Giornale Credito & Mezzogiorno – febbraio

La risposta delle lavoratrici e dei lavoratori del credito alla chiamata del sindacato a difesa del Contratto e della Piattaforma di rinnovo è stata massiccia e, si può dire, senza precedenti. Percentuali altissime di adesione allo sciopero in tutto il Paese, anche maggiori di quelle del 31 ottobre del 2013, testimoniano di quanto sia alta la consapevolezza dell’importanza della vertenza in atto con Abi, e anche della portata dell’attacco che più complessivamente si sta portando al mondo del lavoro e alla sua rappresentanza. I banchieri in questo sembrano perfettamente allineati a un Governo che persegue il miraggio del risanamento dei conti e del rilancio dell’economia ribadendo il diseguale mitologema mercatista della riduzione dei diritti e delle retribuzioni di chi lavora come soluzione al problema. Così nelle banche la questione non è lo stato comatoso del sistema dovuto in buona parte agli errori degli amministratori e del management, ai loro compensi scandalosi, a una sottocapitalizzazione che contribuisce al credit crunch con una distribuzione di dividendi che negli ultimi 5 anni ha raggiunto i 40 miliardi – valore ben superiore alle operazioni di aumento di capitale effettuate nel periodo – (cfr. Lavoce.info 16 gen 2015), al fatto che non c’è un’idea di sistema e di un nuovo modo di fare banca come proposto dal Sindacato (cfr. anche l’intervento del 30 gennaio del nostro Cicala sul portale Fisac), no, la questione è come ridurre il ruolo dei dipendenti
bancari, il loro potere d’acquisto e i loro diritti con il fin troppo palese obiettivo di fare a pezzi il contratto nazionale, in linea con un’offensiva datoriale e dell’esecutivo che su questo tema è generale. La riuscita dello sciopero è stata la matura risposta a questo intento ostile, da interpretare addirittura come ideale continuazione della manifestazione della CGIL del 25 ottobre e dello sciopero generale del 12 dicembre, nella rivendicazione di un nuovo protagonismo dei lavoratori e del sindacato, ma per quanto riguarda il settore, non deve essere che l’inizio di un percorso. Il mandato è semplice e lineare: Abi ritiri le proprie pregiudiziali e si ragioni sulla nostra piattaforma, mediazioni e punti di incontro, come in ogni trattativa, possono sopraggiungere nel confronto, ma il punto di partenza sono le richieste sindacali. La partita è troppo importante e non consente ambiguità. E’ importante anche per il Sud del
Paese, che si aspetta un rilancio per il quale il credito (e un nuovo modello di banca) diventa essenziale. La desertificazione delle attività produttive nel Mezzogiorno riguarda anche il nostro settore: negli ultimi 5 anni le banche hanno chiuso nelle regioni meridionali altri 800 sportelli (vedi tabella sul ns portale) in una situazione già diseguale nel rapporto filiali abitanti rispetto al resto del Paese. Il livello dei crediti deteriorati e quello dei tassi su prestiti e mutui (vedi qui articolo su bad bank) sono un’altra prova del dualismo che affligge la nostra economia e l’insieme delle strutture creditizie nazionali non può farsi da parte, così come il Governo che, mentre per evidenti ragioni di consenso pensa a un ministero per il Mezzogiorno, destina altri miliardi di fondi europei ad altre poste (cfr. repubblica e altri 4 feb 2015). In conclusione, la nostra vertenza è solo agli inizi, essa ha un carattere nazionale di capitale importanza e mantenere e rafforzare il contratto collettivo nazionale è questione che non riguarda solo noi ma tutti quelli che hanno a cuore i reali interessi del Paese.

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