Inform@fisac marzo 2019 n.2

DISCONNESSIONE, SAUTE E CONCILIAZIONE
Arginare l’invasione del lavoro nella vita familiare, relazionale e sociale

Secondo l’articolo 2087 del Codice Civile, l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie e tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il datore di lavoro deve quindi assumere tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti nell’ambiente di lavoro, sia quello derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova. La sicurezza di chi lavora è infatti un bene di rilevanza costituzionale (articoli 37/41 della Costituzione) che impone al datore di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.

L’introduzione delle nuove tecnologie ha modificato sensibilmente l’organizzazione del lavoro.
Internet, posta elettronica e tutti gli altri strumenti di collegamento tra datore di lavoro e dipendente sono armi a doppio taglio che, da un lato, forniscono una maggiore flessibilità di luogo e orario di lavoro (nell’ottica del work-life balance), dall’altro consentono di essere sempre connessi, con conseguenti rischi per la salute. Inoltre, l’uso ininterrotto dei dispositivi elettronici rischia di minare l’efficienza aziendale.
Di conseguenza, occorre delineare confini e limiti che consentano una reale conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e un’efficace tutela della salute dei lavoratori, insieme alla produttività aziendale.

È in questo scenario che da qualche tempo si discute di diritto alla disconnessione. Con tale espressione si intende il diritto di lavoratori e lavoratrici all’irreperibilità, cioè a non essere oggetto di richieste e sollecitazioni  per via telematica da parte del datore di lavoro al di fuori dell’orario Massimo di lavoro, a potersi disconnettere (in senso figurato) dalle tecnologie, che ne consentirebbero la rintracciabilità senza interruzioni, senza subire ripercussioni sul piano retributivo e sulla prosecuzione del rapporto di lavoro.


UN’INTERESSANTE RICERCA

 

Dianora Poletti, avvocata e professoressa all’Università di Pisa, sulla base di recenti indagini svolte negli USA, sostiene che il tempo impiegato dai lavoratori per leggere le mail al di fuori dell’orario di lavoro supererebbe addirittura il tempo delle ferie. Gli esiti di un sondaggio svolto nell’aprile del 2016 da Samanage rivelano infatti che un lavoratore su tre controlla la posta elettronica almeno un’ora al giorno al di fuori dell’orario d’ufficio per un totale di oltre un mese di straordinario all’anno. Un intervistato su cinque si sveglia spesso per farlo durante la notte e tra i millenials la percentuale sale al 40%.

 

Il caso francese

Il primo Paese europeo a teorizzare e regolamentare il diritto alla disconnessione è stato la Francia per mezzo della loi n.2016-1088 dell’8 agosto 2016, che la qualifica expressis verbi quale diritto.
La norma obbliga ogni impresa che occupi più di cinquanta dipendenti a prevedere il diritto alla disconnessione nel contratto collettivo aziendale. In difetto di tale accordo, il datore di lavoro deve prevedere il diritto in una Charte, previa consultazione del Comité d’Entreprise o dei rappresentanti dei lavoratori. Detta Charte deve definire le modalità di esercizio del diritto alla disconnessione e prevedere, per il personale addetto alla sorveglianza dei lavoratori, corsi di formazione e di sensibilizzazione su un uso ragionevole degli strumenti  digitali di controllo della prestazione lavorativa.

Una gestione e una regolamentazione, dunque, concertata e condivisa tra datore e sindacati, che assumono un ruolo attivo nella concreta definizione delle modalità operative del diritto.
Nonostante il riconoscimento esplicito del diritto, la norma presenta una pluralità di criticità, che ne limitano di fatto l’esercizio.
Innanzitutto, si applica alle sole imprese occupanti più di cinquanta dipendenti, o comunque alle imprese che comprendono una o più sezioni sindacali delle organizzazioni più rappresentative.
Inoltre qui il diritto a essere disconnessi in alcune ore della giornata costituisce solo una versione moderna del diritto di derivazione comunitaria a un adeguato riposo. (La Corte di Cassazione francese ha in particolare precisato che il tempo di riposo è un tempo in cui “il salariato sia totalmente dispensato direttamente o indirettamente, salvo casi eccezionali, di compiere per il suo datore di lavoro una prestazione lavorativa fosse anche eventuale o occasionale”). Quindi la normativa sembra qui attribuire ai contratti collettivi di secondo livello (peraltro più condizionati dalle concrete esigenze aziendali rispetto alla contrattazione nazionale) un potere di cui lei stessa non di-spone, perché vincolato alle normative Europee.

