Utilizzando una delle inaccettabili “azioni di forza” che sembrano ormai caratterizzare
l’operato del nostro Presidente del Consiglio, il 20 gennaio 2015, con un provvedimento
d’urgenza, il governo Renzi ha decretato la trasformazione delle 10 principali Banche
Popolari in SPA.
Invece di affrontare con determinazione un tema centrale in questo momento: quale
dovrebbe essere la politica del credito nel nostro Paese, strumento indispensabile per
rilanciare l’economia, il governo interviene con uno strumento inusitato, la decretazione
d’urgenza, per riformare la Banche Popolari con parzialità approssimative e superficiali
che non possono essere accettate.
La decisione del Governo ha provocato reazioni e sollevato forti dubbi e perplessità, in
primo luogo proprio sulla scelta dello strumento del decreto legge per affrontare una
materia complessa che certamente necessita quantomeno di una disamina seria ed
approfondita mediante un normale iter legislativo.
Intervenire in questo modo sulle Banche Popolari significa anche esporle in fretta a facili
investimenti stranieri (pronti ad essere agiti, come mostra la vicenda di ICBP, per cui
esistono robuste offerte di acquisto da parte di fondi anglosassoni) ovvero operatori
interessati fortemente alla RACCOLTA e pochissimo al legame col territorio e agli
IMPIEGHI.
Forte preoccupazione deriva dalle indagini CONSOB su possibili speculazioni riguardanti i
titoli azionari delle Popolari. I dubbi vengono dalla dinamica speculativa seguita
immediatamente all’annuncio del decreto, fatto da parte dello stesso Renzi, prima della
sua emanazione.
La situazione del nostro settore , falcidiato dalla crescita esponenziale di crediti inesigibili,
ci impone una riflessione sulla qualità di un management strapagato e inadeguato che ha
costruito spesso la propria posizione su un sistema di clientele di cui i lavoratori e le
lavoratrici delle Banche Popolari sono particolarmente consapevoli avendolo più volte
denunciato.
I prestiti e i mutui, erogati senza adeguate garanzie ad “amici “e “ad amici degli amici” di
molti manager, costellano il panorama delle sofferenze ed è risaputo che oltre il 50% dei
crediti inesigibili è stato originato da fidi e prestiti di importo superiore al milione di euro,
decisi dai vertici aziendali e non certo dai responsabili delle piccole agenzie.
E’ evidente che l’attuale sistema del voto capitario, con carovane di “truppe cammellate”
orchestrate ad arte per difendere in assemblea rendite di posizione, ha contribuito a
rafforzare e a rendere sostanzialmente inamovibili manager che hanno sbagliato
investimenti e strategie organizzative.
L’utilizzo distorto del voto capitario, strumento nato originariamente come forma di
democrazia economica, impone una riforma che corregga tali storture ma non è con un decreto d’urgenza che si può affrontare un tema come questo, fatto di 150 anni di storia
nel nostro paese, di vicinanza delle Banche Popolari ai territori di appartenenza ma anche,
lo sappiamo bene, di profondi cambiamenti, di trasformazioni, anche dimensionali, che
hanno allontanato alcune Popolari dall’originario radicamento nel territorio.
Ed è per questo che una riforma del mondo delle Popolari va affrontato, con i soggetti
coinvolti, per salvaguardare il sostegno alle famiglie e alle piccole e medie imprese,
“mission” peculiare delle Banche Popolari, ponendo una particolare attenzione al
mantenimento dei livelli occupazionali che rischiano ulteriori forti contrazioni a seguito di
improvvise scorribande da parte di investitori stranieri.
E per ragionare di una riforma del mondo delle Popolari occorre riflettere anche su temi
fondamentali che non possono essere archiviati nel cassetto dei ricordi; la valenza di un
azionariato popolare diffuso che mantenga, laddove ancora sussista, un legame profondo
con le forze produttive dei territori e la partecipazione democratica elemento fondante
dell’idea cooperativa.
Quanto pensato dall’attuale governo è agli antipodi rispetto al modello propugnato dal
nostro Sindacato come dimostrato nella piattaforma del CCNL, a sostegno della quale i
Lavoratori del settore hanno scioperato il 30 gennaio scorso.
Noi vogliamo una banca responsabile, etica, attenta ai territori, allo sviluppo economico,
alle famiglie e alle imprese, che crei lavoro buono. Come, d’altra parte, previsto dalla
nostra Costituzione.
Il direttivo nazionale della Fisac, riunito a Milano l’11 e 12 febbraio, si impegna a porre in
atto ogni iniziativa utile per ottenere che la riforma delle Banche Popolari sia ricondotta in
un normale alveo legislativo, avviando nel contempo un immediato confronto con i soggetti
coinvolti che comprenda anche:
– commissioni e gruppi parlamentari, iniziando con le audizioni che si svolgeranno nei
prossimi giorni alla Camera
– associazioni di categoria, a partire dal convegno nazionale organizzato
unitariamente e che si svolgerà a Milano il 27 febbraio
con l’obiettivo primario di salvaguardare gli interessi dei lavoratori, delle famiglie e delle
piccole e medie imprese su cui si basa il tessuto economico del nostro Paese.
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Quanto sopra riportato è il testo integrale del documento assunto dal Comitato Direttivo
Nazionale della Fisac/CGIL nella sua ultima riunione.
19 febbraio 2015
Fisac-CGIL Gruppo Banco Popolare
2015.02.19 FISAC Decreto Trasformazione Banche Popolari