Inform@fisac marzo 2019 n.1

CALCAGNI (FISAC), NEL NUOVO CONTRATTO PIU’ SALARIO E FORMAZIONE

 

Si sono avviati gli incontri tra i sindacati dei bancari, Fisac-Cgil, First-Cisl e Uilca- Uil, Fabi e Unisin e Abi per il rinnovo del contratto nazionale. Sul tavolo lo sblocco del Tfr, incrementi salariali, più formazione e una crescente attenzione ai cambiamenti che le nuove tecnologie possono portare nel settore del credito. Ne abbiamo parlato con Giuliano Calcagni, segretario generale della Fisac. Il numero uno dei bancari della Cgil fa il punto anche sulle crisi che hanno colpito il settore del credito negli ultimi anni. Su Carige, l’ultima in ordine di tempo, il governo è intervenuto in modo corretto, utilizzando, di fatto, gli stessi strumenti messi in campo dal precedente esecutivo per il salvataggio di Mps. Infine, una battuta anche sulla suggestione lanciata dal nuovo segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, per ricreare un sindacato confederale unitario. Per Calcagni è un percorso fattibile, ma che richiede tempo e molte azioni concrete per essere realizzato.

Calcagni, iniziamo dal contratto: a che punto sono le trattative per il rinnovo?

Ci troviamo ancora in una fase interlocutoria. Presenteremo alla controparte i punti fondamentali che dovranno essere inseriti nel futuro rinnovo, e su i quali ci confronteremo in una serie di incontri nel mese di febbraio.  Naturalmente prima di tutto bisogna predisporre la piattaforma, che poi faremo votare ai lavoratori.

Quali sono i principali punti che presenterete alla controparte?

Prima di tutto di carattere economico. Il primo passo sarà in questa direzione. Un punto da toccare è la retribuzione d’ingresso delle nuove leve che, a nostro avviso, deve avere gli stessi livelli tabellari dei più anziani. Non dobbiamo dimenticare che il settore bancario, anche negli anni di crisi, ha messo a segno ottime performance, con una considerevole redistribuzione degli utili agli azionisti che, nel quadriennio 2017-2020, sarà di 40 miliardi di utili. È importante dunque riconoscere, anche dal punto di vista economico, lo sforzo di tutti i lavoratori che hanno contribuito a mantenere in piedi il sistema, anche nei momenti più difficili. C’è poi il tema dei diritti e del rafforzamento del perimetro contrattuale.

Cosa chiedete per queste due aspetti?

Vorremmo far riconoscere a tutti lavoratori della categoria le tutele esistenti prima degli interventi legislativi in modifica della normativa sul lavoro. Sul rafforzamento del perimetro contrattuale, l’obiettivo sarebbe quello includere tutte le aziende che operano nella fintech, che pur non avendo la licenza bancaria, nel concreto svolgono attività di carattere bancario e finanziario, all’interno del nostro contratto. In questo modo tuteliamo le aziende del credito da una concorrenza non paritaria, e offriamo maggiori garanzie contrattuali e salariali ai lavoratori della fintech.

Concretamente questa riperimetrazione contrattuale come potrebbe esse attuata, visto che realtà come Amazon o
Facebook operano in settori del tutto diversi e si muovono su scenari multinazionali?

Dobbiamo rendere appetibile il fatto di rientrare all’interno del nostro contratto di categoria, offrendo maggiori garanzie e servizi.

Questo ci porta al tema del peso crescente che sta avendo l’innovazione tecnologica, anche nel settore del credito.

Certamente si tratta di un tema centrale, che ci spinge a rivedere e ripensare tutti gli inquadramenti contrattuali che sono figli del secolo scorso. Bisogna dunque fare i conti con tutte le figure professionali che l’innovazione tecnologica ha creato, e riuscire a governare anche i cambiamenti intercorsi nello svolgimento della professione. Nel contratto chiederemo una maggiore regolamentazione dello smart working, facendo riconoscere ai lavoratori il diritto alla disconnessione.

Quali altri elementi considerate centrali nel nuovo contratto?

Qualità degli appalti e formazione. Con il primo spingiamo affinché tutte quelle aziende che svolgono in appalto attività in appalto per gli istituti di credito applichino il contratto della propria categoria. Questo ci permette di fare chiarezza sulle commesse, riconoscere le imprese virtuose che rispettano la legge e tutelare i diritti dei lavoratori, anche se non sono del comparto bancario.

Venendo alla formazione, come deve essere pensata e strutturata?

Prima di tutto riqualificando tutti i lavoratori più anziani e meno avvezzi all’uso della tecnologia. Inoltre ci siamo accorti, soprattutto durante la crisi, che molti lavoratori, hanno avuto molta difficoltà nel comprendere le dinamiche del proprio istituto e anche dello stesso settore. Mi riferisco alla pressione che molti hanno dovuto subire da parte del management nel vendere prodotti finanziari, anche nocivi. Tutto questo fa parte di un modo di fare banca che noi non condividiamo. Con una formazione di qualità pensiamo di aiutare proprio questa fetta di lavoratori, e non solo.

Nel complesso qual è lo stata di salute delle relazioni nel settore bancario?

Di rispetto sia con Cisl e Uil, Fabi e Unisin. Da sempre ribadiamo l’importanza e la centralità del contratto collettivo e la necessità di sfoltire l’attuale giungla di accordi. In questo modo si combattono gli accordi pirata e il dumping contrattuale. Questo senza dimenticare la contrattazione di secondo livello, che è molto presente nei gruppi più grandi.

Passando all’attualità, il caso Carige è l’ultima di una serie di crisi che ha colpito diversi istituti del nostro sistema. Di chi crede che siano le responsabilità?

La responsabilità è della classe dirigente che ha mal guidato le banche, ma anche deli istituti di vigilanza, sia nazionali che europei, che a volte non hanno assolto il proprio compito.

Come valuta l’azione del governo nel gestire la crisi delle banche?

L’ex ministro Padoan ha gestito bene le crisi delle venete, di banca Etruria e del Monte de Paschi. Dobbiamo ricordarci che la banca non è un’impresa come le altre, ma ha un peso sistemico che ricade sul territorio, il tessuto produttivo e le famiglie.

Sulla Carige anche l’attuale esecutivo ha agito nel giusto modo?

In modo corretto.

Quindi, in altre parole, lei approva che ci sia stato un “copia e incolla” tra il decreto per il salvataggio di Mps e quello della Carige?

Si. Quello che ora aspettiamo è un nuovo piano industriale, che non dovrà contenere assolutamente dei tagli dell’occupazione. Anche perché stiamo parlando di una banca che ha tutte le carte in regola per riprendersi.

Spostandoci in casa Cgil, il neo segretario generale Maurizio Landini ha più volte prospettato un futuro unitario per il sindacato confederale. Qual è la sua idea?

Prima di tutto vorrei dire che la Fisac ha sempre sostenuto la candidatura di Landini. Pensiamo che lui sia l’uomo giusto al momento giusto. Allo stesso tempo la Fisac ha sempre difeso l’unità della Cgil. Sulla prospettiva di sindacato confederale unitario credo che sia un cammino molto interessante da realizzare, e anche fattibile, perché ora sono venute meno tutte quelle differenze politiche e ideologiche tra le varie organizzazioni. Certo servono azioni concrete, come la creazione di un centro confederale unitario per la formazione dei sindacalisti.

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