Donne: Contratto ibrido in ottica di genere. Intervento al Direttivo Nazionale

L’Esecutivo Donne della Fisac/Cgil esprime la propria preoccupazione in merito alla trattativa in corso sul “Protocollo di Sviluppo Sostenibile del Gruppo Intesa Sanpaolo”, per gli effetti dirompenti che l’introduzione del contratto ibrido potrebbe avere sull’intera categoria, in termini di qualità dell’occupazione, di concorrenza tra colleghi con tutele diverse, di conseguente ulteriore imbarbarimento delle modalità di vendita e di ricadute peculiari sulle lavoratrici.

Il CCNL di categoria sottoscritto nel 2015 ha avuto il merito di rilanciare l’occupazione stabile, riducendo il costo del lavoro. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie alla tenacia negoziale della nostra organizzazione. Abbiamo avuto il coraggio di iniziare un percorso verso il riequilibrio tra le generazioni, chiedendo un sacrificio agli attivi per finanziare nuova occupazione. Una giornata lavorativa all’anno pro capite viene infatti ceduta al Fondo per l’occupazione di categoria (FOC) che eroga alle banche 2.500 € annue a fronte di ogni nuova assunzione e fino al 2018. In questo modo sono state assunte finora oltre 12.000 persone. Lavoratori e lavoratrici si sono accollati responsabilmente il costo per il 96% mentre solo il restante 4% è pagato con la riduzione dei compensi del management. E’ stata una scelta difficile, ma coraggiosa, che non dobbiamo vanificare, ma rafforzare proseguendo nella riduzione delle differenze, in coerenza con gli obiettivi che stiamo perseguendo con la Carta dei Diritti del Lavoro.

Crediamo, invece, che la trattativa avviata in ISP sul “Protocollo di Sviluppo Sostenibile del Gruppo” rischi di riportarci indietro, esasperando le differenze di salario e diritti tra diverse generazioni di bancari attraverso nuove assunzioni regolate (seppur in via sperimentale) con una forma contrattuale assolutamente inedita, che di fatto rischia di contaminare e corrodere il contratto a tempo indeterminato con collaborazioni professionali autonome, avviando un percorso di precarizzazione dell’occupazione del settore. Queste erano le intenzioni dichiarate da ABI già in occasione del recente rinnovo del CCNL e su questo chiedevano e chiedono l’avvallo sindacale.

A noi spetta segnalare, in particolare, le possibili ricadute del contratto ibrido sulle pari opportunità, che nel settore non sono ancora del tutto realizzate, e che, nonostante i continui progressi registrati e la consapevolezza sempre più diffusa, rischiano un arretramento per effetto della crisi sistemica che il settore sta attraversando.

Nonostante l’incremento significativo della presenza femminile, registrato nell’ultimo decennio, il mondo dei promotori è ancora infatti sostanzialmente maschile (oltre l’80% nel 2015 secondo i dati dell’Organismo di Vigilanza dei Consulenti Finanziari), si tratta quindi di un settore a segregazione femminile. In particolare, nelle società del gruppo che reclutano promotori finanziari la percentuale di donne è intorno al 16-17%, e questa scende ancora di più nelle strutture manageriali di rete. Un tetto di cemento più che di cristallo. Crediamo di conseguenza che l’assunzione di promotori finanziari con il contratto ibrido potrebbe sbilanciare le nuove entrate da un punto di vista di genere, tornando a sfavorire le donne nell’accesso al lavoro. Il rischio sarebbe di tornare indietro su una conquista importante, considerato che (grazie anche ad un’ormai consolidata inversione di tendenza nelle politiche di assunzione) le donne costituiscono oggi il 44,4% della forza lavoro nel credito (dati estratti dal Rapporto ABI 2014).

Per quanto riguarda la parità salariale, invece, nonostante sia sancita da norme di legge e contrattuali, il traguardo non è ancora pienamente raggiunto. A pesare sul divario salariale non sono soltanto le maternità o le concentrazioni di part-time tra le donne, condizionate nel nostro Paese dalla scarsa condivisione dei ruoli di cura e dalle carenze dei servizi sociali. Incidono anche in misura significativa le quote di salario variabile e incentivato, che non si distribuiscono in maniera uniforme tra i due generi, a causa del permanere di pregiudizi e stereotipi e di criteri di valutazione basati più sulla presenza che sui risultati. Da questo punto di vista cosa accadrà con l’introduzione del contratto ibrido, in cui il salario variabile prenderà il sopravvento su quello contrattato dal sindacato? E quali saranno le ricadute in termini di percorsi professionali, di retribuzione e di abbandono del posto di lavoro a causa di scelte familiari e riproduttive delle donne “assunte” con questa nuova tipologia di contratto?

Una particolare attenzione dovrebbe inoltre essere riservata alla tutela della maternità, poiché le lavoratrici autonome hanno condizioni di tutela diverse rispetto alle lavoratrici dipendenti. Oggi alle lavoratrici autonome in maternità (anche in caso di adozione e affidamento) spetta per un periodo di 5 mesi (2 prima e 3 dopo il parto) un’indennità pari all’80% della retribuzione relativa all’anno precedente. Inoltre dal 2016, a entrambi i genitori che lavorano a partita iva spetteranno, in totale, 6 mesi di congedo parentale, retribuiti al 30%, sino ai 3 anni di vita del nascituro. In caso di attivazione di contratti di questo tipo dovremmo dunque vigilare affinché siano garantite e incrementate queste tutele, integrandole con quelle previste per il contratto a tempo indeterminato a part-time.

Il Dispositivo votato dal Direttivo del Gruppo ISP e condiviso con la Segreteria Nazionale indica il livello di attenzione dell’intera nostra organizzazione sulla trattativa in corso e la piena consapevolezza di tutte le strutture coinvolte della portata della posta in gioco. Noi vogliamo sensibilizzare tutta l’organizzazione a riservare una particolare attenzione e acquisire la stessa consapevolezza sulle possibili ricadute di genere.

Milano, 17 gennaio 2017

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Photo by PunkToad

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