Dal sito cgil.it – “La tenuta finanziaria del nostro sistema previdenziale non è a rischio, di certo lo è l’entità delle prestazioni per amplie fasce della popolazione: basta ad allarmi e a ‘riforme’ per fare cassa, modificare radicalmente la normativa vigente per restituire equità e solidarietà al sistema. La mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil continua e il 17 dicembre terremo grandi attivi interregionali per aprire una vera e propria vertenza con il Governo”. Con queste parole Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, interviene sul tema della previdenza in seguito alla diffusione del rapporto OCSE ‘Pensions at a glance 2015’.
“Non c’è un rischio di tenuta finanziaria per il sistema previdenziale italiano – spiega Lamonica – se è vero che, come dice la stessa OCSE, le riforme realizzate negli ultimi anni hanno portato l‘età pensionabile al livello più alto in Europa, e che la spesa pensionistica è calcolata comprendendo tutta la parte assistenziale, in altri Paesi non caricata sulla previdenza”. “Peraltro nel nostro Paese – sottolinea – per effetto dell’aggancio automatico al meccanismo dell’attesa di vita, dato medio che non tiene conto della differente longevità dovuta a condizioni sociali e attività lavorative diverse, l’età di pensionamento nel giro di pochi calendari sarà portata ben oltre i 67 anni. Per molti trattamenti di importo basso si supereranno i 70“.
Per Lamonica “il vero problema è l’inadeguatezza delle prestazioni: disoccupazione, precarietà, lavoro povero e buchi contributivi, anche per le attività di cura delle donne, mettono seriamente a rischio il futuro pensionistico di fasce amplissime della popolazione italiana. E se questo è il vero problema – prosegue la dirigente sindacale – allora occorre invertire la logica che ha guidato le riforme di questi anni: basta allarmi sulla tenuta finanziaria del sistema che sollecitano politiche di prelievo per fare cassa, come è stato abbondantemente fatto in Italia”.
“Ora – sostiene la segretaria confederale – si tratta di attuare una riforma radicale della normativa vigente che dia risposte concrete sul necessario tasso di solidarietà da restituire al sistema, a partire dal sostegno ai periodi di assenza contributiva, di intermittenza nel lavoro, di riconoscimento del lavoro di cura. Bisogna attuare una politica del lavoro tesa ad aumentare l’occupazione, soprattutto giovanile, perché in un sistema a ripartizione questa è l’unica politica che, anche nel lungo periodo, può rafforzare la tenuta del sistema previdenziale”.
“Anche per questo – continua – è necessario abbassare al più presto l’età di accesso, con una vera flessibilità che differenzi tra i lavori e non ne scarichi i costi sui lavoratori”.
Lamonica conclude poi ricordando che “Cgil, Cisl e Uil il prossimo 17 dicembre terranno a Torino, Firenze e Bari grandi attivi interregionali dei delegati per aprire con il Governo una vera e propria vertenza sugli obiettivi della piattaforma unitaria“.
da Repubblica.it – MILANO – Primi al mondo per spesa pensioni. Primi per aliquota contributiva più alta. Peggio: la sentenza della Consulta sulle perequazione delle prestazioni previdanziali rischia di avere un impatto “forte” sui conti pubblici. Lo mette nero su bianco l’Ocse nel rapporto “Pensions at a glance 2015” dove emergono tutte le criticità italiane con i rischi di tenuta del sistema con una serie di anomali preoccupanti a cominciare dal fatto che gli over 65 godano di un reddito “relativamente elevato”, pari al 95% della media nazionale, come Grecia, Spagna e Portogallo: tutti Paesi con una disoccupazione giovanile elevatissima.
Le riforme. Nonostante le riforme avviate negli ultimi anni e la crescita prevista dell’età pensionabile in Italia “la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico richiede ulteriori sforzi negli anni a venire”. Secondo l’organizzazione parigina nel medio e lungo periodo “è necessario stimolare la partecipazione dei lavoratori anziani: ad oggi, l’età effettiva di uscita dal mercato del lavoro rimane la quarta più bassa dell’Ocse e il tasso di occupazione per i lavoratori di età tra i 60 e i 64 anni è pari a circa il 26%, contro il 45% in media dell’Ocse. Eppure – prosegue l’Ocse – molti pensionati oggi ricevono prestazioni pensionistiche relativamente generose nonostante un basso livello di contributi versati”.
