Carige: no alle cessioni di asset. Servono rapporti con il territorio ed etica

By: PCE (m-l) – All Rights Reserved
Comunicato stampa unitario. Nel corso degli ultimi giorni, con fastidio e irritazione abbiamo assistito al proliferare di articoli, interviste e indiscrezioni sugli organi di informazione aventi ad oggetto le modalità di realizzazione dell’operazione di rafforzamento patrimoniale che Banca d’Italia ha imposto al Gruppo Carige.
Abbiamo chiesto a tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda di fare cessare le continue illazioni sui futuri assetti del Gruppo che si susseguono quotidianamente sui mass-media e che hanno come unico risultato di indebolire l’immagine del Gruppo stesso.
Ci chiediamo se chi fa filtrare queste notizie sia realmente interessato alla prospettiva di sviluppo del Gruppo e sia consapevole del grave danno che rischia di provocare in termini di immagine e di ricadute sull’operatività giornaliera dei colleghi. Inoltre, ci chiediamo, considerato che stiamo parlando di una società quotata in borsa, se esiste e quale sia la rilevanza giuridico-legale di tali comportamenti.
Purtroppo ieri abbiamo letto la lettera aperta del Presidente della Fondazione, ampiamente ripresa dai media nazionali e locali.
Sorprendentemente in essa il Presidente conferma l’esistenza di un progetto che avrebbe previsto un aumento di capitale a favore di un nuovo socio e che avrebbe risolto in tal modo ogni problematica relativa alla patrimonializzazione senza dover ricorrere ad alcuna cessione di asset. Non comprendiamo perché tale ipotesi sia stata rifiutata, definendola addirittura dannosa, e invece si continui a perseguire la strada delle dismissioni.
Ribadiamo con forza che non può essere accettabile un piano che preveda la vendita di ulteriori asset, tra cui la cessione delle partecipazioni delle società del Gruppo, come invece sembra essere nelle intenzioni della Fondazione. Lo smantellamento del Gruppo riporterebbe lo stesso ad una dimensione territoriale assai limitata che nulla di buono farebbe presagire per il futuro dell’azienda e, soprattutto, delle lavoratrici e dei lavoratori. Occorre dirlo con chiarezza: cedere asset significa perdere posti di lavoro. Ne sono consapevoli le istituzioni che hanno voce in capitolo nella designazione degli organismi della Fondazione?
Fermo restando gli errori gestionali che hanno riguardato sia la Banca che la Fondazione, pare superfluo ricordare che il ruolo delle Fondazioni bancarie non è quello di esercitare un controllo sulla governance delle banche (direttamente o per mezzo di alleanze ) ma deve invece ricondursi ad una funzione sociale e di sostegno del territorio in cui esse operano e dunque avere come “scopo esclusivo il perseguimento di fini di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico”.
Un progetto noi l’abbiamo e lo portiamo a conoscenza di tutti: Banche radicate sul territorio, non basate esclusivamente sul profitto ma anche sull’etica, sullo sviluppo economico e occupazionale, Banche per la gente e per le aziende, non condizionate dalla politica.
Non possiamo quindi che essere favorevoli ad un’iniezione di denaro fresco nel capitale sociale dell’Azienda, dato che la stessa implicitamente porterebbe ad escludere la necessità di procedere a ulteriori dismissioni.
Dichiariamo fin d’ora che siamo intenzionati a reagire con fermezza e a utilizzare ogni sorta di iniziativa, nessuna esclusa, per la tutela di ciò che riteniamo primario: gli interessi e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori di cui il sindacato è il legittimo rappresentante. Alle parti in causa, che si sono completamente disinteressate dei circa 6000 dipendenti del gruppo, se si eccettua qualche sporadica dichiarazione, chiediamo l’impegno di fornire al più presto risposte e serie garanzie sotto l’aspetto occupazionale, normativo e contrattuale.
Le OO.SS alla luce di quando sopra richiedono un incontro urgente alle Istituzioni e ai gruppi consigliari degli Enti Locali.

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