di Silvana Cappuccio
Come realizzare l’agenda del lavoro dignitoso nelle catene globali del valore è una priorità dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, International Labour Organisation).
L’ILO, l’agenzia delle Nazioni Unite competente in materia di lavoro, ha una posizione unica nel panorama multilaterale grazie alla struttura tripartitaii, al ruolo normativo di cui è dotata e al suo mandato finalizzato a promuovere la giustizia sociale. Questa peculiarità le consente di mettere in luce e affrontare contraddizioni e fattori che esacerbano o creano disuguaglianze di ogni tipo, soprattutto sul lavoro, e di creare le condizioni per nuove tutele ispirate a principi forgiati su base tripartita in oltre cento anni di storia.
L’aumento di produzione e distribuzione di beni e servizi nelle catene globali e nazionali di fornitura o di valore (GSCs, acronimo dell’inglese global supply chains, e GVCs, global value chainsiii), è una delle caratteristiche più significative delle trasformazioni dell’organizzazione del lavoro degli ultimi decenni. L’ottanta per cento del commercio globale si svolge in “catene di valore” legate alle imprese transnazionaliiv. Si stima che nel mondo vi lavori un lavoratore su cinquev. Appare probabile, però, che la percentuale sia maggiore, dato che la maggior parte delle GSCs opera nell’economia informale, dove si trovano lavoratrici/ori occasionali, a domicilio senza contratto, interinali e atipici, che quindi non rientrano in rilevazioni ufficiali. La pandemia da Covid-19 ha poi ulteriormente aumentato la precarietà lungo le GSCs, favorendo sottoccupazione e maggiore disoccupazione.
Questi cambiamenti avvengono in un contesto di grande velocità delle comunicazioni e degli scambi e di rapida innovazione tecnologica, proprio mentre la giustizia sociale, la sostenibilità ambientale e i loro elementi di base sono investiti da profonda crisi. La maggior parte dei lavoratori delle GSCs si concentra nell’economia informale, dove spesso viene ignorato il rispetto dei diritti umani e del lavoro, inclusi la libertà di organizzazione, il diritto alla contrattazione collettiva, alla protezione della salute e della sicurezza. E’ il segmento in cui i salari sono più miseri e l’esposizione ai rischi di malattie e infortuni più elevata.
Si tratta di una realtà ben lontana dalla narrazione propagandata e corroborata negli ultimi decenni secondo cui il decentramento internazionale del lavoro genererebbe ricchezza. Al contrario, questo tipo di lavoro costituisce per una parte di umanità invisibile un tunnel cieco di sfruttamento, in cui la dignità umana è calpestata, i diritti fondamentali negati, la povertà perpetuata. Qui le speranze di un futuro più luminoso e felice per i lavoratori, le loro famiglie e le comunità spesso sono solo un miraggio.
In massima parte, sono le donne che occupano le posizioni meno qualificate e pagate delle catene di approvvigionamento. E non è raro che le stesse siano soggette a molteplici forme di discriminazione, molestie e violenza. L’industria dell’abbigliamento nel mondo offre molti esempi al riguardo, in particolar modo nelle zone di libero scambio dove è facile attingere manodopera dalle fasce più vulnerabili della società. Proprio qui si concentra generalmente il livello più basso dell’industria manifatturiera, poiché le imprese che investono in queste zone beneficiano, paradossalmente in maniera legale, di esenzioni fiscali e della mancanza di controlli sul rispetto dei diritti dei lavoratori, a cominciare dalla libertà di organizzazione sindacale e dal diritto di contrattazione collettiva, entrambi di frequente ignorati o repressi. Esistono casi in cui vengono creati anche dei falsi sindacati.
Queste situazioni hanno effetti devastanti sulla vita dei lavoratori e delle comunità e sull’accesso a servizi pubblici vitali come l’approvvigionamento idrico, le fognature, le cure sanitarie, i trasporti e le scuole. Ancora una volta, questo contraddice il leitmotiv che la decentralizzazione del lavoro creerebbe ricchezza. La verità è che invece questi processi creano un circolo vizioso che alimenta contemporaneamente povertà, discriminazioni, disuguaglianze e ostacoli alla democrazia.
