Antiriciclaggio, i reati dei congiunti

Commettono reato di riciclaggio il Rappresentante Legale ed il Socio della Società che fanno transitare temporaneamente nella contabilità, come finanziamento Soci non oneroso, le somme provenienti da reati commessi da un congiunto.

Questo è quanto appare dalla sentenza n.11491 della II Sezione Penale della Corte di Cassazione, quando dei Soci (o dei Legali Rappresentanti di una Società) pur non partecipando direttamente ad un reato di sottrazione commesso da un congiunto (o comunque da un parente), reato definito nell’ambito di altro procedimento, utilizzano i proventi di tale reato nelle attività economiche delle Società a loro riconducibili facendo transitare temporaneamente le somme in oggetto nella Contabilità sociale a titolo di finanziamento Soci non oneroso. Se le somme vengono, poi recuperate con dei prelevamenti, per gli inquirenti si profila l’ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, in quanto vengono ripuliti i proventi dell’attività illecita.

Ricordiamo che, per configurare il reato di riciclaggio, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del denaro, e che questa si può desumere dalle analogie delle condotte poste in essere dalle varie Società e quando non vi è debita giustificazione della loro provenienza.

I Giudici, di conseguenza, ricordano che il dolo (nel reato di riciclaggio) può configurarsi anche nella forma eventuale quando all’autore del riciclaggio si rappresenta la concreta possibilità (accettandone il rischio) della provenienza illegale del denaro ricevuto ed investito.
La sentenza è importante perché attiene ad una casistica astrattamente configurabile nel momento in cui chi ha commesso una violazione costituente reato, reinveste le somme in una Società direttamente (auto-riciclaggio) o tramite terzi (riciclaggio).

Photo by geralt (Pixabay)

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