Documento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (C.N.I.) – Alcune delle eredità dell’emergenza COVID-19, specialmente in termini di innovazione e riorganizzazione lavorativa, sono ormai irreversibili. La pandemia ci ha avvicinato ad un nuovo modello lavorativo e ci ha suggerito una modifica di tutele, rischi, esigenze che devono essere raccolte da una normativa moderna e adeguata, anche in materia di prevenzione.
Una delle conseguenze più evidenti dell’emergenza COVID-19 sul mondo del lavoro è l’accelerazione dell’innovazione con particolare riferimento al grande incremento del cosiddetto “lavoro agile” e ciò rende necessario un approfondimento sulle caratteristiche specifiche dello smart working, con riferimento ai rischi prevedibili e alle necessarie misure di prevenzione e protezione.
Ad aiutarci ad analizzare questi temi può concorrere il documento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (C.N.I.) che recentemente ha prodotto e pubblicato le “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working” le quali hanno cercato di fornire orientamenti e strumenti operativi efficaci per la gestione dei rischi del lavoro in modalità telelavoro e smart working, nella considerazione di come, prima della loro veloce diffusione a partire dall’inizio del periodo pandemico del COVID19, in Italia non erano diffusi come in altri Paesi.
Senza addentrarci completamente nella generalità del documento che prevede circa 7 paragrafi con numerosi commi, per brevità abbiamo raggruppato alcuni argomenti analizzando gli aspetti che paiono più interessanti e fruibili anche per ragionare dell’argomento nei nostri settori.
* La normativa vigente e la definizione del lavoro agile
La normativa vigente – Legge 22 maggio 2017 n. 81 – si limita a definire (comma 1 dell’art.18) il “lavoro agile” come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” senza, però, regolare nel dettaglio tutti gli aspetti.
Il documento del C.N.I. sottolinea che la Legge 81/2017 introduce questa modalità di rapporto di lavoro allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
In questo senso il lavoro agile ha come fine l’obiettivo di identificare e introdurre la possibilità per il lavoratore di svolgere le attività assegnate nelle condizioni ritenute più confortevoli come ad esempio la scelta del luogo di lavoro presso il quale il lavoratore vorrebbe svolgere la sua mansione, o l’assegnazione di uno spazio in un ambito di coworking (lavoro condiviso, ossia una modalità di lavoro che prevede la comunanza di un ambiente di lavoro da parte di più lavoratori appartenenti alla stessa società o a società diverse con diverse tipologie contrattuali: dipendenti, autonomi o liberi professionisti). Per il lavoratore ci sarà la riduzione per quanto possibile degli spostamenti e la fornitura di adeguati strumenti, che dovranno consentire il regolare svolgimento del lavoro nella nuova modalità, in quanto egli deve raggiungere un obiettivo ma con l’opportunità di concordare i cicli di lavoro, nei tempi e nei modi a lui più consoni, nel rispetto delle scadenze fissate contrattualmente con il datore di lavoro ma senza necessariamente fare riferimento a orari e luoghi predefiniti (quest’ultimo è un aspetto importante che distingue tale modalità dal telelavoro).
In definitiva, secondo il documento del C.N.I., le novità che caratterizzano questa modalità di lavoro in piena evoluzione e diffusione sono quattro: la flessibilità degli orari, la diversità dei luoghi di lavoro in cui svolgere la mansione (non più esclusivamente la sede aziendale), il raggiungimento di obiettivi e risultati concordati, una riorganizzazione del lavoro con conseguente diverso approccio dei soggetti coinvolti.
* I problemi dello smart working e le nuove linee di indirizzo
Secondo il documento del C.N.I. la scarsa conoscenza della modalità di smart working, o di lavoro agile come è stato definito nella norma italiana vigente, ha generato nelle aziende private e in quelle pubbliche notevoli fraintendimenti causati da una generalizzazione mediatica assolutamente errata, portando spesso a classificare il telelavoro in tale ambito.
