25 luglio 1943: la caduta di Mussolini

Oggi è un altro giorno del calendario antifascista da ricordare e festeggiare: la caduta di Mussolini quel 25 luglio 1943.

E anche quest’anno si celebrerà con la “pastasciutta antifascista”, divenuta ormai un appuntamento della tradizione democratica, in memoria di quella offerta 79 anni fa dalla famiglia Cervi agli abitanti di Campegine.

Fu un gesto di solidarietà e speranza, umana e politica, di contadini all’avanguardia in una terra allora poverissima. Imbandirono una grande tavola, impensabile in un luogo dove gli agrari erano stati il primo sostegno alle camicie nere. In altre parti del Paese, il popolo italiano affamato e bombardato scendeva in piazza e chiedeva libertà, dopo ventuno anni di regime, e pace dopo tre anni di guerra al fianco dei nazisti. Ogni sollevazione venne però repressa nel sangue. Il 28 luglio, a Reggio Emilia, i soldati spararono contro gli operai delle Officine Reggiane facendo 9 morti. A Bari, vittime dell’esercito regio e dei carabinieri, coadiuvati da militi fascisti, rimasero a terra 20 persone e 38 feriti.

Dall’Archivio dell’Istituto Cervi:

“Il 25 luglio del 1943, a seguito della riunione del Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini viene destituito e arrestato. Dopo 21 anni terminava il governo del Partito Fascista. Il Re designò il Maresciallo dell’esercito Pietro Badoglio come nuovo capo del governo.

Nonostante la caduta del Fascismo, la guerra continuava a fianco dei tedeschi: nei giorni successivi l’arresto vi furono numerose sollevazioni popolari; il 28 luglio, a Reggio Emilia, i soldati spararono contro gli operai delle Officine Reggiane facendo 9 morti.

I Cervi non vennero immediatamente a conoscenza della notizia della caduta di Mussolini perché impegnati nei campi, ma fu sulla via del ritorno a casa che incontrarono numerose persone in festa.

Sebbene sapessero che la guerra non era davvero terminata, decisero di festeggiare comunque l’evento, un momento di pace dopo 21 anni di dittatura fascista. Si procurarono la farina, presero a credito burro e formaggio dal caseificio e prepararono chili e chili di pasta.

Una volta che questa fu pronta, caricarono il carro e la portarono in piazza a Campegine pronti a distribuirla alla gente del paese. Fu una festa in piena regola, un giorno di gioia in mezzo alle preoccupazioni per la guerra ancora in corso….” .

Nel 2022 diviene una sorta di imperativo per l’Anpi di “aggiungere alla storia e alla memoria l’urgenza dell’attualità” diffondendo in tutte le iniziative l’appello “Per una proposta di pace dell’Unione Europea” promosso da Anpi, Arci, Movimento europeo, Rete italiana pace e disarmo e Marco Tarquinio, direttore dell’Avvenire. Le pastasciutte sono infatti un momento di festa popolare e al contempo di impegno. In molti territori rappresentano un ritorno e in altri un’occasione per condividere la passione civile anche attraverso la presentazione di libri, spazi dedicati allo spettacolo, all’arte e la musica.

Sul sito dell’Anpi tutte le iniziative della giornata di oggi. 25 luglio 2022

Dipartimento Antifascismo
Fisac Cgil

 


Perché i fascisti odiavano la pastasciutta

dal sito www.collettiva.it/copertine
articolo di Daniele Soffiati

Il gesto dei Fratelli Cervi che il 25 luglio la offrirono ai loro compaesani per festeggiare la caduta del regime nacque dall’ostilità del Duce per un piatto che divenne simbolo di italianità nella comunità degli emigrati in America

Da una decina d’anni, la “pastasciutta antifascista” è probabilmente la manifestazione più diffusa dell’antifascismo italiano. Sempre più Comuni del nostro paese nei dintorni del 25 luglio celebrano collettivamente il gesto che nel 1943 fece la famiglia Cervi a Campegine, nel Reggiano per festeggiare la caduta del fascismo. Alla notizia della destituzione e dell’arresto di Mussolini, i Cervi offrirono quintali di pastasciutta (rigorosamente in bianco, come si mangiava allora) ai propri compaesani. Purtroppo il fascismo rinacque dalle proprie ceneri e durante i mesi terribili della Repubblica di Salò, i sette fratelli Cervi – Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore –  partigiani, pagarono con la vita l’adesione alla Resistenza e il loro amore per la libertà, trucidati dai fascisti.

Alberto Grandi, professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Parma, autore insieme a me di un podcast molto seguito: Doi – Denominazione di origine inventata, disponibile su tutte le piattaforme), illustra i motivi per cui il fascismo osteggiava la pasta.

Il rapporto tra il fascismo e la pastasciutta era stato conflittuale ancor prima della Marcia su Roma – spiega il docente –. Lo stesso Mussolini, romagnolo di nascita, probabilmente era poco avvezzo al consumo di pasta, come quasi tutti gli italiani – esclusi i napoletani e i siciliani – fino alla prima guerra mondiale. Proprio nel primo dopoguerra, però, mentre il fascismo inizia la sua lenta ma inesorabile conquista del potere, gli italiani scoprono la pasta e se ne innamorano. La scoprono in America, dove le varie comunità italiane, così distanti nella madrepatria, si mescolano e creano una cultura nazionale che in Italia ancora non esiste. La pasta, in qualche modo, ne diventa il simbolo, e automaticamente viene associata al sogno americano”.

Tutto questo spiega in buona misura l’ostilità del regime fascista che negli anni Venti considerava la pasta una sorta di moda americana di importazione, lontana dal ruralismo  alla base dell’ideologia di regime. L’ostilità si fece via via più concreta soprattutto dopo il 1925, aggiunge Grandi, quando venne lanciata la famosa “Battaglia del grano”, che aveva lo scopo di far raggiungere all’Italia l’autosufficienza cerealicola. La pasta era un problema da questo punto di vista, dato che il grano duro per produrla è sempre stato coltivato in quantità insufficiente nel nostro Paese. Quindi meno pasta mangiavano gli italiani e meno grano duro si doveva importare.

Infine ci si misero anche i futuristi, in particolare Filippo Tommaso Marinetti, che nel 1931 così si esprimeva nel Manifesto della cucina futurista: “A differenza del pane e del riso, la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato (…). Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”.

Gli sforzi propagandistici si scontrarono però con una passione incontenibile degli italiani per la pasta. La vicenda dei fratelli Cervi ci dimostra che in qualche modo la pastasciutta era considerata da sempre un simbolo di libertà: un piccolo, silenzioso e quotidiano gesto di resistenza nei confronti del Regime, il cui consenso era solo apparentemente monolitico.

Daniele Soffiati, segretario generale Cgil Mantova

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