dal sito www.fisacpiemonte.net
8 MARZO 2021: UN VIAGGIO NEL TEMPO
Quest’anno, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, dedichiamo il nostro lavoro ad una riflessione sulla condizione femminile nel nostro paese con un viaggio nel tempo.
Se è pur vero che la condizione delle donne è cambiata tantissimo rispetto al passato, è altrettanto vero che il traguardo della parità non è per nulla realizzato e la situazione che si è creata in quest’anno di pandemia ha portato in evidenza tutte le contraddizioni di questa società ancora incentrata sul patriarcato e sul maschilismo: il prezzo più alto lo stanno pagando proprio le donne.
Vi proponiamo quindi uno spunto di riflessione su quello che siamo state, cosa siamo ora e su come vorremmo essere nel futuro.
Buona lettura!
Marte, 7 marzo 2121
Caro Diario,
oggi a scuola abbiamo fatto lezione sulla nascita della giornata di festa intergalattica di domani 8 marzo.
Sai che questa festa è nata sul pianeta della nostra galassia che si chiama Terra, come Giornata Internazionale della Donna?
Ho scoperto davvero un sacco di cose!
In realtà questa giornata è nata per celebrare e ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche di uno dei tanti generi di quel pianeta, ad oggi noto come quello delle donne.
Oh, ma sai che tanti anni fa in quel pianeta le donne non potevano neanche partecipare alla vita pubblica, neanche esprimere il proprio parere attraverso il voto…che cosa incredibile!
Pensa che un secolo fa le donne dovevano farsi carico ancora di accudire quasi totalmente le loro piccole e i loro piccoli e anche i loro grandi…come se la vita, il loro benessere ed i loro bisogni non dovessero interessare tutte e tutti, come se fosse solo una questione privata e non
andasse poi ad influenzare e a condizionare la felicità di tutte e tutti!
Pensa che un secolo fa, i femminicidi venivano ancora trattati come dei raptus, come delle improvvise pazzie o malesseri degli uomini che per lo più vivevano con le stesse donne che poi uccidevano, e non come palese espressione di quella che era la violenza sistemica su cui si basava quella che era una società patriarcale fondata proprio sulla discriminazione e sullo sfruttamento.
Pensa che un secolo fa, le donne venivano ancora discriminate sul lavoro con salari più bassi perché veniva privilegiata la quantità di ore che passavano nei luoghi di lavoro anziché la qualità; perché le donne dovevano occuparsi prioritariamente della cura dei propri familiari e anzi, le donne che dimostravano di volersi e potersi autodeterminare venivano quasi sempre escluse dai processi decisionali oppure, nel migliore dei casi, dovevano faticare doppiamente per poter prendere parola.
Sembra davvero incredibile ed inspiegabile, ma non è finita qui!
Neanche davanti al dato allarmante che emerse in uno degli Stati di quel pianeta, l’Italia, quando nel lontano 2020, in piena pandemia di Coronavirus, due su tre posti di lavoro persi erano proprio quelli occupati dalle donne… beh, neanche questo mise subito in allarme gli abitanti di quel pianeta!
E’ incredibile che quel virus, ora per fortuna scomparso da molti anni, un secolo fa fece così tante vittime! Una cosa buona però è successa in seguito a quella tragedia: quei settori, per lo più femminilizzati, vennero giudicati essenziali (ad esempio quello delle strutture dove venivano curati i/le malati/e; quello dell’istruzione; quello dei posti in cui ci si approvvigionava per poter sopravvivere; dove si prelevava ciò che veniva usato per acquisire i beni o assicurare i luoghi dove si abitava) e per questo vennero valorizzati investendo grandi quantità di risorse senza pensare più al mero profitto economico, ma anzi invertendo totalmente questo paradigma, dando priorità al valore sociale che il buon funzionamento proprio di quei settori poteva produrre, senza privilegiare esclusivamente il solo aspetto economico… certo ci volle un po’ di tempo e le donne dovettero attivarsi in molti modi ad esempio riunendosi, facendo scioperi, organizzando momenti collettivi e pubblici, a volte anche alzando la voce! Ma finalmente il genere umanoide lo capì e da lì tutte e tutti vissero meglio.
Si può dire che la lotta delle donne ha fatto capire che una società più giusta e più equa avrebbe giovato a tutti i generi presenti su quel pianeta e che lo scambio, la valorizzazione e la collaborazione di tutte e tutti i terrestri, nel pieno rispetto della propria differenza, sarebbe stato arricchente per chiunque (indipendentemente dal genere) ed avrebbe dato vita ad un periodo di prosperità, rispetto e felicità diffusa e continua.
Insomma oggi abbiamo studiato la storia e posso dire che ho capito ancor di più ciò che nel mio pianeta, in questo tempo, diamo per scontato: dare priorità alla qualità di ogni attimo che viviamo.
Per questo è importate continuare a lottare in ciò che si crede e domani, 8 marzo del 2121, sarà davvero una grande e bella festa!
Persereverance
Torino, 20 febbraio 2021
Caro Diario,
oggi ho deciso di riprendere a riscrivere sul mio diario, era da molto tempo che non lo facevo.