Proprio per questo, sarebbe quanto mai necessaria una regolamentazione normativa internazionale sulle GSCs, a tutela dei diritti fondamentali del lavoro e della dignità della persona. La strada in questa direzione appare tuttavia irta e non priva di ostacoli.
Nel 2016, a seguito di un intenso e controverso dibattito tra i gruppi costituenti dell’ILO (lavoratori, datori di lavoro e Governivi), la Conferenza internazionale del lavoro (ILC, International Labour Conference) aveva adottato una risoluzione sul lavoro dignitoso nelle catene di fornitura globali, affermando tra l’altro: “c’è la preoccupazione che le attuali norme dell’ILO possano non essere adeguate a realizzare il lavoro dignitoso nelle catene di fornitura globali”vii. Questa formulazione rappresentava il solo possibile compromesso in quella fase, nonostante i sindacati avessero spinto invece per una nuova norma di tutela. A questa richiesta si era fermamente opposto il gruppo dei datori di lavoro del Consiglio d’amministrazione. Il clima teso che si era creato aveva portato allo scoperto profonde divergenze esistenti tra le parti sociali, orientate da valori e obiettivi profondamente diversi su questa materia che riguarda un fattore chiave delle trasformazioni globali del lavoro e rimane un nodo difficile da sciogliere.
Il gruppo imprenditori da molti anni lavora per minare, se non estinguere (sic!), la funzione normativa e il potere di supervisione sulle norme dell’ILO, cercando di ridurre il ruolo dell’Organizzazione a quello di una semplice organizzazione non governativa (ong). Tutto è cominciato nel 2012, quando i datori di lavoro hanno iniziato a mettere in discussione il riconoscimento del diritto di sciopero sancito dalla Convenzione 87 e ad ostacolare il funzionamento dei meccanismi di monitoraggio delle norme, così come definiti da oltre 90 anni. Successivamente, gli stessi si sono opposti a possibili nuovi standard, anche su fenomeni di enorme rilievo come il lavoro informale o le catene globali. Per queste ragioni, la risoluzione dell’ILC sul lavoro dignitoso nelle catene globali di approvvigionamento, nonostante sia lontana dalle aspirazioni dei sindacati, va letta come quell’appiglio che potrebbe ancora permettere di mantenere il dibattito aperto e aprire la strada alla negoziazione tra le parti sociali, nella speranza che il clima politico e i rapporti di forza tra le parti cambino.
La Conferenza internazionale del lavoro del 2019 ha adottato la Dichiarazione del Centenario dell’ILO per il futuro del lavoro (la Dichiarazione del Centenario), con cui invita i costituenti a garantire “che diverse forme di accordi di lavoro, modelli di produzione e di impresa, anche nelle catene di approvvigionamento nazionali e globali, facciano leva sulle opportunità di progresso sociale ed economico, forniscano un lavoro dignitoso e siano favorevoli all’occupazione piena, produttiva e liberamente scelta”viii.
Dopo la Dichiarazione, nel 2020 si è svolta una riunione tecnica tripartita a Ginevra per valutare i punti di carenza ovvero i deficit esistenti negli standard normativi sul lavoro dignitoso e identificare così i principali punti di governance necessari per nuovi orientamenti, programmi, misure, iniziative o standard. Ma purtroppo anche questo passaggio non ha portato ad alcun avanzamento, data la permanente chiusura del gruppo dei datori di lavoro, che hanno reiterato linguaggi e comportamenti persino aggressivi verso i lavoratori e i Governi. I divari tra approcci, politiche, contenuti e toni dei diversi partecipanti alla riunione sono stati così notevoli da impedire di giungere anche a minime conclusioni.
Durante l’esame delle lacune esistenti nel corpus di norme internazionali del lavoro, gli imprenditori, sostenuti da qualche Governo, hanno persino rifiutato che venisse utilizzato il sostantivo “norme” e proposto di sostituirlo con la perifrasi “misure normative e non normative”. La richiesta di cambio nella terminologia ha apertamente rivelato l’obiettivo di indebolire gli strumenti che il diritto internazionale del lavoro storicamente e istituzionalmente offre, per sostituirli con “misure” vaghe e indeterminate che non si accompagnano a chiare responsabilità in termini di conformità e attuazione. E’ evidente che non ci sarebbe potuto essere nessun accordo coi sindacati.