Da questo punto di vista ci sono diversi aspetti in comune tra lavoro agile e telelavoro (ad esempio il fatto che si lavori a distanza) ma vi sono differenze fondamentali. In primo luogo l’assoluto vincolo di orario presente nel telelavoro ma non previsto, o previsto soltanto parzialmente, per il lavoro agile (sostanzialmente coincidente con la definizione smart working) che, inoltre, prevede che vi sia sempre un obiettivo concordato tra lavoratore e azienda (o ente perché è applicato anche nel settore pubblico), aspetto questo che il telelavoro non prevede.
I lavoratori in smart working, pertanto, una volta stabilita la durata e la scadenza di un obiettivo di risultato nella propria attività, dovrebbero poter gestire in autonomia la propria mansione. Questo significa che “i lavoratori in smart working una volta stabilita la durata e la dead
line (scadenza) di un obiettivo di risultato nella propria attività, ovviamente oggetto di confronto
e accordo preventivo con la dirigenza aziendale e per tale motivo traccia evidente di una
riorganizzazione aziendale in continuo, potrebbero gestire in autonomia la propria mansione e
nel caso la stessa venga sviluppata in maniera ottimale potrebbero non solo variare in completa
libertà le fasce orarie di impegno lavorativo ma anche diminuire le ore lavorate. In definitiva è
evidente che in questo caso ci si focalizza sul raggiungimento di obiettivi e risultati“.
Nel telelavoro, invece, oltre allo svolgimento dell’attività non presso la sede di lavoro abituale, l’orario rimane lo stesso che il lavoratore avrebbe all’interno degli spazi aziendali.
Le modalità di svolgimento dello smart working dovranno essere concordate direttamente con il lavoratore. Tra i compiti di quest’ultimo, preservare la riservatezza dei dati aziendali: in tal senso, le linee guida suggeriscono, in alcuni casi, di non svolgere la propria attività in luoghi affollati.
La prestazione all’aperto comporta rischi di cui il lavoratore potrebbe non avere la percezione: rischio furto, rapina, aggressione, per citarne alcuni di cui il lavoratore deve essere conscio nella scelta del luogo dove operare la propria prestazione.
Il lavoratore dovrà inoltre rendersi reperibile durante alcune fasce orarie dell’orario lavorativo, evitando in questo senso luoghi che non garantiscono una connessione internet stabile.
In conclusione, quindi, il documento del C.N.I. sostiene che mettere insieme due diverse tipologie di lavoro a distanza rischia pertanto di confondere pericolosamente le acque, anche in relazione ai nuovi rischi che ne possano derivare.
Il documento, inoltre, asserisce che “
è quanto meno necessario redigere una policy nella quale l’azienda identifichi
quelle condizioni per le quali un dipendente sia o meno eleggibile allo smart working: l’individuazione di tali criteri dovrebbe valorizzare il fatto che non si tratta di scelte imposte in via
dirigista, ma frutto di dialogo lungo tutta la struttura aziendale.
La policy aziendale contiene normalmente elementi che definiscono l’implementazione pratica
del “lavoro agile”, sia dal punto di vista della attivazione del progetto, sia della individuazione
delle regole da seguire“.
* Salute e sicurezza
La valutazione del rischio per l’organizzazione del lavoro in modalità agile deve partire dal d.lgs. 81/08. Il datore di lavoro, oltre a fornire ai lavoratori le attrezzature e i dispositivi necessari, dovrà considerare anche tutti gli aspetti legati alla sicurezza e alla salute degli smart workers. Inoltre, dovrà, in collaborazione con il RSPP aziendale, procedere alla valutazione dei rischi, individuando idonee misure per la loro gestione e prevenzione.
Il documento, partendo dalla costatazione che i luoghi di lavoro “stanno sempre più frequentemente diventando ambienti privati del singolo lavoratore, spesso non identificabili e altrettanto spesso variabili nel tempo, è orientato verso l’approfondimento delle nuove tipologie di lavoro che possono generare criticità derivanti da fattori di rischio non trascurabili.