Ora ho 39 anni. Dopo gli studi sono andata a Londra per un anno per approfondire la conoscenza della lingua inglese. Un’esperienza che mi è piaciuta tantissimo: ho imparato tanto ed ho conosciuto molte persone di paesi diversi.
Anche se sono passati più di 15 anni, sono ancora in contatto con molte delle amiche conosciute a Londra: non solo ci scambiamo mail, ci teniamo in contatto tramite i social media, e, ogni tanto, riusciamo ad incontrarci così ci raccontiamo le nostre vite.
Quando sono tornata in Italia, grazie all’esperienza all’estero, mi hanno subito offerto uno stage e poi rapidamente un impiego remunerato: sono un’esperta di comunicazione e ci tengo molto a fare carriera nel mio campo.
Oltre alla soddisfazione nel campo professionale a 30 anni mi sono sposata con Andrea, era il ragazzo giusto con cui condividere la vita.
Io ed Andrea abbiamo deciso di non avere subito figli, ho voluto prima affermarmi nella mia professione: si sa che se vai in maternità prima di aver raggiunto certi livelli, non riesci a fare carriera. Ho visto molte mie amiche che hanno dovuto lasciare il lavoro quando hanno avuto figli, questo mi ha convinta a fare di tutto per non trovarmi nella stessa condizione: rinunciare alla mia indipendenza economica non è concepibile per me e poi, chi se lo può permettere?
A 35 anni sono riuscita a diventare la responsabile del mio reparto, ho uno stipendio buono (anche se ho un inquadramento inferiore rispetto ai miei colleghi che hanno le mie stesse responsabilità) e quindi, insieme ad Andrea abbiamo pensato che fosse finalmente arrivato il momento per allargare la famiglia. Alice, la mia bambina, è arrivata solo due anni fa, mi sembrava di toccare il cielo con un dito: ero felice, avevo tutto quello che avevo sempre sognato.
Ma che fatica! E’ dura lavorare e occuparsi della piccola: all’asilo comunale non l’hanno presa, non c’erano abbastanza posti (non riesco a capire come non possano esserci i posti necessari, dal momento che la natalità in Italia è bassissima), ho quindi assunto una babysitter (la spesa è davvero impegnativa e gli incentivi statali attuali non sono certamente una soluzione). Capisco come mai tante donne (che non hanno il mio stipendio) abbiano dovuto abbandonare il lavoro. Chi può contare nell’aiuto a tempo pieno dei nonni è davvero fortunata, ma mia madre abita lontano e deve occuparsi di mia nonna, non può davvero aiutarmi!
Provo invidia per alcune delle amiche conosciute a Londra: Monique e Sophie, le francesi, hanno entrambe tre figli e possono contare su servizi per l’infanzia davvero ben organizzati. Per non parlare di Ingrid, la svedese: suo marito ha preso i 90 giorni di congedo di paternità previsto dalla legge per stare con il bambino. Era conveniente e comunque lo facevano tutti!
Con l’arrivo della pandemia poi, le cose si sono ulteriormente complicate: per fortuna sia io che mio marito abbiamo potuto lavorare da casa, non abbiamo avuto problemi economici, ma lavorare da casa con una bambina così piccola non è semplice! Senza contare che Andrea non mi è stato d’aiuto: si chiudeva nello studio per lavorare, e solo quando iniziavo ad urlargli contro di si decideva a darmi una mano. “Ma perché urli e ti arrabbi? Basta chiedere!” è la classica risposta di Andrea. “Certo Andrea hai ragione, sono io che sbaglio a pensare che tu possa condividere gli impegni e che il tuo aiuto non debba essere una tua concessione” “Guarda che non mi stavo divertendo, stavo lavorando!” “E secondo te il mio cos’è un passatempo?”
Ancora adesso, che è passato un anno, mi ribolle il sangue pensando alle discussioni durante il lock down.
In azienda, poi, dopo il rientro dalla maternità, ho dovuto nuovamente convincere il mio capo di essere ancora brava, anzi, di esserlo più di prima. Il direttore andrà presto in pensione e dovranno trovare una sostituzione.
“Ci provo?”
“Ma sei matta, tu devi pensare alla bambina, a tuo marito, alla casa” mi ripetono sia mia madre che mia suocera, senza contare la faccia di Andrea quando gli ho chiesto cosa ne pensasse: non riesco a togliermela dalla mente, valeva più di mille parole…
E poi c’è Roberto, il mio collega: anche lui ha un bambino piccolo, ma Roberto è un uomo, ha già una posizione gerarchica più alta della mia, sicuramente il posto lo daranno a lui, lui non è distratto dagli impegni familiari!
Forse è vero, è inutile pensarci, ma per quel lavoro la mia esperienza e le mie qualifiche sono migliori di quelle di Roberto, perché dovrei rinunciare?
Forse ci proverò lo stesso, chissà!
Patrizia
Torino, 3 giugno 1946
Caro Diario,
sono molto emozionata, ieri abbiamo votato per decidere se vorremo una Repubblica o la monarchia! Un voto semplice, in apparenza, ma con questo voto abbiamo deciso le sorti del nostro Paese.
