Mentre proseguono i lavori della 58ma sessione della Commissione delle Nazioni Unite (UN CSW58) sulla condizione delle donne che si è aperta a New York lunedì 10 marzo, i Governi che compongono il gruppo di negoziazione avvieranno, nel fine settimana, la discussione di compromesso sul documento finale, le cosiddette agreed conclusions.
La bozza di quest’anno, sull’analisi dei progressi e delle sfide per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) in un’ottica di genere, presenta un impianto decisamente positivo, secondo una valutazione condivisa dalla delegazione sindacale internazionale, poiché contiene diversi punti qualificanti di interesse e senz’altro è migliore di altri testi con cui si è cominciata la discussione negli anni passati.
La diplomazia internazionale è da settimane al lavoro per sostenere o per emendare i contenuti del documento, secondo gli orientamenti e gli obiettivi politici dei Governi, anche attraverso forti azioni di lobby a tutti i possibili livelli di intervento.
Ad oggi, sembra che Unione Europea, Filippine, Brasile, Argentina e Messico, nelle riunioni preparatorie, abbiano assunto posizioni utili ad un buon risultato, mentre si prepara un duro ostruzionismo da parte di Indonesia, Vaticano, Russia, Iran, paesi del Golfo, diversi paesi caraibici e molti Stati africani.
Ancora una volta è sul linguaggio che non si trova la mediazione, in particolare con riferimento ai “diritti umani delle donne” (domanda reiterata degli oppositori: “cos’hanno a vedere i diritti umani delle donne con lo sviluppo?”), ai “diritti sessuali”, alla “salute riproduttiva” (e qui ancora la proposta è quella di “donne nella famiglia”), protezione sociale e lavoro dignitoso (con gli Stati Uniti tra i primi a dirsi “preoccupati” dai paragrafi su questi temi e quindi pronti ad essere contro il loro inserimento), sul finanziamento alla parità di genere, sull’Agenda post-2015 e l’adozione di un obiettivo a sé sull’uguaglianza di genere, sui diritti dei migranti, sul cambiamento climatico e sulla sovranità.
Il blocco africano ha persino avanzato la proposta di lasciare l’interpretazione del documento finale aperta ad adattamenti secondo la religione e la cultura.
Come è evidente, ancora una volta l’esito è tutt’altro che scontato.
Nel 2012 non si giunse ad accordo e in quell’occasione la comunità diplomatica internazionale diede una prova manifesta di incapacità.
Quest’anno la materia è quanto mai delicata e fondamentale per la democrazia e la giustizia sociale ed è ora più che mai necessario un consenso politico, soprattutto considerando che il prossimo anno seguirà la valutazione sull’attuazione della Piattaforma di Pechino.
E’ vero che le agreed conclusions non sono uno strumento giuridicamente vincolante per i Governi, ma è altrettanto evidente che possono costituire un riferimento essenziale per la definizione o il rafforzamento di politiche nazionali.
Secondo i criteri di rotazione che regolano questi lavori, da quest’ anno il governo italiano non fa più parte dei 45 negoziatori al tavolo.
Ovviamente è però importante il ruolo che può svolgere nell’ambito UE per sollecitare prese di posizione nell’uno o altro verso.
Per questo, la CGIL ha fatto pervenire in tempo utile al Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio le osservazioni da parte sindacale, secondo quanto definito anche con la Confederazione Internazionale dei Sindacati (ITUC – CSI) e concordato con i sindacati degli altri paesi presenti a New York, che si muovono in maniera analoga.
Alleghiamo la traduzione italiana del documento sindacale elaborato insieme all’ITUC per la 58ma Commissione sulla condizione delle donne delle Nazioni Unite.
DichiarazioneITUC_58CSW_2014