Alcuni chiarimenti sull’infortunio in smart working si ricavano dalla circolare INAIL n. 48 del 2 novembre 2017, dove è precisato che il lavoratore agile è tutelato non solo per gli infortuni collegati al rischio proprio dell’attività lavorativa, ma anche per quelli connessi alle attività prodromiche e/o accessorie purché strumentali allo svolgimento delle mansioni del profilo professionale del lavoratore. A titolo meramente esemplificativo va ricordato che nel settembre 2020, l’INAIL è stata sollecitata da una richiesta di indennizzo per una impiegata amministrativa di un’azienda metalmeccanica di Treviso caduta dalle scale (procurandosi un paio di fratture) mentre effettuava una telefonata di lavoro e svolgeva la sua attività in modalità agile (utilizzando lo smartphone di servizio). L’Istituto le ha riconosciuto i giorni di malattia, 20mila euro di risarcimento come infortunio sul lavoro ed anche visite e terapie gratis senza obbligo di ticket per i prossimi dieci anni.
Parlando di prevenzione il lavoro in smart working e in telelavoro hanno indubbiamente anche dei vantaggi rispetto al lavoro svolto nei classici ambienti lavorativi, ad esempio in termini di riduzione degli infortuni in itinere.
A questo proposito, lo scorso 19 luglio l’INAIL ha presentato la Relazione annuale 2020, che approfondiremo in una nostra successiva news letter, ma da cui si evince come il COVID-19 sia stato l’artefice, diretto e indiretto, dell’anomalo andamento degli infortuni sul lavoro nel 2020 (denunce in complesso in sensibile calo rispetto al 2019, denunce mortali in forte aumento).
Per quanto riguarda gli infortuni in itinere (occorsi lungo il percorso casa-lavoro-casa) e stradali più in generale (ricomprendono anche quelli avvenuti in occasione di lavoro con un mezzo di trasporto) la Relazione evidenzia come siano crollati nel 2020: le denunce in itinere sono diminuite del 38,2% con una incidenza sul totale scesa all’11% rispetto al 16% del 2019, mentre le denunce per infortuni stradali più in generale in occasione di lavoro con mezzo di trasporto (camionisti, tassisti, rappresentanti, ecc.) hanno avuto una diminuzione pari al 31,8%. Innegabilmente un effetto collaterale della pandemia il cui contenimento ha indotto nelle fasi più acute a blocchi o comunque limitazioni della circolazione stradale e in generale ad un emergenziale, massiccio, ricorso al lavoro agile da casa.
Tra i rischi specifici per la salute, connessi alle attività svolte in modalità smart working, rientrano:
- ergonomia della postazione di lavoro;
- rischi psicosociali (stress lavoro correlato, tecno stress, solitudine, isolamento)
- rischio elettrico;
- rischio rumore;
- sostanze presenti;
- rischio incendio ed esplosione;
- sindrome da visione al computer;
- rischio da campi elettromagnetici;
- microclima.
Parlando di sicurezza del lavoro in genere, i rischi psicosociali sono spesso trattati alla stregua di una tematica di secondo piano, forse perché è complicato parlare in modo oggettivo di questioni spesso legate alla sfera emotiva, personale. La remotizzazione del lavoro accentua molte di queste criticità e ci pone davanti alla necessità di affrontarle in modo aperto proprio attraverso la comunicazione e la formazione.
Il documento del C.N.I. da ampio spazio al diritto della disconnessione, ovvero “il diritto del lavoratore a non essere raggiungibile o contattabile, rispondendo al telefono o alle mail (disconnessione tecnica) ovvero il diritto a concentrare la propria attenzione su qualcosa di diverso rispetto al lavoro (disconnessione intellettuale) recuperando le proprie energie psico- fisiche“.