Su questo che è un tema cruciale per i lavoratori in tutto il mondo, si sta tanto banalmente quanto cinicamente svolgendo uno dei rituali della comunità internazionale, un film già visto in troppe occasioni, dove le dichiarazioni verbali di principio rimangono lettera morta a fronte della possibilità di traduzione in azioni concrete. Ritornando al caso in esame: nonostante tutte le parti avessero dichiarato di essere d’accordo sulla necessità di definire una strategia adeguata a creare lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento, proprio quando sarebbe stato possibile assumere decisioni concrete, il disaccordo è fin dall’inizio emerso su aspetti di fondo, che per coerenza avrebbero dovuto impedire quelle dichiarazioni di principio espresse. Questioni di fondo come l’inclusione del riferimento alle catene di subappalto in ambito nazionale, che sarebbe stata necessaria affinché i Governi, i datori di lavoro e i sindacati si assumessero le proprie responsabilità a tutti i livelli per garantire condizioni di lavoro dignitose e rispettose dei diritti. In verità, anche in sede ILO non sono mai state affrontate apertamente le contraddizioni che sono alla base del problema, cioè il fatto che le imprese, multinazionali (MNE) o nazionali, deliberatamente sfruttano l’opportunità del subappalto proprio per eludere ogni responsabilità. Al contrario, Governi e parti sociali hanno scelto di mettere la testa sotto la sabbia e seguire la strada del rinvio sine die.
Da ultimo, il Consiglio d’amministrazione dell’ILO ha deliberato che subito si segua una sorta di doppio percorso, per provare a sbloccare questa impasse. Da una parte, avvia un esame giuridico per verificare “se ci sono lacune nell’attuale corpo di misure normative e non normative, compresi quelle attuative, allo scopo di facilitare una discussione sulle opzioni per garantire il lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento, anche a livello settoriale”ix. L’accertamento dovrebbe porre le basi per un’ulteriore revisione da parte di un altro gruppo di lavoro tripartito. E’ chiaro che si tratta di una procedura piuttosto macchinosa che non si accompagna ad alcun impegno concreto. Ciononostante, forse questa via potrebbe almeno contribuire a mantenere aperto il dialogo. Allo stesso tempo, questo gruppo di lavoro potrebbe porre i presupposti per una strategia globale sul lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento, come seguito alla Dichiarazione del Centenariox. Tutto questo sarà ancora affrontato dal cda dell’ILO a marzo 2022; fino ad allora ci si concentrerà per individuare i fattori più rilevanti che determinano le condizioni di lavoro nelle catene di approvvigionamento.
Dall’inizio della pandemia, il COVID-19 ha avuto gravi ripercussioni sui posti di lavoro nelle catene di approvvigionamento sia per i rischi di perdita di lavoro e di reddito, che per la salute e le condizioni di lavoro. Questi rischi si sono aggravati nei settori legati a beni e servizi essenziali, specialmente per alcuni lavoratori, come migranti, lavoratori nell’economia informale e quelli privi di protezione socialexi. Nel dicembre 2020, più di 190 milioni di posti di lavoro – cioè quasi un terzo dei lavori nelle catene di lavoro manifatturiero e circa l’8% di tutti i posti di lavoro nel mondo – sono stati più o meno fortemente colpiti dalla diminuzione della domanda dei consumatori. La perdita globale di posti di lavoro ha raggiunto livelli senza precedenti.
A partire da ottobre 2020, il numero di posti perduti è aumentato ulteriormente, poiché molti Paesi sono stati colpiti da una seconda ondata di pandemiaxii. Nonostante il clima di ottimismo indotto dalle campagne di vaccinazione, l’economia globale sta ancora affrontando un alto livello di incertezza stando alle previsioni economiche del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Inoltre, la ripresa potrebbe svolgersi in modo non uniforme, mantenendo, replicando o aggravando le disuguaglianze esistenti, soprattutto nei settori più colpitixiii. Il virus ha avuto un forte impatto anche sul commercio internazionale, causando un forte calo diffuso, seppure meno pronunciato nei paesi del Sud del mondoxiv.
