Dalla busta della spesa ai programmi di viaggio, la sostenibilità incarnata si fa strada ed è anche buona! E’ interessante notare che anche a fronte di una crisi economica che non concede tregua, la sostenibilità incarnata, ovvero quella che viene esercitata come diritto-dovere tramite scelte quotidiane, consapevoli e di consumo, non diminuisca, ma cresca e si espanda a sempre più importanti settori economici.
Gli acquisti sostenibili, equi e solidali non sono certamente una novità. Hanno una storia ormai lunga e radicata anche nel nostro Paese. Ciò che forse però oggi è cambiato riguarda la base sociale di queste pratiche, oggi decisamente più “popolari” di qualche anno fa. Alla base di questa diffusione sicuramente una maggiore consapevolezza da parte del consumatore sugli effetti sociali dei propri consumi. Una consapevolezza maturata anche grazie all’attivismo di alcuni soggetti della società civile che hanno visto nella pratica del consumo uno strumento di partecipazione e di riaggregazione sociale.
Da questo punto di vista l’acquisto di un bene diventa il mezzo con cui si riallacciano relazioni, di prossimità, di vicinato, di responsabilità. Negli ultimi anni questo fenomeno è stato particolarmente evidente per quanto riguarda il cibo. In questo caso, per una quota sempre più ampia di consumatori non è stato più sufficiente che un prodotto alimentare fosse certificato biologico. Sempre di più oltre alla garanzia sulle proprietà dei cibi si è ricercata la relazione con il produttore e una maggiore conoscenza di tutto il processo di produzione e di trasformazione.
Una piccola rivoluzione se pensiamo che per decenni il consumatore era stato rappresentato come un soggetto passivo, manipolabile e orientabile da esperti di marketing, le cui tecniche sono diventate via via più sofisticate e per le quali le aziende produttrici investivano quote sempre più ingenti dei loro guadagni.
La ricerca di cibo sostenibile ha alla base diversi tipi di motivazioni, da quelle più strettamente derivanti da sensibilità ambientaliste, e quelle più salutiste. Motivazioni che incontrandosi ad esempio all’interno di un gruppo di acquisto si fondono e saldano intorno a un’idea di corresponsabilità sociale che attraversando la quotidianità dell’individuo diventa (sana) abitudine. Ed è qui, dall’abitudine che permette la sostenibilità incarnata, che si fanno altre scelte possibili che attraversano altri ambiti del nostro vivere, non solo dunque quando andiamo al supermercato, ma anche quando programmiamo un viaggio. Così il consumo sostenibile si diffonde fino a farci viaggiare cercando soluzioni a basso impatto ambientale e creando, come in un circolo virtuoso, opportunità di affermazione per un’offerta di ospitalità turistica che anch’essa sembra diventare sempre più attenta ad offrire prodotti dal territorio e servizi ecologici che diventano ben visibili anche agli ospiti, in modo diretto o indiretto. Dal cibo, all’accoglienza, alla consapevolezza del territorio in cui storia e memoria si intrecciano con la vita quotidiana di tutti noi, beni non delocalizzabili il cui utilizzo potrebbe nelle nostre regioni anche riportare per tanti certamente posti di lavoro oggi irrinunciabili.