Banche, Patuelli: serve più flessibilità per le moratorie sui crediti

dal sito www.corriere.it
26 gennaio 2021
articolo di Fabrizio Massaro (Riproduzione riservata ©)


Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli avrebbe dovuto incontrare martedì mattina il governo Conte. Ma Patuelli e il direttore generale Giovanni Sabatini sono rimasti nei loro uffici a causa delle dimissioni di Giuseppe Conte. Ma l’allarme che come associazione delle banche volevano lanciare, si è sentito ugualmente. Attenzione alle regole europee — quelle dell’Europa a 27, tracciate dall’Eba — sulle moratorie sui crediti. Niente vincoli rigidi, chiede l’Abi. Serve ancora flessibilità, perché la pandemia non è ancora finita. Regole troppo rigide che possano far considerare come «deteriorati» i crediti oggi sospesi potrebbero vanificare gli sforzi di famiglie e imprese alle prese da quasi un anno con la pandemia di Covid-19.

Presidente Patuelli, l’Abi ha lanciato l’allarme sulle moratorie: quante sono, e quando se non cambiano le regole, cominceremo a vederle scadere?

«La mia risposta è che ci sarà una progressività, perché il problema delle scadenze delle moratorie è correlato a quando sono state richieste e deliberate. La questione di principio però è semplice: le moratorie hanno avuto un grande successo, sono 2,7 milioni di operazioni per 301 miliardi. I dati della task force, che ogni 15 giorni aggiorna il numero, da un mese-un mese e mezzo sono fermi e questo testimonia che chi doveva chiedere la moratoria l’ha fatto. La nostra richiesta adesso è che, indipendentemente dalle durate ipotizzate in origine, le moratorie debbano poter durare più della durata della pandemia. Altrimenti non sono moratorie».

Che previsioni fa sull’esito di queste moratorie? Quanti diventeranno crediti deteriorati?

«Non è che tutte le moratorie vanno a finire male, è una rappresentazione errata. Seguiremo con attenzione tutti i sintomi, anche perché alcuni che avevano chiesto la moratoria stanno riprendendo le normali attività. C’è un’Italia che va meglio, che va peggio e che va uguale».

Voi però evidenziate la stretta regolatoria dell’Eba sulle moratorie che dopo nove mesi, anche se non sono terminate, potrebbe farle considerare alle banche come crediti deteriorati…

«Il punto è a monte. Noi abbiamo una infinità di autorità per il mondo bancario e finanziario. Non c’è solo la Bce, come autorità bancaria e monetaria, ma c’è anche l’Eba, l’autorità pan-europea, cioè anche per l’area non dell’euro, che aveva sede a Londra e ora trasferita a Parigi. Ma la cultura finanziaria britannica ha influenzato non poco l’Eba, che della City ha sedimentato abitudini e modi di pensare. Come quello dei termini. Vede la differenza con la Bce? Quando la Bce deve fare il piano di acquisto dei titoli del debito pubblico, il Pepp, non dice: “lo faccio per tot mesi” ma “lo faccio a tempo indeterminato e poi terremo comunque i titoli a scadenza”. Insomma dà una lunga prospettiva che scoraggia gli speculatori. Invece l’Eba, che è frutto di un compromesso tra 28 Paesi (ora diventati 27 con la Brexit), aveva deliberato un termine. Ma la pandemia non rientra nei termini dell’Eba. Quindi bisogna cercare di avere delle interpretazioni che siano un po’ di flessibilità, per evitare che in pendenza di pandemia ci siano interruzioni delle moratorie. Non è interesse di nessuno avere un termine così ravvicinato, né dei debitori in moratoria né delle banche né dello Stato che le imprese entrino in crisi finanziaria, a causa di un termine tassativo.

Ricordiamo i termini della questione. Di che tempi parliamo? Questa stretta potrebbe cominciare a partire dal secondo trimestre?

«Più o meno è così. L’Eba dice che dopo nove mesi di moratoria la banca deve valutare il credito. Ma se uno è andato in moratoria è perché ha avuto problemi che pensa di risolvere. Se nel frattempo gli stringi il cappio attorno al collo….»

Si rischia un nuovo credit crunch?

«No, noi cerchiamo di lavorare in parallelo alle istituzioni italiane e europee per evitare il credit crunch. La Bce ha indicato la settimana scorsa che i crediti in Europa calano, mentre le banche italiane hanno mostrato che in Italia i prestiti salgono: i mutui del 3% e quelli alle imprese anche di più. Insomma l’Italia è in controtendenza rispetto all’Europa, grazie al combinato disposto del rafforzamento patrimoniale delle banche — che hanno più spazio per gli assorbimenti di capitale, — e della liquidità concessa dalla Bce ma anche dagli italiani che hanno aumentato i depositi, e poi ancora per le garanzie sui prestiti da parte dello Stato».

Che cosa serve perché l’Eba cambi idea?

«Si può confidare in una interpretazione che venga dall’Unione Europea in termini di maggiore flessibilità. L’Italia è stato il primo Paese europeo entrato in pandemia, in primavera. Di conseguenza, quando sono state prese una serie di deliberazioni pan-europee, l’Italia era la parte più debole. In autunno però la pandemia si è diffusa in tutta Europa. Per questo confido che vi sia una riflessione sulla sperimentazione circa i problemi economici affrontati dai primi Paesi. Molti Paesi hanno dato aiuti a fondo perduto. L’Italia, tra i più indebitati tra i Paesi europei, ha dovuto graduare i suoi interventi, in parte con ristori in parte con moratorie e garanzie che hanno gravato meno pesantemente sul bilancio dell’Italia. Non credo sia una battaglia solo italiana. E comunque dobbiamo farla. Dico che le attività delle banche devono andare avanti comunque e vanno avanti comunque.

La crisi del governo rischia di incidere negativamente su questo convincimento di Bruxelles?

«Noi dobbiamo continuare a lavorare senza interruzioni, così come durante la pandemia, quando abbiamo lavorato di più perché all’attività ordinaria si è sommata la moratoria per 2,7 milioni di posizioni. Non possiamo attendere la politica. Per questo abbiamo voluto dire ugualmente la nostra».

Voi avete indicato anche proposte per velocizzare la movimentazione dei fondi del Recovery Plan. Come?

«Non andare a inventare nuovi organismi e nuove procedure di sostegno all’economia se esistono già strutture e procedure che funzionano, la legge Sabatini, il fondo per Pmi, la Sace per indicarne alcune. Quindi la nostra preoccupazione è che invece di utilizzare ciò che funziona attribuendo competenze e risorse si creino nuovi organismi, mentre noi dobbiamo immettere le risorse in meccanismi collaudati che facciano arrivare i soldi nel più breve tempo possibile».

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