Da Sole24Ore.com – di Cristina Casadei. La discussione con il sindacato dei processi di riorganizzazione e razionalizzazione del gruppo Unicredit entrerà nel vivo oggi e domani: i tempi ormai sono stretti, la procedura scade il 3 febbraio. Dopo l’annuncio dato alla comunità finanziaria lo scorso novembre, adesso il capo delle relazioni industriali, Emanuele Recchia, deve discutere operativamente con i rappresentanti dei lavoratori come realizzare nell’intero arco del piano 2018 le ricadute per circa 7mila posizioni full time equivalent che sono costituite – si legge nella lettera di avvio procedura ricevuta dai sindacati a metà dicembre – da circa 1.360 efficientamenti gestibili mediante processi di riqualificazione professionale e circa 5.640 riduzioni di personale.
Quest’ultimo obiettivo, in parte è già raggiunto, perché 2.401 persone sono già uscite nella prima fase – l’accordo è stato siglato il 28 giugno 2014 – attraverso un piano di esodo al momento del pensionamento di tutti coloro che hanno maturato il requisito di pensionamento al 31 dicembre 2018. Da discutere ci sono «2.700 riduzioni riferibili al periodo 2016-2018 già deliberate dal cda dell’11 marzo 2014 a cui vanno aggiunte le ulteriori riduzioni conseguenti agli interventi di aggiornamento al piano 2018 decisi dal cda dell’11 novembre 2015 che possono essere contenute in 540», si legge.
In via prioritaria viene valutato l’uso del Fondo di solidarietà. Per l’azienda risulta sostenibile far riferimento all’uscita di personale più prossimo al diritto a pensione, di massima 30 mesi. Per le ulteriori riduzioni richieste dall’aggiornamento del piano 2018 «potrà rendersi necessario in tutto o in parte, anche in ragione della qualità e quantità delle persone coinvolte, individuare forme diverse e specifiche di intervento». Con il piano il gruppo dovrà tagliare i costi del personale di circa 738 milioni di euro.
Sommando, entro il 2018 dovranno quindi uscire 3.240 bancari, mentre verranno chiusi sul territorio altri 200 sportelli, oltre ai 530 chiusi secondo quanto stabilito dai vecchi piani. Viene prevista anche una razionalizzazione dei corporate center che avrà un forte impatto sulle figure manageriali. Delle 3.240 uscite, 470 riguardano infatti dirigenti. La banca ha spiegato ai sindacati la necessità di riallineare la percentuale dei dirigenti alla media nazionale: nel gruppo Unicredit attualmente i dirigenti sono il 2,9% dei 50mila dipendenti, rispetto all’1,9% della media di settore. Le uscite riguardano quindi circa un terzo dei dirigenti.
Per Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi, sono «eccessivi gli esuberi presentati dall’azienda e decisamente poco chiare le modalità fin qui delineate dalla banca per gestirli. L’ipotesi di ricorrere a uscite obbligatorie è impercorribile, come del resto l’imposizione di ulteriori sacrifici ai dipendenti. Chiediamo un’assunzione di responsabilità da parte del management affinché il piano di razionalizzazione dei costi sia attuato con equilibrio, senza ulteriori e ingiuste penalizzazioni per i lavoratori».
Elena Aiazzi, segretario nazionale della Fisac Cgil, ritiene che «prima bisognerà capire chiaramente come si arriva ai numeri indicati dalla banca, sia per le aree professionali, che per i quadri che per i dirigenti. Dobbiamo trovare le soluzioni per tutti, non ci sottraiamo alla responsabilità, ma sui dirigenti bisognerà capire di che cosa si tratta».
Pierluigi Ledda segretario nazionale della First Cisl spiega che «per le 2.700 uscite che riguardano aree professionali e quadri, annunciate già nel 2014, era stato individuato un percorso che è quello del fondo di solidarietà e della volontarietà.
Per i dirigenti, invece, la soluzione non è ancora stata trovata e bisogna individuare un meccanismo che li tuteli. Senza dimenticare che bisogna dare risposte ai lavoratori che rimangono con forti investimenti e che bisogna anche parlare di turnover, non solo di uscite». Mariangela Verga segretario nazionale della Uilca dice: «Siamo contrari all’applicazione obbligatoria del fondo di solidarietà e contestualmente alle uscite riteniamo di dover ragionare di assunzioni».