Il lavoratore agile è particolarmente esposto all’intensificazione dei ritmi (iper connessione, superlavoro, dipendenza tecnologica, assenza di tempi di recupero) all’isolamento e alla connotazione labile dei confini tra spazi/tempi lavorativi e non lavorativi, variabili in parte compensati dall’autonomia nella gestione del tempo.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di evitare al lavoratore agile, che svolge la propria attività lavorativa da remoto attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, di essere sottoposto a stress da eccesso di lavoro o tecno stress, disciplinando lo “speculare dovere di disconnessione nel quadro della nuova organizzazione del lavoro per fasi, cicli e obbiettivi che caratterizza il lavoro agile“.
Si potrebbe fare una riflessione relativamente ad una valida gestione dei rischi psicosociali che dovrebbe poter stabilire precisi confini tra “pubblico” e “privato” sia in termini di orari che di strumenti di comunicazione anche e soprattutto in funzione delle specifiche necessità individuali: ciò equivarrebbe a riconoscere – innanzitutto – che, se anche lo smart working impone un ampio ricorso alla digitalizzazione, questo non implica necessariamente l’estraniamento, l’isolamento o la frustrazione.
A nostro avviso, uno degli aspetti di difficile gestione più interessante fra quelli trattati dal documento è l’aspetto relativo allo stress derivante dalla mancanza di spazi di lavoro condivisibili con altre persone o dalla mancanza di rapporti diretti con esse, assieme alle interferenze con i propri familiari e alla tendenza al procrastinare le scadenze di solito verificabili tramite rapporti diretti in ambito aziendale ovvero a non limitare mai il tempo a disposizione del lavoro per rispettare le scadenze degli obiettivi aziendali.
Altri aspetti trattati riguardano poi l’identificazione delle nuove tipologie di dispositivi di protezione disponibili, delle misure di prevenzione e protezione innovative da applicare e della formazione necessaria per i lavoratori.
* La necessità di migliorare la normativa, le tutele secondo il documento del CNI
Nella considerazione che con il lavoro agile si mettono in discussione i confini fisici dello spazio lavorativo tradizionale che si fanno indistinti e non consentono più di ragionare secondo i vecchi criteri imponendo di concordarne di nuovi con l’impresa, andrebbe svecchiata una mentalità aziendale che, troppo spesso, considera lo stress (nelle sue varie espressioni) come una componente strutturale dell’attività lavorativa in sé. Invece, si potrebbe e si dovrebbe lavorare in modo agile favorendo un’interazione sociale più ricca ed equilibrata che affianchi il principio d’inclusione a quello della creazione di un mero valore economico.
Il primo radicale cambiamento di prospettiva prescinde dalle scelte tecnologiche ma si fonda sulle persone stesse, abbandonando la convinzione che un’attività lavorativa bilanciata e a misura d’uomo costituisca un’utopia, al pari di un modello organizzativo, come lo smart working, focalizzato sulla qualità del risultato anziché su metriche di stampo quantitativo, offrendo l’opportunità di superare la standardizzazione tipica dei modelli tradizionali, per focalizzarsi sugli elementi che davvero possono favorire il benessere individuale dei lavoratori in base alle loro specifiche esigenze di vita.
Le linee di indirizzo sottolineano che la Legge n. 81/2017, benché relativamente recente, risente di “un approccio di vecchio stampo” perché riprende il principio risalente al primo recepimento con il d.lgs. 626/94 della direttiva quadro europea sulla sicurezza, la 89/391/CEE. Questa direttiva prevedeva buona parte della responsabilità sulla valutazione dei rischi a carico del datore di lavoro e ad avviso del C.N.I., in merito al lavoro agile nel nostro paese siamo decisamente ancora in queste condizioni mentre, anche per ragioni pratiche, l’approccio dovrebbe essere diverso.
Nel documento del C.N.I. si fa un esempio: considerando che nel nostro paese ai sensi del d.lgs. 81/2008, il datore di lavoro è tenuto alla verifica della conformità dell’ambiente di lavoro ma per quanto concerne i lavoratori agili e la loro prestazione di lavoro “in qualsiasi luogo”, appare evidente la quasi impossibilità di verificare lo stato di tutti i luoghi di lavoro privati in cui operano i lavoratori agili o i luoghi all’aperto, come può un datore di lavoro (anche se con la collaborazione del RSPP) effettuare una completa e approfondita valutazione dei rischi per il lavoratore che magari opera da casa sua? Non è senza dubbio sufficiente l’informativa di cui parla la Legge 81/2017; non è possibile effettuare una buona valutazione dei rischi basandosi semplicemente su una informativa annuale come prevede la nostra norma.
All’estero, in alcuni casi, la collaborazione del lavoratore stesso, tramite la trasmissione di dati specifici utili alla redazione del documento in merito alla valutazione dei rischi,è obbligatoria. Prendendo ad esempio questo modello di comportamento, pertanto, sarebbe utile ricorrere a strumenti di autocontrollo con ausilio di check list compilate dal lavoratore, che deve essere evidentemente reso partecipe e consapevole della valutazione.
La check list dovrebbe essere di facile comprensione identificando in primis il luogo prevalente dello svolgimento dell’attività (caratteristiche dell’ambiente di lavoro, degli spazi di lavoro, degli arredi) e declinando poi i potenziali rischi da analizzare.
Questa check list sarà poi utile a definire l’informativa – richiesta dall’art. 22 della L. 81/2017 – ai lavoratori stessi sui rischi generali e specifici dell’attività lavorativa in modalità agile.
A questo proposito dobbiamo evidenziare che un altro importante argomento trattato nelle linee di indirizzo è quello relativo alla formazione, un elemento cardine per il miglioramento della consapevolezza dei rischi dello smart worker. Essa deve essere finalizzata ad un cambiamento effettivo degli atteggiamenti e dei comportamenti dei lavoratori che devono acquisire la consapevolezza di sé, dei propri limiti e dei contesti in cui lavorano; dovrà certamente dare spazio alla formazione sui rischi tradizionali, ma pensare anche a percorsi di autoformazione guidati dal RSPP o da formatori qualificati, che declinino diversi momenti di autovalutazione delle proprie condizioni lavorative anche tramite interviste e somministrazioni di check list. La formazione è l’unico strumento a disposizione delle aziende per tutelare i lavoratori agili aumentando le loro conoscenze e competenze in merito alla sicurezza in ambienti completamente diversi dal tradizionale ufficio aziendale ed è fondamentale per l’azienda che non può garantire il continuo monitoraggio dei luoghi di lavoro.
A tale riguardo, il C.N.I. ricorda che nell’informativa INAIL sullo smart working “il lavoratore è tenuto ad adottare un comportamento coscienzioso e prudente, escludendo luoghi che lo esporrebbero a rischi aggiuntivi rispetto a quelli specifici della propria attività svolta in luoghi chiusi“. Il dipendente ha l’obbligo di osservare le direttive aziendali e collaborare all’attuazione delle misure di sicurezza predisposte dal datore di lavoro utilizzando gli strumenti tecnologici in sua dotazione, in conformità alle policy aziendali, per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali (art. 22 comma 2 lg 81/2017). La violazione degli obblighi di collaborazione, oltre alla rilevanza disciplinare, potrebbe determinare una limitazione di responsabilità in capo al datore di lavoro.
È pertanto implicito nel disposto normativo l’obiettivo di rendere consapevoli e partecipi i lavoratori all’attuazione delle misure di sicurezza predisposte e solo un valido percorso formativo ad hoc, può permettere il raggiungimento dell’obiettivo.
In conclusione, partendo dalla costatazione che il mondo sta cambiando repentinamente e la sede di lavoro non sarà più per molti la sede aziendale, c’è bisogno di un nuovo paradigma, di una maggiore collaborazione tra le parti per il bene, in primo luogo, del lavoratore.