La maggior parte delle aziende clienti si trova negli Stati Uniti, nell’UE e in altri paesi dell’OCSE, dove i Governi sono tenuti a promuovere e far rispettare le linee guida OCSE sulle multinazionali. Queste stabiliscono che i diritti umani e gli standard fondamentali del lavoro devono essere rispettati in tutti i Paesi in cui queste aziende operanoxv. Le linee guida dell’OCSE, che si basano sulle norme dell’ILO, sono strumenti che dovrebbero essere rafforzati e utilizzati proprio in questa prospettiva di sviluppo, attraverso la riduzione delle disuguaglianze e il perseguimento della giustizia sociale.
In realtà, le maggiori violazioni dei diritti del lavoro avvengono spesso soprattutto nei subappalti (come accadde per il disastro di Rana Plazaxvi; ci sono purtroppo molti altri casi, meno noti ma non meno gravi). Non è un caso che il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti alla libertà di riunione pacifica e di associazione abbia segnalato, nella sua relazione sul Covid-19 che “le testimonianze di casi in cui i rappresentanti dei lavoratori hanno affrontato ritorsioni per aver parlato di situazioni pericolose sul posto di lavoro sono particolarmente preoccupanti”xvii. Sostenere e rafforzare i sindacati è essenziale per rendere consapevoli i lavoratori dei loro diritti ed aumentarne gli strumenti di tutela. I sindacati, tra l’altro, svolgono un ruolo fondamentale per superare le barriere che i lavoratori, soprattutto le donne, affrontano per accedere a rimedi efficaci contro gli abusi. In questo ambito, la collaborazione tra l’ILO e l’OCSE ha già dato risultati concreti, anche attraverso il contributo del TUAC (Trade Union Advisory Committee), cioè il comitato sindacale presso l’OCSE (vedi ancora ad esempio il lavoro su Rana Plaza). Andrebbero incentivati anche gli accordi globali tra le federazioni sindacali settoriali globali e le imprese multinazionali.
La mappatura delle attività delle imprese multinazionali è sempre più complessa. Le multinazionali, proprio come le altre imprese, sono chiamate a rispettare la legislazione nazionale, regionale e internazionale. I Principi Guida delle Nazioni Unite su Affari e Diritti Umani richiedono che le imprese commerciali conducano la due diligence sui diritti umani e che gli Stati, le parti sociali e altri attori si impegnino a promuoverla. Si tratta di principi guida volontari, le cui pratiche di attuazione variano ampiamente. La loro natura volontaria si accompagna, come è evidente, a un’assenza di responsabilità, mentre la due diligence sui diritti umani sarebbe ben rilevante ogni qual volta rendesse trasparente la catena di approvvigionamento o subappalto. Gli attuali strumenti internazionali di due diligence, compresi quelli sulla responsabilità sociale delle imprese, di fatto non sono riusciti a fornire alle vittime di violazioni di diritti umani e di disastri ambientali né realmente accesso alla giustizia né ai rimedi, proprio per la natura non giudiziaria e volontaria degli stessi. Le aziende dovrebbero essere obbligate a rivelare i nomi di tutte le aziende coinvolte nella catena, così come i dati sui lavoratori occupati, la composizione della manodopera, le condizioni di lavoro, ecc.