Le mamma le più penalizzate. Il mercato del lavoro e il sistema pensionistico non stimolano le donne a dedicarsi alla cura dei bambini. L’Italia, sottolinea l’Ocse, è – insieme a Germania, Islanda e Portogallo – il Paese europeo dove una donna che trascorra cinque anni fuori dal mercato del lavoro per badare ai propri figli subirà, una volta in pensione, le conseguenze più pesanti in termini di abbassamento dell’importo dell’assegno, laddove in almeno un terzo dei Paesi Ocse una “aspettativa” quinquennale non avrebbe il minimo effetto sui trattamenti pensionistici futuri. A complicare la situazione c’è il fatto che il periodo di congedo per maternità concesso alle lavoratrici italiane non solo è abbondantemente inferiore alla media Ue, ma è accompagnato dalla scarsità di forme di congedo parentale per gli uomini. Se, ad esempio, una neomamma italiana avrà gli stessi giorni di maternità di un’olandese, il marito di quest’ultima avrà un periodo di congedo analogo a quello della moglie, laddove un italiano appena diventato padre può assentarsi, in media, per appena un giorno. In compenso, però, l’Italia, è tra i pochi Paesi a concedere contributi figurativi per chi ha figli a carico, anche qualora non interrompa l’attività lavorativa, contributi destinati a crescere con l’aumentare del numero dei figli.
I contributi. I contributi previdenziali sul lavoro dipendente in Italia al 33% sulla retribuzione sono al top rispetto ai paesi Ocse: il 23,81% per l’impresa, il 9,19% su lavoratore. Contributi obbligatori elevati, avverte l’Ocse, “possono abbassare l’occupazione complessiva e aumentare il sommerso”: alle spalle dell’Italia ci sono la Svizzera con un aliquota al 26,6% seguita dalla Finlandia (24,8%) e dalla Francia (21,2%). Il peso dell’assegno previdenziale è pari al 79,7% del salario medio, a fronte di una media Ocse al 63%.
Spesa pubblica. La spesa pubblica per la previdenza in Italia nel 2013 era al 15,7% del Pil, un livello quasi doppio rispetto alla media Ocse (8,4% del Pil) e la più alta dopo la Grecia tra i Paesi dell’organizzazione. Con la riforma del 2011, sono state adottate “importanti misure per ridurre la generosità del sistema, in particolare attraverso l’aumento dell’età pensionabile e la sua perequazione tra uomini e donne, ma l’invecchiamento della popolazione continuerà ad esercitare pressioni sul finanziamento del sistema”.
La Consulta. In questo senso la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della perequazione delle pensioni oltre tre volte il minimo (sopra i 1.500 euro al mese) nel 2012-2013 e i rimborsi parziali decisi dal Governo “avranno un impatto sostanziale sulla spesa pubblica”. Secondo l’Ocse “nel breve periodo ulteriori risorse sono necessarie per ridurre al minimo l’impatto della sentenza”.
Rischio giovani. A preoccupare l’Ocse è il fatto che molti lavoratori in futuro riceveranno trattamenti pensionistici più bassi di quelli versati oggi, un problema che riguarda soprattutto i più giovani che, trascorrendo lunghi periodi fuori dal mercato del lavoro, faticheranno a trascorrere una vecchiaia dignitosa, in particolare nel contesto di un sistema contributivo: “Tempo via dal lavoro significa tempo via dal sistema pensionistico”, si legge nel rapporto, “sebbene molti Paesi forniscano contributi figurativi durante periodi di disoccupazione, maternità o assenza per malattia, in futuro i trattamenti pensionistici saranno più bassi per molti lavoratori e per i più sfortunati tra i pensionati di domani, ovvero quei giovani che non riescono a entrare nel mercato del lavoro, le prospettive sono ancora più fosche”. Tuttavia, il Jobs Act dovrebbe garantire “una maggiore stabilità alle carriere lavorative”.
Età pensionabile. L’età minima per godere di un trattamento pensionistico di base in Italia è pari a 66,3 anni per gli uomini e 62,3 anni per le donne, con il primo dato superiore alla media Ocse (64,7 anni) e il secondo invece inferiore (63,5 anni la media Ocse). L’età della pensione minima per gli uomini italiani è la seconda più elevata dell’area Ocse e viene superata solo dai 67 anni necessari in Israele, Islanda e Norvegia. I più fortunati sono invece francesi e turchi, che possono andare in pensione, rispettivamente, a 61,2 e 60 anni. Per le donne l’età della pensione più elevata dell’area Ocse si registra in Norvegia (67 anni), Islanda (67 anni) e Portogallo (66 anni), mentre la più bassa si rileva in Turchia (58 anni), Polonia, Austria e Cile (60 anni in tutti e tre i casi).
Va sottolineato che la maggior parte dei paesi Ocse prevede la stessa età minima sia per gli uomini che per le donne, a partire da Germania (65,3 anni), Usa (65 anni) e Giappone (65 anni). Nel Regno Unito, invece, l’età minima è di 65 anni per gli uomini e 62 per le donne.