Mi sentivo addosso una sensazione strana, una grossa responsabilità, mai provata prima, forte e diversa. E’ un voto che non ha riguardato solo me, ma tutti!
Finalmente, dopo il regime fascista e la lunga Guerra di Liberazione, donne e uomini hanno deciso con la democrazia.
Sono andata a votare con i miei genitori, prima di entrare nel seggio elettorale abbiamo dovuto fare una fila lunghissima, le donne erano davvero molte: andare a votare per noi significa uscire dall’isolamento e di questo ne sono davvero molto felice!
E’ stata una giornata particolare, si respirava un clima di festa: mia mamma e le mie zie erano parecchio agitate ed hanno fatto una riunione in casa nostra per discutere del voto (qui siamo repubblicani convinti!): qual era la procedura, conoscere tutto ciò che poteva annullare il voto, etc. Hanno coinvolto anche me visto che mi sono appena laureata, loro non hanno avuto la possibilità di studiare (come quasi tutte le mie amiche, del resto) e quindi mi hanno chiesto molti consigli! Al mattino mia madre e mio padre sono andati a messa con il “vestito buono”, nel pomeriggio, dopo pranzo, ci siamo preparati e, nuovamente mia madre ha indossato il vestito buono.
“Mamma dove vai? Siamo già andate a messa” ha detto la mia sorellina di 10 anni. “Vado a votare con papà”, ha risposto lei. “E cosa vuol dire?” E, a questo punto, mia madre si è seduta sul divanetto con mia sorella e le ha spiegato l’importanza del voto, della democrazia, di quante donne si siano sacrificate per il diritto di voto: tutto quello che io e le mie amiche di università abbiamo ripetuto nei lunghi pomeriggi di studio. Ma lo ha fatto con le sue parole semplici e mi ha fatto l’occhiolino.
Brava mamma!!
Se penso all’impegno delle donne nella Resistenza, è incredibile che ci siano ancora pregiudizi nei confronti del suffragio femminile.
La riforma della legge elettorale del 1882, non solo prevedeva che il diritto di voto fosse solo maschile, ma era condizionato ad avere almeno 21 anni (prima era necessario averne almeno 25, sapere leggere e scrivere, oppure pagare una tassa di quasi 20 lire all’anno. Poi è arrivata la riforma del 1912, che ha previsto il suffragio universale maschile (ovviamente!) per coloro che avessero almeno 30 anni oppure per i maggiori di 21 anni che pagassero sempre la tassa di prevista già prima. Alle donne era vietato votare perché ci consideravano emotivamente instabili, isteriche, troppo sentimentali o semplicemente a causa della convinzione che a noi non interessasse il mondo politico ed istituzionale.
Quando poi quel gran mascalzone assassino di Mussolini ha preso il potere, nel 1924 ha ammesso il voto delle donne nelle elezioni amministrative: solo pura propaganda dal momento che con l’emanazione delle “leggi fascistissime” del ’25 – ’26 le elezioni amministrative furono abolite. Come poi ha abolito tutte le libertà!
Dopo tutta la sofferenza patita nel ventennio fascista, finalmente anche la voce delle donne deve essere ascoltata!
Nel 1944, costituito il Governo di Liberazione Nazionale, le donne si sono attivate affinché venisse riconosciuto il diritto voto: la prima richiesta è stata presentata ad ottobre da parte dell’Unione Donne Italiane (Udi) che si è mobilitata non solo per il diritto di voto ma anche per quello di eleggibilità.
È il primo febbraio 1945 la data storica in cui, con un decreto legislativo il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconosce il voto femminile, su proposta di Togliatti e di De Gasperi.
Ma non sono state tutte rose: il decreto che introduce il suffragio universale ha però ordinato la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili ed esclude dal diritto di voto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.
Abbiamo dovuto attendere il 10 marzo di quest’anno perché venisse sancita l’eleggibilità delle donne.
Ci sono state le elezioni amministrative a marzo, ed è stata la prima volta che le donne hanno votato in Italia!
La partecipazione al voto amministrativo da parte delle donne stato un plebiscito, l’affluenza femminile ha superato l’89% e sono state elette circa 2 mila candidate elette nei consigli comunali, la maggioranza nelle liste di sinistra.
Il primo giugno ho comprato il “Corriere della Sera” e ho letto un articolo che mi ha fatto davvero arrabbiare: in questo articolo si invitano le donne a recarsi al seggio elettorale “senza rossetto sulle labbra”. Il motivo? Il rossetto può macchiare la scheda e quindi rendere nullo il voto. L’articolo si conclude così: “… Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.
Continuerà ancora a lungo questa abitudine degli uomini a spiegarci le cose e a trattarci come se avessimo sempre bisogno del loro aiuto?
Adesso vado a vedere se ci sono delle novità sui risultati del referendum: incrociamo le dita, caro Diario, dopo tutto quello che abbiamo vissuto, ci meritiamo di avere finalmente una Repubblica!
Noemi
LA LIBERTA’ DELLE DONNE LIBERA TUTTE E TUTTI!
COORDINAMENTO DONNE FISAC CGIL PIEMONTE