Sull’obbligo del Pos negli studi professionali dal 30 giugno resta qualche perplessità anche dopo la risposta (prot. N.D/85 del 10 giugno 2014) che il Ministero dell’Economia ha fornito nell’interrogazione parlamentare n. 5-02936, sostenendo che i professionisti dovrebbero strutturarsi con il Pos, ma che questo non sarebbe inquadrabile in termini di obbligatorietà. Più precisamente, il Mef condivide le tesi del Consiglio Nazionale Forense, secondo cui la norma che impone il Pos avrebbe introdotto non “un obbligo” ma “un onere”, “il cui campo di applicazione sarebbe limitato ai casi nei quali siano i clienti a chiedere ai professionisti la forma di pagamento tramite le carte di debito”.
La ragione sarebbe da ricercare, secondo il Ministero, nel “fatto che non risulta prevista alcuna sanzione a carico dei professionisti che non dovessero disporre “della necessaria strumentazione a garanzia dei pagamenti effettuabili con moneta elettronica”.
Restano, però, alcune perplessità interpretative. Rileggendo il testo della normativa si nota che in effetti l’art.15, comma4 del Dl18 ottobre 2012, n.179 (convertito in legge 221/2012) dispone che, a partire dal 30 giugno 2014 “i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazioni di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito”.
In primo luogo si può osservare che l’espressione “sono tenuti” ha un tenore imperativo, a prescindere dal fatto che una sanzione sia prevista dal legislatore in caso di violazione della norma. Il nostro ordinamento è costellato di norme imperative non assistite da sanzione, ma non per questo è messa in discussione la loro imperatività.
In secondo luogo, sapendo che è vero che non esiste sanzione, i professionisti hanno comunque l’obbligo di esercitare la propria professione con “il decoro (art. 2233, comma2, del Codice civile), e quindi con un comportamento rispettante la legge. Si può dunque prevedere che qualche Ordine Professionale ritenga una violazione deontologica verso i clienti (ed i propri colleghi) l’infrazione dell’obbligo di Pos.
E’ comunque possibile leggere la norma non come “di un obbligo” ma, bensì, come “di un onere” che un professionista deve osservare per approfittare di un vantaggio che la Legge mette a disposizione se tiene un adeguato comportamento.
Però, parlando di “onere”, occorre parlare anche (viceversa) del fatto che se il soggetto interessato non tiene il comportamento dovuto, l’esito della non attività è che non può approfittare della situazione di vantaggio che la legge gli mette a disposizione. Per esempio, se si “verte” in tema di “onere” della prova (art. 2697 del Codice civile) si allude al fatto che il soggetto deve dare dimostrazione dei fatti che suffragano la sua domanda in giudizio; con la conseguenza che, se la prova è fornita, la domanda è accettata, in caso contrario viene respinta.
Tornando al caso del Pos, è difficile sostenere che si sia nell’ambito di un onere, perché
allora bisognerebbe immaginare una situazione di svantaggio che deriva al soggetto che non ha tenuto il comportamento al quale era obbligato; ma, ovviamente, non è plausibile pensare che questo svantaggio consista nell’estinzione del credito del professionista, causata dal fatto che egli non ha messo a disposizione del cliente il Pos richiesto.
Se invece il debito del cliente permane nonostante l’impossibilità di usare il Pos (perché non c’è o non funziona) ragionare in termini di onere con riguardo al fatto che si tratti di una dotazione necessaria per un professionista lascia sicuramente scoperto il campo rispetto ad una domanda: quale è lo svantaggio per il professionista che non mette il Pos a disposizione del cliente? Delle due l’una: o non c’è svantaggio (e allora la norma è come se non ci fosse) o la norma è obbligatoria a prescindere dall’assenza di sanzione!
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