Per garantire l’effettiva applicazione delle linee guida dell’OCSE e degli standard dell’ILO, sono necessarie regole e forme di cooperazione comuni, come la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro (1998), la Dichiarazione sulla giustizia sociale per una globalizzazione equa (2008) e la Dichiarazione sulle multinazionali dell’ILO, che sono il risultato consensuale di veri negoziati tripartiti. L’attuale modello di commercio internazionale, che spinge al minimo i salari e peggiora le condizioni di lavoro in molti Paesi dovrebbe essere rivisto in maniera completa e approfondita. La Dichiarazione sulle multinazionali dell’ILO, anche se non è vincolante, è uno strumento importante per la sua natura tripartita, per l’area geografica globale che copre e per il fatto che affronta questioni rilevanti, che vanno dalla libertà sindacale e dal diritto di contrattazione collettiva (la contrattazione collettiva e le relazioni industriali sono rare o quasi inesistenti nelle catene di fornitura globali) ad altre questioni che hanno un impatto diretto sulla vita dei lavoratori e delle comunità, come la promozione dell’occupazione locale, le pari opportunità e la non discriminazione, la formazione, le condizioni di lavoro, il rispetto dei requisiti di età, i meccanismi di risoluzione dei conflitti, il diritto all’informazione e alla consultazione, ecc. La Dichiarazione ILO funge da collegamento tra l’azione legislativa e le relazioni industriali e prende in considerazione l’impatto sociale e ambientale delle attività economiche.
Nel lavoro internazionale dei prossimi mesi, la pandemia potrebbe essere essere l’occasione per rilanciare il tema della tutela della salute dei lavoratori nelle GSCs. Già durante il dibattito sul centenario dell’ILO, i lavoratori avevano chiesto che le norme sulla salute e la sicurezza sul lavoro fossero incluse tra i principi e i diritti fondamentali sul lavoro, cioè tra gli standard che devono essere attuati indipendentemente dalla ratifica. Dato che il gruppo dei datori di lavoro si sta opponendo a questa richiesta, si profila una dura sfida, purtroppo proprio quando il difficile scenario mondiale richiederebbe una risposta forte e compatta per proteggere al meglio la salute e la vita dei lavoratori.
L’innovazione tecnologica, con l’intelligenza artificiale, la robotica e i sensori, sono al centro di molti dibattiti sul futuro del lavoro, sia dentro l’ILO che fuori. Molti dei meccanismi che stanno alla base di questi processi non sono ancora stati spiegati adeguatamente. Eppure bisognerebbe concentrare l’attenzione su se e come la tecnologia può migliorare le condizioni dei lavoratori – non solo sulla base dell’uso dell’informatica in quanto tale, ma anche sulla base della sua adeguata concezione, dell’uso e degli obiettivi. Per quanto riguarda le GSCs, l’uso generale dell’estrazione dei dati potrebbe essere uno strumento utile a identificare i settori ad alto rischio e migliorare i sistemi di ispezione del lavoro. Le tecnologie digitali come le app e i sensori potrebbero rendere più facile per le aziende e le parti sociali il monitoraggio delle condizioni di lavoro e del rispetto del lavoro nelle catene di approvvigionamentoxviii.
Ciò significa che, grazie a questo approccio multidisciplinare, il movimento sindacale globale si trova di fronte all’opportunità unica di assumere la guida del dibattito e promuovere concretamente l’agenda del lavoro dignitoso e un Green New Deal globale, poiché i modelli basati solo sul punto di vista dell’impresa non sono solo insostenibili per i lavoratori ma anche per il pianeta.
Le filiere globali non sono solo un fenomeno legato a questioni di sviluppo, alle relazioni Nord-Sud o ai rapporti tra paesi industrializzati ed emergenti, ma una questione di interesse globale che richiede risposte politiche universalmente riconosciute, articolate in modo coerente a diversi livelli per riaffermare il primato della politica sulle multinazionali così come sui potentati economici e finanziari. Ecco perché, data la loro natura, questi fenomeni richiedono una cooperazione globale tra Paesi, tra organizzazioni che rappresentano gruppi di Paesi e tra organizzazioni con un mandato internazionale.
L’ILO e l’intera comunità internazionale non dovrebbero perdere l’opportunità di parlare forte e chiaro e agire di conseguenza, dando la priorità alle parti più vulnerabili della società che sono escluse, messe a tacere e sfruttate. Si tratta di una questione inevitabile e globalmente interconnessa che mette in gioco la giustizia sociale, la pace e la democrazia.
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*Il testo originale in inglese è stato redatto per la Rosa Luxemburg Stiftung, Geneva
https://rosalux-geneva.org/is-the-ilo-implementing-the-decent-work-agenda-in-global-supply-chains/