La ragione di questo intervento è la volontà di cercare di instaurare un dialogo con questo importante luogo di direzione politica dell’organizzazione soprattutto perché è la prima volta, da quanto ci risulta, che l’Esecutivo è interamente composto da compagne che non fanno parte del Direttivo Nazionale e vi partecipano come invitate. Il Coordinamento Donne, per come noi lo intendiamo, non è il luogo delle donne per le donne ma il luogo delle donne per l’organizzazione. Coerentemente, vorremmo improntare la nostra azione al dialogo con donne e uomini della Fisac. In questa direzione vanno sia le pubblicazioni dell’Esecutivo indirizzate a tutte le liste sia l’estensione ai compagni dell’invito a partecipare alle nostre iniziative pubbliche – come quella su dignità e integrazione del marzo scorso – e, a questo proposito, invitiamo i compagni, compatibilmente con i tanti impegni, ad accogliere più numerosi l’invito nelle prossime occasioni. Noi pensiamo che ogni progresso si alimenti da due lati: dibattito civile da un lato e movimenti concreti dall’altro e sono questi i due poli che vogliamo avere sempre presenti nella nostra azione sindacale di donne dentro la Cgil, la Fisac, ai tavoli di contrattazione. Il convegno che abbiamo organizzato a marzo fa parte del primo lato, quello del dibattito civile, allargato alla Confederazione e al mondo fuori da noi (la scuola, la cultura, la ricerca, le associazioni). Per quanto riguarda il secondo lato, quello dei movimenti concreti, per quello che ci compete, pensiamo di costruire occasioni d’incontro e coordinamento con e tra le compagne delle Delegazioni Trattanti e delle Commissioni Pari Opportunità al fine di creare delle sinergie che possano rafforzarci tutti sui temi della contrattazione di genere. L’alta presenza femminile e l’attenzione alle tematiche di genere nei nostri settori sono senz’altro risultati ascrivibili anche alla scelta di assegnare alle donne, e ai luoghi della loro auto-organizzazione, un ruolo effettivo e autonomo di riflessione e proposta. La nostra categoria, anche grazie all’applicazione della norma antidiscriminatoria, ha visto crescere a tutti i livelli una presenza femminile che può e deve essere qualificante rispetto alle scelte e agli obiettivi contrattuali. Tutto questo ci ha consentito, nel tempo, di promuovere con buoni risultati la cultura e la pratica dell’occupazione femminile e delle pari opportunità. Il tasso di femminilizzazione dei nostri settori e la complessità delle trasformazioni e delle sfide che li stanno investendo su tutti i fronti (occupazione, inquadramenti, modelli di servizio, spinte commerciali, diritti, organizzazione del lavoro) ci chiedono di continuare a lavorare con attenzione alle diverse priorità e ai diversi bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori che rappresentiamo, per promuovere appieno la parità nella nostra azione contrattuale e per fare questo abbiamo bisogno di preservare e valorizzare la presenza femminile in tutti i luoghi e a tutti i livelli dell’organizzazione.
Crediamo che siano ancora tante le sfide da affrontare, dalla conciliazione/flessibilità positiva/smart working, alla parità salariale e di accesso ai percorsi di carriera, per citare soltanto alcune. Vorremmo quindi lavorare sulla lettura comparata dell’andamento dati dei rapporti sul personale maschile e femminile e sulle politiche da mettere in campo in tema di recupero del gap salariale e professionale e di flessibilità positiva, a partire dagli accordi già sottoscritti
in alcune aziende. A questo proposito, dobbiamo attivarci perché nessuna azienda del settore, soggetta all’obbligo di legge, possa sottrarsi alla consegna del rapporto (tenuto conto che la legge prevede anche un impianto sanzionatorio) e questo già a partire dai rapporti biennali che le aziende devono consegnare entro il 30 aprile prossimo. E’ chiaro che qui l’obiettivo non è puramente conoscitivo: si tratta piuttosto di tentare di incidere sulla condizione oggettiva delle lavoratrici del settore, garantendo pari opportunità di carriera ed equità salariale. Sempre nel campo della contrattazione aziendale, e sempre attraverso uno stretto coordinamento e scambio di esperienze con e tra le compagne delle Segreterie aziendali e dei Gruppi, vorremmo provare a valorizzare concretamente i principi dell’Accordo Quadro sulle molestie e violenze nei luoghi di lavoro, sottoscritto il 25 gennaio scorso tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL. L’Accordo favorisce certamente l’apertura di un dialogo con le controparti datoriali, consentendoci di evidenziare, stigmatizzare e sanzionare comportamenti sessisti e abusi di potere. Tuttavia, perché sia davvero esigibile all’interno dei luoghi di lavoro, occorre riempirlo di contenuti, di azioni concrete, sottoscrivendo in categoria e nelle aziende/gruppi degli accordi applicativi tenendo presente che, molto spesso, le molestie sessuali sono accompagnate da molestie di tipo professionale.
Come sapete il Comitato dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, con una decisione che risale al 12 ottobre 2015 resa pubblica soltanto lo scorso 16 aprile (dopo un lungo periodo di embargo), ha accolto il reclamo collettivo n.91 del 2013 presentato dalla Cgil sulla mancata applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza e sulle difficili condizioni di lavoro del personale non obiettore di coscienza. La sentenza afferma che l’Italia viola i diritti delle donne per la “sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto nella legge”. L’Italia, secondo la Corte Europea, è quindi responsabile della lesione dell’effettivo esercizio del diritto alla protezione della salute sancito nell’art. 11 della Carta Sociale Europea e inoltre discrimina i medici ed il personale non obiettore che subiscono “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti ed indiretti” in termini di carichi di lavoro, opportunità di carriera, ecc. E’ una sentenza importante perchè ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge che, se non trova piena attuazione ed esigibilità, sancisce un diritto a metà, alimentando il senso di colpa vissuto dalle donne e contribuendo così a rendere l’Italia un paese incivile. Vogliamo concludere con questa riflessione. Impegnarsi perché si raggiunga una reale parità tra uomo e donna è un dovere del mondo del lavoro, in particolar modo del nostro settore considerato in qualche misura privilegiato, perché la sua valenza non si ferma soltanto al sacrosanto diritto alla parità salariale, alle pari opportunità e a tutti i temi già affrontati, ma ha ripercussioni sulla parità sociale nel suo complesso. Nella legge di sopravvivenza che ancora regola l’essere umano si aggredisce e attacca chi è percepito più debole. Nella società occidentale la debolezza o forza si misura con il potere economico, la parità dei diritti, i ruoli che si ricoprono. Ogni volta che sentiamo di un femminicidio, o di un abuso fisico/morale su una donna, anche se avviene in un ambito sociale più disagiato, dobbiamo essere consapevoli che quella prevaricazione è avvenuta perché la donna è percepita come soggetto socialmente più debole. Noi, donne e uomini che facciamo sindacato, abbiamo il ruolo, gli strumenti e il dovere per contribuire a porre fine a tutto questo perché, parafrasando una canzone di Fabrizio de Andrè, “anche se NOI ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti”.
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