L’inserimento nel nostro sistema giuridico del reato di Auto-riciclaggio ha notevoli rilievi nel campo fiscale.
Recita la Legge:
“Il contribuente che impiega, sostituisce o trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative denaro proveniente dalla commissione di uno dei reati in materia di imposte sui redditi ed Iva, può essere imputato di Auto-riciclaggio e punito in aggiunta alla pena prevista per il reato fiscale, con la reclusione da due ad otto anni”.
Il primo rilievo applicativo consiste nello stabilire la possibilità di contestare condotte di auto-riciclaggio perfezionate dopo il 1°gennaio 2015 (data di introduzione del nuovo reato) ma con riferimento a reati fiscali commessi in precedenza. In tal senso la Cassazione (sentenza 3691 del 27 gennaio 2016) si è già espressa in senso positivo.
Un secondo rilievo riguarda la possibilità di configurare l’auto-riciclaggio indipendentemente dall’estinzione del reato tributario presupposto (come ad es. la “prescrizione”) ed indipendentemente da un suo pregresso accertamento giudiziale. Per il Codice Penale (art.170) si può contestare l’auto-riciclaggio anche quando il reato tributario sia già prescritto oppure quando il suo autore (per qualsiasi motivo) non sia più punibile. Per la Giurisprudenza, poi, non è necessario il previo accertamento giudiziale del reato presupposto, essendo sufficiente che sia raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute (Cassazione, Sez. V penale, 23 maggio 2008 n.36940). Può quindi accadere che si contesti al contribuente l’auto-riciclaggio di denaro proveniente da un’evasione fiscale non solo mai accertata dall’Agenzia ma anche non più accertabile per eventuale decadenza.
Dunque molto ampia è la casistica di condotte auto-riciclaggio sui reati evasivi, servirà perciò verificare se l’imposta risparmiata sia stata impiegata “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative” e bisognerà anche stabilire se tale impiego sia idoneo ad ostacolare concretamente la provenienza del denaro da reato fiscale. Pertanto solo dopo il perfezionamento del reato tributario si può parlare di operazioni di riciclaggio di utilità da esso “provenienti”.
Sono prive di rilevanza le attività poste in essere dopo l’incasso di un provento non fatturato ma prima della presentazione della dichiarazione in cui il medesimo avrebbe dovuto essere inserite. Medesime considerazioni pure per il reato di frode fiscale ed in ordine all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (Cassazione, Sez. II Penale 17 settembre 2010 n.4211). Spesso l’attività di sostituzione delle somme sottratte al fisco risulta completata ben prima che sia consumato il reato fiscale, con conseguente impossibilità giuridica di configurare l’auto-riciclaggio.
Per ultimo, il reato di auto-riciclaggio è escluso quando il profitto dell’evasione è riversato nelle sfera privata dell’autore e non reintrodotto nel circuito economico, in quanto “destinato alla mera utilizzazione od al godimento personale”.