Articolo ad integrazione della nostra guida alla responsabilità disciplinari e patrimoniali
A questo punto, è opportuno fare qualche precisazione di carattere pratico sui comportamenti da seguire in caso di contestazione disciplinare.
- Contattare il proprio sindacalista: a fronte dell’avvio di una contestazione disciplinare emerge l’assoluta opportunità di prendere contatto con il proprio rappresentante sindacale, per avere la necessaria assistenza prima di addentrarsi in una realtà che non solo è personalmente sgradevole ma è anche tecnicamente complessa ed incerta.
- La trasparenza tra lavoratore e sindacato: è necessario che il rapporto fra il rappresentante sindacale e l’iscritto sia improntato alla massima trasparenza reciproca: il lavoratore deve esporre i fatti in modo veritiero e completo, in modo tale che il proprio rappresentante sindacale non incorra in errori di valutazione.
- La difesa del lavoratore: si svolge per mezzo della lettera di controdeduzioni e/o con il colloquio. E’ l’argomento più delicato e merita una trattazione a parte.
- L’assistenza di un avvocato: la stesura della lettera di controdeduzione o la preparazione del colloquio può avvenire in collaborazione con un avvocato. Tuttavia, occorre tenere presente che un professionista esterno difficilmente conosce le dinamiche esistenti nelle realtà aziendali, che invece dovrebbero essere note ad un sindacalista. L’assistenza di un avvocato può essere importante nel caso in cui vi sia il fondato timore che la contestazione si chiuda con un licenziamento. In tale circostanza, è norma di prudenza sottoporre le controdeduzioni all’avvocato, per evitare qualunque contenuto che possa creare difficoltà in caso di impugnazione del licenziamento in tribunale.
- Impugnazione del provvedimento disciplinare: una volta chiuso l’iter disciplinare interno con l’irrogazione della sanzione, il lavoratore può eventualmente impugnare il provvedimento disciplinare in sede arbitrale o in sede giudiziale. L’impugnazione in sede giudiziale di una sanzione disciplinare diversa dal licenziamento è da valutare con estrema cautela: in particolare è necessaria un’attenta valutazione delle spese legali che dovranno essere sostenute in un processo. Per quanto riguarda i tempi di prescrizione per impugnare in sede giudiziale una sanzione disciplinare, la legge non prevede disposizioni specifiche. Ne consegue che il diritto all’impugnazione si prescrive nel termine ordinario di 10 anni, previsto dall’art. 2946 codice civile. Per il licenziamento vi sono invece termini assai più stringenti. Innanzitutto, la legge n. 604/1966, art. 6 prevede che il licenziamento sia impugnato entro 60 giorni dalla ricezione con un qualunque atto scritto: al riguardo, è sufficiente una raccomandata con ricevuta di ritorno. La stessa legge prevede poi un termine di 180 giorni per depositare il ricorso in tribunale, decorso il quale il licenziamento diventa definitivo e non è più impugnabile (Nota:Si tratta di un termine sicuramente insidioso, non previsto nel testo originario del 1966, ma che è stato aggiunto dalle leggi n. 183/2010 e 92/2012 (quest’ultima nota come “legge Fornero”, che fra l’altro ha ulteriormente decurtato il termine inserito nel 2010). La legge n. 300/1970 art. 7, consente inoltre al lavoratore di impugnare il provvedimento disciplinare in sede arbitrale, richiedendo la costituzione, presso la Direzione Provinciale del Lavoro, di un collegio di conciliazione ed arbitrato. Tale richiesta deve essere formulata entro 20 giorni successivi dalla formalizzazione della sanzione, anche per il tramite del sindacato, e la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio: ricordiamo però che, per far sì che vi sia la sospensione della sanzione disciplinare, è necessario che la richiesta venga inoltrata immediatamente all’azienda prima dei giorni di sospensione dal servizio. Il datore di lavoro può rifiutare la procedura arbitrale ricorrendo all’autorità giudiziaria per far accertare la legittimità della sanzione disciplinare: in tal caso il lavoratore dovrà fronteggiare la causa promossa dal datore di lavoro.
di Alberto Massaia – Corinna Mangogna
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