dal blog opencorporation.org – 28 luglio 2020
di Anna Maria Romano, CGIL Toscana, Vice-Presidente di UNI-Europa Finance, esperta di problemi finanziari di CTS OpenCorporation
Se chiediamo a qualcuno in Italia di nominarci qualcosa di svedese, in maggioranza risponderanno IKEA e Pippi Calzelunghe e, normalmente, in questo ordine. Ma, se Pippi resterà per sempre parte della cultura svedese, IKEA può deludere. Anzi, lo ha già fatto. Perché da molto e per puri motivi fiscali, IKEA ha sede in Olanda. Ma guarda un po’! Protagonisti di questa storia sono due dei paesi “frugali”, che tanto hanno scalpitato sulla correttezza dei bilanci dei paesi scialoni del sud Europa. Che, però, quando si tratta del proprio bilancio, sono disponibili ad essere meno intransigenti.
Ikea è una filiale della società olandese Ingka Holding, di proprietà di una fondazione senza scopo di lucro, la Fondazione Stichting Ingka, creata nel 1982 dal fondatore Ingvar Kamprad con la nobile motivazione di “diffondere il progresso dell’architettura e l’Interior design”. La fondazione è una delle più grandi organizzazioni no profit del mondo, con un patrimonio superiore a 35 miliardi di dollari.
In quanto olandese e con questo nobile fine imprenditoriale, IKEA paga le imposte come previsto dalla legge olandese per le associazioni non profit-making: 3,5% dell’importo imponibile.
Mantiene il proprio legame territoriale, finanziando con qualche milione l’anno alcune università svedesi: quindi in Svezia i soldi rientrano sotto forma di donazioni.
Armiamoci di brugole e andiamo a guardare dentro la scatola.
Il vero scopo della fondazione è quello di creare una “riserva di capitale” per il Gruppo IKEA , in caso di “maggiore necessità” .
La struttura aziendale include anche altre società olandesi (profit, questa volta): Inter Ikea Systems, Intellectual Property Holder e Ikea Concept. Wholly Inter Ikea Systems, che è un’altra società con sede nel Lussemburgo, possiede Inter Ikea Holding, ed è a sua volta di proprietà di una terza società con sede nelle Antille olandesi (conosciuta come il paradiso delle tasse). Ma questo è solo una parte del complicato insieme che definisce IKEA.
La struttura societaria di IKEA è più complicata dei suoi mobili da montare: è costruita con un sistema di scatole, capaci di usare ogni meandro legale per l’abbattimento dell’imposizione fiscale. Solo in Italia esistono 5 società.
Un vero campione dell’ottimizzazione fiscale.
IKEA, poi, non è quotata in Borsa garantendosi la massima opacità.
Ingvar Kampard, fondatore di IKEA, nato in Svezia, è stato un venerato cittadino svizzero fino a pochi mesi dalla sua morte: risiedeva nel cantone con imposizione fiscale più accogliente.
La Commissione europea ha aperto un’indagine il 18 dicembre 2017 e ha esteso pochi giorni fa la portata della stessa indagine sul trattamento fiscale riservato ai magazzini IKEA nei Paesi Bassi. Il dubbio è su una super valutazione dei diritti intellettuali pagati dalla controllata locale della società svedese, che avrebbe portato ad un indebito risparmio fiscale. La Commissione del 2017 ha concluso provvisoriamente che il prezzo di trasferimento dei diritti di proprietà intellettuale (IP) di IKEA potrebbe essere stato troppo elevato, consentendo a Inter IKEA Systems di pagare meno tasse ed avere un vantaggio sleale rispetto ad altre società, in violazione delle norme UE sugli aiuti di Stato. Vi ricorda niente?
Ma bisogna riconoscere che il gruppo IKEA è altrettanto bravo nella comunicazione aziendale e nel self-branding. L’immagine che ha nel mondo è completamente diversa. In passato, ci sono state critiche turbolente in merito allo sfruttamento per la produzione del legno necessario alla massificazione della produzione dei mobili, proposti come bene di consumo e non più durevole.
E sul lato del lavoro non siamo messi meglio: tenere i prezzi dei prodotti bassi, per un colosso del low cost, significa abbassare il costo del lavoro il più possibile, da qui la delocalizzazione nei paesi dove la legislatura sui diritti dei lavoratori e dei diritti sindacali è più che debole.
“Nonostante i mobili e gli arredamenti siano interamente progettati in Svezia, sono in realtà prodotti da 1084 diversi fornitori presenti in 53 Paesi, il 61% in Europa, il 32% in Asia, il 4% in Nord America e il 3% in Russia. In particolare soltanto il 5% della produzione avviene in Svezia, nonostante questo rimanga il 4º paese in termini di fornitori (dietro a Cina, Polonia ed Italia)”.
Wikipedia
Quello che turba di IKEA è proprio la sua profonda ipocrisia, fatta di false pretese costruite a tavolino con un uso abile delle pubbliche relazioni. Il dubbio del “green wash”, cioè della ripulitura in chiave verde della propria immagine è presente.
Per correttezza, bisogna riconoscere ad IKEA la decisione di voler rinunciare ai sussidi pubblici ricevuti in piena pandemia a favore di chi ne ha più bisogno. C’è chi parla di un nuovo corso dopo l’era di Kampard.
Noi invitiamo IKEA a dimostrarci con i fatti che le parole hanno un senso, a partire dai diritti dei lavoratori
Photo by Red Mixser