Il superamento delle disuguaglianze tra uomini e donne nel mondo del lavoro, acuite da una crisi economica il cui costo molto si riversa sulle donne, è la questione che il sindacato quest’anno ha voluto porre in evidenza.
La perdita di 11 punti di Pil solo in questo periodo colpisce particolarmente le donne.
In modo particolare donne e giovani, sulle quali si scaricano gli effetti della mancanza di politiche di supporto e di un piano organico a favore di un “buon lavoro”. Pensiamo alla questione degli ammortizzatori sociali: lo stato sociale è stato ed è anche oggi fondamentalmente lavoristico, quindi solo nella misura nella quale le persone prestano la loro opera hanno diritto all’accesso. Chi ha meno facilità ad accedere resta ancor più colpito nei periodi di mancato lavoro.
Per le donne si aggiungono i noti problemi: part time involontario per poter conciliare tempi di lavoro e tempi di vita, servizi in alcune zone carenti e, oggi, in ragione del taglio alle risorse pubbliche che hanno ridotto servizi o incrementato la compartecipazione alla spesa, condizioni insostenibili con la crisi dei redditi delle famiglie. E’ indubbio che le donne, per poter lavorare ed esercitare la loro libertà, hanno bisogno di servizi.
Le differenze salariali, molto marcate, a parità di competenze e professionalità, stanno determinando una vera e propria forma permanente di discriminazione che non è più accettabile. Il divario retributivo fra uomini e donne, pari al 7,3% nel 2013 a svantaggio delle donne, è addirittura peggiorato dal 5,1% del 2007. Nel 2013 in Italia risultava disoccupato il 13,1% delle donne contro l’11,5% degli uomini. Un gap incredibile soprattutto a fronte dei dati relativi alla scolarizzazione e ai risultati raggiunti, che per le studentesse sono largamente più alti che per gli studenti. Il numero delle laureate supera infatti di gran lunga quello dei colleghi maschi. In Italia, ad esempio, ogni 100 uomini col titolo accademico in tasca, ci sono 155,8 donne che hanno raggiunto il medesimo traguardo.
Questo, insieme a quel “tetto di cristallo” che continua ad apparire molto lontano dall’essere infranto e alla mancata applicazione di normative pure avanzate che soprattutto a livello europeo si sono prodotte, sono tra gli ostacoli maggiori al pieno dispiegarsi della parità tra uomini e donne nel lavoro.
C’è poi un tema più generale legato alla sensibilità di genere nell’approccio al lavoro. Esistono modalità maschili e femminili nell’organizzazione e nella gestione del lavoro, e il prevalere delle prime sulle seconde spesso impedisce alle donne di apportare il proprio contributo di intelligenza e creatività. Un uomo ha spesso una visione “conformata” al mondo del lavoro, schematica a burocratica, che produce spreco di energie e carenze organizzative. Questo vale drammaticamente per gli aspetti infortunistici, perché il genere maschile è meno abituato a sentire e riconoscere un corpo, una dimensione fisica, l’insorgere di un disturbo o di una malattia.
La parità di genere nell’approccio al lavoro, ovviamente nella diversità di ogni individuo, che sia esso uomo o donna può essere la vera sfida per uscire dalla crisi in avanti, e forse anche per creare un nuovo modello di sviluppo compatibile con l’esistenza, anche nel mondo del lavoro, di due generi che reclamano di essere riconosciuti in egual misura”.
La perdita di 11 punti di Pil solo in questo periodo colpisce particolarmente le donne.
In modo particolare donne e giovani, sulle quali si scaricano gli effetti della mancanza di politiche di supporto e di un piano organico a favore di un “buon lavoro”. Pensiamo alla questione degli ammortizzatori sociali: lo stato sociale è stato ed è anche oggi fondamentalmente lavoristico, quindi solo nella misura nella quale le persone prestano la loro opera hanno diritto all’accesso. Chi ha meno facilità ad accedere resta ancor più colpito nei periodi di mancato lavoro.
Per le donne si aggiungono i noti problemi: part time involontario per poter conciliare tempi di lavoro e tempi di vita, servizi in alcune zone carenti e, oggi, in ragione del taglio alle risorse pubbliche che hanno ridotto servizi o incrementato la compartecipazione alla spesa, condizioni insostenibili con la crisi dei redditi delle famiglie. E’ indubbio che le donne, per poter lavorare ed esercitare la loro libertà, hanno bisogno di servizi.
Le differenze salariali, molto marcate, a parità di competenze e professionalità, stanno determinando una vera e propria forma permanente di discriminazione che non è più accettabile. Il divario retributivo fra uomini e donne, pari al 7,3% nel 2013 a svantaggio delle donne, è addirittura peggiorato dal 5,1% del 2007. Nel 2013 in Italia risultava disoccupato il 13,1% delle donne contro l’11,5% degli uomini. Un gap incredibile soprattutto a fronte dei dati relativi alla scolarizzazione e ai risultati raggiunti, che per le studentesse sono largamente più alti che per gli studenti. Il numero delle laureate supera infatti di gran lunga quello dei colleghi maschi. In Italia, ad esempio, ogni 100 uomini col titolo accademico in tasca, ci sono 155,8 donne che hanno raggiunto il medesimo traguardo.
Questo, insieme a quel “tetto di cristallo” che continua ad apparire molto lontano dall’essere infranto e alla mancata applicazione di normative pure avanzate che soprattutto a livello europeo si sono prodotte, sono tra gli ostacoli maggiori al pieno dispiegarsi della parità tra uomini e donne nel lavoro.
C’è poi un tema più generale legato alla sensibilità di genere nell’approccio al lavoro. Esistono modalità maschili e femminili nell’organizzazione e nella gestione del lavoro, e il prevalere delle prime sulle seconde spesso impedisce alle donne di apportare il proprio contributo di intelligenza e creatività. Un uomo ha spesso una visione “conformata” al mondo del lavoro, schematica a burocratica, che produce spreco di energie e carenze organizzative. Questo vale drammaticamente per gli aspetti infortunistici, perché il genere maschile è meno abituato a sentire e riconoscere un corpo, una dimensione fisica, l’insorgere di un disturbo o di una malattia.
La parità di genere nell’approccio al lavoro, ovviamente nella diversità di ogni individuo, che sia esso uomo o donna può essere la vera sfida per uscire dalla crisi in avanti, e forse anche per creare un nuovo modello di sviluppo compatibile con l’esistenza, anche nel mondo del lavoro, di due generi che reclamano di essere riconosciuti in egual misura”.
auguri di buon 8 marzo a tutte !
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