari). Ne consegue una serie di dati desunti circa i loro probabili desideri.
Amazon, Google, Facebook, solo per citare le più note, fanno profitti proprio sulla gestione delle informazioni individuali.
Sul fronte più avanzato tutto questo prende il nome di intelligenza artificiale, vale a dire sistemi in grado di imparare ed “intuire” attraverso brandelli di informazione.
Certo, può essere piacevole avere sul nostro telefono informazioni personalizzate sullo stato del traffico, perché attraverso il gps del cellulare sono noti tutti i nostri spostamenti abituali, o essere informati sulle ultime offerte nei nostri negozi preferiti, sulla musica che ascoltiamo, sugli sconti per viaggiare, sull’investimento finanziario più remunerativo; perchè lo scontrino pagato on line, le ricerche sui voli e gli hotel più economici e tutte le altre scie informatiche lasciate più o meno consapevolmente raccontano di noi.
Ma un conto è avere un consapevole contributo al benessere personale; tutto un altro è non sapere cosa viene immagazzinato e come viene usato.
Ma quanto somiglia di più, ad un “grande fratello onnisciente che ci scruta attraverso una videocamera a circuito chiuso». (World Economic Forum)
Per quanto riguarda il lavoro, poi, tutto ciò significa che l’automazione del lavoro manuale è diventata marginale rispetto a quella dei processi cognitivi: anche questo è un tema che merita da solo un approfondimento.
I problemi legati al Big Data hanno a che fare non solo con la privacy e il diritto di ognuno di noi di conoscere da dove vengono raccolti i dati detenuti e come vengono usati (attenzione! Spesso diamo il consenso noi stessi, senza esserne veramente consapevoli. Quanti di noi leggono il “consenso Informato” prima di scaricare una App o l’acquistare un biglietto? Un piccolo test per genitori di adolescenti quale sono io: chi lo sa che Whatsapp è vietata ai minorenni, in base al regolamento interno? I nostri figli ci convivono, perché abbiamo acconsentito, prevalentemente senza saperlo).
Un’altra questione preoccupante è la fiducia nelle società che detengono i dati e la loro trasparenza: i social network hanno valanghe di dati, che noi forniamo sorridendo nell’ultimo selfie, per esempio.
Ed inoltre, un problema molto serio ha a che fare con la sicurezza dei dati, il livello di protezione. I nostri dati anagrafici, contabili, bancari, sanitari codificati in un database devono essere protetti da qualunque possibile attacco di pirateria informatica (hacker) o furto. E c’è poi la questione della proprietà: ognuno di noi possiede i diritti sulle proprie informazioni che però spesso vengono fornite senza vera consapevolezza. Come faccio a tornare indietro? E se queste informazioni sono già mescolate e confuse con altre al punto da costituire una diversa fattispecie che diritti ho? Ho il diritto di conoscere il processo di trasformazione dei dati o questo è proprietà della società che lo gestisce?
Anche solo con queste poche riflessioni è chiaro il grande rischio che si nasconde dietro una possibile opportunità.
L’unica vera strada è la pretesa della trasparenza di ogni singolo passaggio e pezzo di ciò che c’è intorno al Big Data.
Ma questo non è sufficiente.
Il rischio enorme è quello di una nuova forma di marginalizzazione sociale, legata alla conoscenza degli strumenti tecnologici ed alla consapevolezza del significato dell’uso che ne facciamo.
Ancora una volta, si scarica sulle spalle dell’utente, delle persone, la responsabilità di un’adeguata informazione.
E siamo ancora all’inizio.