La responsabilità dei dipendenti nel ccnl credito ed assicurativo – capitolo 1 parte 1

1 – La responsabilità disciplinare – Parte 1

A cura di Alberto Massaia – Incontro del 15 Maggio 2012 – Torino

Consulta Qaudri Direttivi ed Alte Professionalità – Fisac Cgil

Le norme contenute nei CCNL per i settori del Credito e delle Assicurazioni, in ordine alla responsabilità disciplinare e patrimoniale dei dipendenti si pongono in parte come un’integrazione in parte come una ripresa delle disposizioni di legge sull’argomento: ma il quadro normativo così definito appare nel complesso parziale e con larghi margini lasciati alla valutazione discrezionale del datore di lavoro. La materia delle azioni disciplinari e patrimoniali contro il lavoratore dipendente, per queste caratteristiche è quindi una delle più tipiche in cui emerge l’importanza di un corretto e tempestivo intervento sindacale a tutela del lavoratore.

Riguardo ai CCNL che abbiamo citato è necessario fare una precisazione. Il CCNL del Credito e quello delle Assicurazione (ANIA) risalivano al 2007 e sono stati entrambi rinnovati nel 2012. In ordine agli argomenti che interessano, i rinnovi contrattuali hanno portato a modifiche secondarie nel CCNL del settore del Credito e non hanno portato a modifiche in quello delle Assicurazioni. Peraltro, ad oggi, dopo la sigla dell’accordo di rinnovo, non è stato ancora redatto l’articolato dei due contratti; quindi faremo riferimento agli articoli dei CCNL del 2007 e indicheremo le modifiche apportate dai rinnovi del 2012.

In generale, premettiamo come la potestà disciplinare in capo al datore di lavoro, secondo la dottrina prevalente, abbia origine contrattuale: essa deriva dalla posizione subordinata del dipendente nel contratto di lavoro e s’inserisce nel più ampio potere organizzativo dell’impresa. Detta potestà disciplinare trova limiti di natura sia sostanziale che procedurale, previsti dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro. Per quanto riguarda il CCNL del credito, l’art. 40 del CCNL si limita ad elencare le diverse tipologie di sanzione disciplinare (il rimprovero verbale, il rimprovero scritto, la sospensione dal servizio e dalla retribuzione sino a 10 giorni, il licenziamento per giustificato motivo, il licenziamento per giusta causa) ed altresì a fissare il principio generico che le stesse sono applicate tenendo conto “della gravità o recidiva della mancanza, o al grado della colpa”. Analogamente, gli artt. 26, 75, 76 del CCNL delle assicurazioni (ANIA) elencano le medesime tipologie di sanzioni sopra citate ed enunciano il principio in base al quale tali sanzioni sono applicate “in relazione alla gravità della mancanza”

. Egualmente simili sono gli art. 27 e 59 del CCNL delle assicurazioni (agenzie). Tali norme dei tre CCNL in questione riproducono senza apportare integrazioni rilevanti alcune disposizioni di legge: così, le tipologie di sanzione sono quelle previste dalla legge n. 300/1970 “Statuto dei Lavoratori” e dalla legge n. 604/1966 sui licenziamenti individuali; il principio di proporzionalità fra il fatto contestato e la corrispondenza sanzione era invece già contenuto nell’art. 2106 codice civile, risalente al 1942

. Per quanto riguarda la procedura per l’irrogazione delle sanzioni in questione, nulla è previsto nei CCNL del credito e delle assicurazioni (agenzie) e quindi valgono le norme ben note fissate in materia dall’art. 7 della legge n. 300/1970. Per quanto ovvio la contrattazione integrativa aziendale può prevedere norme più favorevoli al lavoratore, in deroga alla legge. Invece il CCNL delle assicurazioni (ANIA) agli artt. 28 e 77 prevede una norma di maggior favore in ordine al termine entro cui il lavoratore può presentare le proprie difese, termine fissato in 15 giorni dalla contestazione anziché i 5 giorni previsti dalla legge n. 300/1970, art. 7, comma 5.

Riportiamo i commi da 1 a 5 e l’ultimo comma dell’art. 7 dello “Statuto dei Lavoratori”:

“Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione

in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistono. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966 n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a 4 ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di 10 giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. (…) Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi 2 anni dalla loro applicazione.”

