da Lettera43 – Nell’ottobre 2013, finita la lunga stagione di Ben Bernanke, Barack Obama scelse di affidare la guida della Fed, la banca centrale americana, a Janet Yellen, che per tutti gli anni della vicepresidenza era stata una convinta sostenitrice della necessità di proseguire nella politica monetaria espansiva adottata dall’istituto per fronteggiare la crisi economica.
Era la prima donna a ricoprire quel ruolo.
In Europa, la banca centrale è nelle mani dell’italiano Mario Draghi, ma nel suo board siedono due influenti personalità del mondo finanziario del vecchio continente, due donne, una francese e una tedesca che vanno acquistando potere crescente nella gestione dell’istituto e nella definizione delle sue politiche.
L’ALLARME DI BANKITALIA. Una è Sabina Lautenschläger, già numero due della Bundesbank, la banca centrale tedesca, che ha sostituito Joerg Asmussen nel board ed è ora vicepresidente del consiglio di vigilanza. L’altra è il suo capo, la francese Danièle Nouy, 63 anni, ex Banque de France, una che ha in mano la vigilanza sulla sicurezza e la solidità del sistema bancario europeo.
Pochi esempi ma sufficienti a capire perchè il quadro tracciato da Bankitalia nella sua ultima relazione sul Benchmark di diversity – l’indice che misura quanto gli istituti di credito siano aperti alle diversità: di genere, cultura, etnia, formazione professionale – nel sistema bancario italiano appaia desolante.
259 istituti su 579 non hanno donne nel board
Non si tratta della difesa, pur condivisibile, di un’astratta parità di genere, ma di efficienza, produttività, grado di innovazione che gli istituti di credito possono e devono esprimere.
Il «dibattito internazionale e l’esperienza di vigilanza hanno mostrato che negli organi collegiali di vertice delle banche», scrive l’istituto di via Nazionale, che dal 1861 ha avuto sempre e solo governatori uomini, «la diversity– riferita a età, genere, provenienza geografica e background professionale – assicura processi decisionali efficaci basati su una costruttiva dialettica interna».
La Banca d’Italia, seguendo le regole sulla vigilanza adottate dall’Ue, analizza ogni anno le politiche di promozione della diversity negli organi di gestione degli istituti di credito: consigli di amministrazione, consigli di sorveglianza, consigli di gestione. E ogni anno lancia l’allarme sulla scarsa o nulla presenza femminile.
UNA FOTOGRAFIA PREOCCUPANTE. Ma la fotografia scattata a luglio di quest’anno è se è possibile più preoccupante, e arretrata, delle precedenti, se si condierano i numerosi interventi, non solo di carattere normativo, che sono stati messi in campo negli ultimi anni per promuovere l’ingresso delle donne nei board bancari e delle quotate.
E senza voler citare la sequela di studi che certificano come nel percorso formativo universitario e post-universitario, anche nelle materie economiche e finanziarie, le donne siano se non più qualificate degli uomini, certo di pari livello.
I DATI DI PALAZZO KOCH. Su un «totale di 579 banche analizzate, 259 non hanno donne nei propri consigli in nessun ruolo», dice palazzo Koch. «Ripartendo gli intermediari in classi dimensionali, non sono presenti donne in 2 board su 18 intermediari con asset superiori a 30 miliardi di euro e in 6 board su 23 banche con asset tra i 10 e 30 miliardi di euro. Per le banche minori (dimensione dell’attivo fino 10miliardi) in 251 intermediari (per una percentuale pari a circa il 47% delle banche della categoria) il board è composto da soli uomini».
Nessuna donna al vertice delle grandi banche italiane
Per le figure apicali – presidente, amministratore delegato e direttore generale – i numeri sono ancora più sconfortanti: nelle «banche maggiori si rileva la totale assenza di donne».
Qualcosa si muove solo negli istuti minori «con attivo da 1 a 10 miliardi di euro», dove il 7% delle cariche di ad e «una quota di poco inferiore al 2% delle cariche di dg e presidente è ricoperto da donne». O nelle «banche più piccole (sino a 1 miliardo di euro), il 4% circa di ad e circa il 3% di presidenti e dg sono di sesso femminile».
LE DIFFERENZE CON L’EUROPA. Per l’istituto guidato da Ignazio Visco, il 20% di presenza femminile nei board dovrebbe rappresentare un valore minimo, anche in considerazione del fatto che per le banche più grandi, in Europa, il valore «che si va consolidando come prassi di mercato è generalmente più elevato e prossimo al 33%,anche in conseguenza delle indicazioni normative vigenti per le società quotate (c.d. “quote rosa”)».
La Banca d’Italia chiude invitando gli intermediari ad «adottare iniziative volte a favorire una maggiore presenza femminile nei propri organi di vertice, in tutti i ruoli (specie quelli esecutivi edapicali)».