“Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina il foulard non si mette più. Una faccia davanti al cancello che si apre già. Vincenzina hai guardato la fabbrica, come se non c’è altro che fabbrica e hai sentito anche odor di pulito e la fatica è dentro là… Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui, sto Rivera che ormai non mi segna più, che tristezza, il padrone non c’ha neanche ‘sti problemi qua. Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina vuol bene alla fabbrica, e non sa che la vita giù in fabbrica non c’è, se c’è com’è ?”
Era il 1974: “Romanzo popolare” di Mario Monicelli mostra una Milano che vive le sue giornate, avvolta nella nebbia, tra la fabbrica e le serate con gli amici. Il film racconta l’impatto tra nord e sud a seguito dell’immigrazione dei lavoratori meridionali nelle grandi città del nord Italia, racconta le lotte sindacali e l’impegno nelle fabbriche della classe operaia e racconta, ancora, l’emancipazione femminile e la presa di coscienza delle donne come lavoratrici e cittadine, consapevoli di non essere più solo figlie, madri e mogli.
La canzone “Vincenzina e la fabbrica” di Enzo Jannacci è la colonna sonora del film. Sono passati oltre 40 anni da allora: la presenza delle donne nel mercato del lavoro è notevolmente aumentata, in particolar modo quella delle donne comprese nella fascia di età tra i 25 e i 50 anni, spesso quindi, sposate e con figli. Molteplici le ragioni di questo fenomeno riconducibile, non solo a fattori economici ma anche all’accresciuta coscienza di sé, al calo della natalità e all’ incremento dell’istruzione .
Il rapporto tra donne e mercato del lavoro è stato, ed è tuttora, un rapporto difficile. La femminilizzazione del mondo del lavoro, sebbene abbia permesso l’ingresso di molte donne, le ha concentrate solo in alcuni settori e occupazioni (segregazione orizzontale) e le ha mantenute schiacciate verso il basso, impedendo loro di raggiungere le posizioni apicali (segregazione verticale). Il cosiddetto sex typing dei settori lavorativi, inoltre, ha prodotto retribuzioni sistematicamente differenziate tra uomini e donne.
E’ ormai provato che l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, oltre che fondarsi su un principio di equità, risponde a criteri di efficienza economica in quanto strumento di crescita del Pil e del benessere collettivo. Una maggiore occupazione femminile creerebbe inevitabilmente un aumento della richiesta di servizi con conseguente ulteriore crescita della domanda di lavoro, creando così un circolo virtuoso tra lavoro e crescita. Le donne hanno quindi un ruolo centrale nella realizzazione del binomio lavoro – crescita economica.
Nonostante il forte incremento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro continuiamo a vivere in un Paese in cui:
meno di una donna su due è occupata (nel Mezzogiorno meno di un terzo),
più di una donna su quattro lascia il lavoro per maternità o per prendersi cura dei figli,
le donne povere sono molto più numerose degli uomini,
le giovani entrano nel mercato del lavoro molto tardi (nonostante siano più istruite),
la presenza femminile nelle posizioni di vertice è modesta.
La crisi che ha investito il nostro Paese ha complicato ulteriormente la situazione, poiché i suoi effetti hanno prodotto ripercussioni più pesanti sulle donne: i lavori occasionali concernono soprattutto i giovani, e le donne in particolare, l’occupazione a tempo parziale è tipicamente femminile, i salari delle donne sono generalmente più bassi di quelli degli uomini e di conseguenza lo sono anche le pensioni, l’accesso al credito per le imprese femminili è più difficoltoso.
Questa “debolezza” però non è un dato congiunturale ma strutturale. Le cause delle difficoltà che caratterizzano il mercato del lavoro femminile in Italia sono numerose e complesse e spesso interconnesse fra loro: discriminazioni dirette, segregazione occupazionale, stereotipi, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, tassi di copertura dei servizi, ecc. Le pari opportunità nel lavoro sono, tuttora, una rivoluzione incompiuta, una trasformazione a metà. Il lavoro delle donne continua ad essere il “lato debole” del mercato del lavoro.
La giornata del Primo maggio, che rappresenta il simbolo della lunga e drammatica lotta intrapresa dalle lavoratrici e dai lavoratori di tutto il mondo per la loro emancipazione politica, economica, sociale e culturale, deve essere un’occasione di riflessione sulle problematiche del mondo del lavoro. Di un lavoro che diminuisce, a causa della crisi, con il suo strascico di licenziamenti ed esodi anticipati. Di un lavoro che, quando c’è, ha il volto dei giovani precari, dei tempi determinati, dei part-time, dei voucher che, spesso, troppo spesso, hanno volti di donne.
La storia del Primo Maggio è la storia di donne e di uomini che hanno lottato per affermare i valori universali e intangibili di uguaglianza e di rispetto della dignità delle persone, che hanno lottato per una società dove ” il lavoro non è elargizione, non è spreco, non è spesa buona ma impossibile, non è una trovata politica e non è neppure classe. È la forma necessaria di un tipo di società, quando ha raggiunto un grado di civiltà che credevamo il nostro presente ” (Il fatto quotidiano – 19.10.2014)
Di questa storia noi donne siamo state protagoniste e vogliamo continuare ad esserlo, vogliamo continuare a lottare per rendere questa società un posto migliore in cui vivere, eliminando tutti quelli squilibri che ancora permangono nel mondo del lavoro tra donne e uomini perché nessuno squilibrio, e men che mai quello che attiene al rapporto fra i generi, consente alla società di progredire. Buon 1 maggio a tutte e tutti.
Aprile 2016
Esecutivo Nazionale Donne
LA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA