Introdurre nel nostro Paese una somma notevole di denaro, senza che vi sia una valida giustificazione, può apparire come reato di riciclaggio rendendo ipotizzabile supporre che la somma sia frutto di illeciti (es. emissione di fatture false). In una prima fase, in cui le responsabilità sono ancora da identificare, per la misura cautelare reale è sufficiente l’astratta configurabilità del reato presupposto.
E’ quanto emerge dalla Sentenza 2466 Corte di Cassazione che accoglie un ricorso contro l’annullamento del sequestro di una ingente somma di denaro introdotta in Italia da persone indagate.
Se le somme, p.es., fossero l’esito finale di una cessione fittizia di beni da parte di due Società straniere a favore di clienti italiani, apparentemente saldate con strumenti tracciabili e poi retrocessi in contanti per creare costi fittizi, per il Tribunale competente il sequestro dei beni potrebbe, anche, non essere accompagnato da prove concrete tali da permettere l’individuazione del reato presupposto, soprattutto se le Società italiane risultassero inesistenti.
Per la Cassazione l’accertamento del reato di riciclaggio non richiede l’esatta individuazione del reato presupposto, che deve essere delineato per sommi capi nelle modalità (vedasi anche Sentenza n.546/2011).
I Giudici del Tribunale saranno, dunque, chiamati a rivalutare il peso, allo scopo della determinazione del reato, della disponibilità dell’ingente somma di denaro e della presenza di fatture per operazioni di acquisto di beni all’estero da parte di Aziende sconosciute o appena sorte.
Queste verifiche vanno fatte tenendo conto della fase in cui si trovano le indagini e della liquidità dell’imputazione. Infatti la necessitò di adottare il sequestro probatorio, si presenta all’inizio dell’indagine, in una fase in cui le responsabilità non sono ancora definite.