Le disposizioni dello “Statuto dei Lavoratori” che abbiamo citato stabiliscono quindi una serie di precise regole a tutela del lavoratore, che ora sintetizziamo. In primo luogo, le norme disciplinari devono essere stabilite e portate a conoscenza dei dipendenti, mediante affissione 4, prima che avvenga il fatto oggetto di contestazione del datore di lavoro: si tratta di una tutela che come è noto è desunta – ovviamente “su scala ridotta” – da uno dei principi fondamentali del diritto penale, che evita la creazione arbitraria di sanzioni modellate a posteriori su fatti avvenuti in precedenza. E’ da precisare che la giurisprudenza non ritiene necessario che le regole disciplinari aziendali riportino altresì fatti che rappresentino una violazione di legge o dei doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione

: ciò è di tutta evidenza nel caso dei reati contro il patrimonio previsti e puniti dal codice penale, ma tale interpretazione può tuttavia condurre a conseguenze pesanti e non così intuitive se si considerano alcune leggi di specifico interesse in campo bancario. A questo punto è opportuno aprire una parentesi. E’ noto come alcune leggi – ad esempio la legge 197/1991 e successive modifiche, recante provvedimenti per limitare l’uso dei contanti, il decreto legislativo n. 385/1993 che ha approvato il testo unico della legge bancaria, il decreto legislativo n. 58/1998 che ha approvato il testo unico delle materie d’intermediazione finanziaria – prevedono sanzioni sia penali che amministrative per svariate irregolarità bancarie. L’ultima aggiunta è rappresentata dalla normativa in materia di servizi di pagamento (la cosiddetta PSD) introdotta dalla legge n. 88/2009 e dal successivo decreto legislativo n. 11/2010 che ha modificato il TUB, prevedendo essa pure sanzioni penali e amministrative per i dipendenti di banca. In tutti questi casi, la violazione delle norme di legge può comportare non solo le sanzioni penali ed amministrative in esse previste, ma altresì una sanzione disciplinare.

Ancora sul punto di cui sopra, una questione notoriamente complessa che s’inserisce in tale contesto è quella riguardante la necessità di una descrizione in forma più o meno dettagliata dei comportamenti sanzionati: certamente non è richiesta la rigorosa definizione tipica delle fattispecie del diritto penale, tuttavia definizioni generiche ed equivoche non possono considerarsi rispondenti alle previsioni dello “Statuto dei Lavoratori”. Due importanti corollari di tale principio consistono nel fatto che anche la contestazione deve essere precisa e circostanziata e che il datore del lavoro non può addurre a sostegno della sanzione fatti diversi e nuovi da quelli contestati, al fine di permettere al lavoratore di argomentare le proprie difese su fatti determinati e specificamente identificati

. In secondo luogo, è necessario che l’infrazione sia contestata per iscritto al lavoratore: è un aspetto che non necessita di precisazioni. In terzo luogo, la contestazione deve essere formalizzata con tempestività rispetto ai fatti. Si tratta di principi stabiliti dalla giurisprudenza ormai consolidata, a garanzia del diritto di difesa del lavoratore, che non deve essere lasciato in una situazione di incertezza di cui il datore di lavoro può approfittare per ricorrere a pressioni ricattatorie ed altresì in conformità con l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, in quanto il ritardo nella contestazione può indicare la mancanza d’interesse da parte del datore di lavoro ad applicare una sanzione. Peraltro la giurisprudenza di Cassazione è consolidata e concorde nell’evidenziare che la tempestività debba essere valutata in senso relativo, tenendo conto della complessità o meno della struttura aziendale, del tempo necessario per accertare i fatti – ciò è rilevante ad esempio nei casi in cui il comportamento doloso del dipendente abbia portato all’occultamento dei fatti stessi, per cui siano stati necessari accertamenti complessi – del tempo necessario per un ponderato esame dei fatti medesimi e delle successive controdeduzioni del dipendente

.Quale ulteriore corollario, è da evidenziare come la giurisprudenza ritenga che la tolleranza manifestata dal datore di lavoro in occasione di precedenti mancanze del dipendente non preclude al datore di lavoro stesso di mutare atteggiamento e di sanzionare i successivi comportamenti irregolari.

In quarto luogo, il lavoratore ha diritto a formulare le proprie difese, per iscritto o a voce, eventualmente facendosi assistere da un rappresentante sindacale.

Infine, trascorsi comunque 5 giorni dalla contestazione, sia nel caso che il lavoratore abbia formulato le proprie difese, sia nel caso in cui nulla abbia eccepito, il datore di lavoro può irrogare la sanzione disciplinare, nelle forme espressamente previste dalla legge medesima. La legge si limita a fissare un termine minimo, sia per fissare una scadenza entro cui il lavoratore può presentare le proprie difese e sia per evitare che una sanzione disciplinare venga comminata “d’impulso”, senza la necessaria ponderazione, lasciando però aperto il rischio che la procedura disciplinare resti in sospeso per un tempo indefinito. Alcuni contratti collettivi di lavoro – ma non quello per il settore del credito – fissano altresì un termine massimo entro cui deve chiudersi il procedimento disciplinare; in particolare il CCNL delle assicurazioni (ANIA) stabilisce all’art.28 un termine di 15 giorni entro il quale il datore di lavoro deve chiudere il procedimento disciplinare, elevabili a 30 giorni per esigenze derivanti dalla difficoltà nella fase di valutazione, purché tale fatto sia segnalato al lavoratore.

Con ciò si chiude l’iter disciplinare interno all’ambito aziendale; i successivi eventuali sviluppi riguarderanno un contenzioso giudiziale, secondo le norme consuete del processo del lavoro.

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