Tutte criticità riproponibili nello scenario italiano.

La Legge n, 81/2017: la disconnessione è un diritto?

A pochi mesi di distanza dalla Loi Travail, anche il legislatore italiano è intervenuto in materia di disconnessione. A differenza della normativa francese, però, il retroterra non è contrassegnato da contratti collettivi che hanno già disciplinato il diritto alla disconnessione in via sperimentale, ma da accordi in materia di smart working.

La legge n.81 del 2017 prevede espressamente che “l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile (…) individua (…) i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disponnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche”.
A differenza di quello francese, il legislatore italiano non qualifica espressamente la disconnessione come diritto. 
Introduce però una norma imperativa, che richiede un’integrazione da parte della contrattazione non solo e non tanto individuale, (come invece è previsto nel corpo della norma), bensì collettiva.

Come abbiamo avuto già modo di osservare in merito alla disciplina francese, se il diritto a essere disconnessi deriva dalla disciplina generale dell’orario di lavoro, è in tale istituto che dobbiamo trovare le risposte a a domande causate dall’imprecisione legislativa.

E’ chiaro che il tempo impiegato per rispondere, ad esempio, alle mail debba essere compreso proprio nell’orario di lavoro (ancorché formalmente al di fuori dell’orario dedotto in contratto), perché in tale lasso di tempo è comunque richiesta una prestazione al lavoratore/lavoratrice, che è comunque sottoposto al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro e non può dedicarsi ad altre attività. Di conseguenza, le ore di disconnessione dovrebbero equivalere almeno alle ore di riposo giornaliero previsto ex lege (art.7, DL 66/2003), ossia undici ore consecutive.

L’ordinamento italiano, a differenza di quello francese, contempla alcune norme costituzionali in materia di durata della prestazione e di riposi, che hanno il fine di garantire la tutela della persona, attraverso la sua salute e la sua vita relazionale, nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. Dette norme prevedono  che “la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge” (articolo 36 comma 2 della Costituzione Italiana).

 

Nodi problematici della norma e prospettive

Per lavoro agile si intende una particolare “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato”.
(Art.18 comma 1 Capo II). Pertanto, anche se la prestazione lavorativa viene svolta senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”, emerge la necessità di delineare i limiti di utilizzo della prestazione del lavoratore subordinato.

In questo senso, l’assenza di “precisi vincoli di orario” non starebbe a significare che il datore di lavoro possa sollecitare il proprio dipendente a suo piacimento, perché la norma precisa che “la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva“.

Vito Leccese, prof. Ordinario dell’Università di Bari, sottolinea come la tutela del tempo di non-lavoro e della partecipazione dell’individuo alla vita sociale e collettiva costituisca proprio uno degli obiettivi che le garanzie e i limiti costituzionali sono volti a perseguire. In questo senso il tempo di disconnessione non rientra nell’orario di lavoro ma nel tempo libero, con la conseguenza che il lavoratore non può subire ripercussioni disciplinari dal datore di lavoro in caso di mancata risposta alle mail o di mancata ottemperanza alle direttive impartite durante tali ore della giornata.

Supponiamo, infatti, che manchi un accordo individuale che regolamenti i tempi di disconnessione, accordo imposto dalla norma. In tale ipotesi si deve comunque ritenere che al lavoratore/lavoratrice spettino per legge almeno undici ore consecutive di riposo tra una giornata lavorativa e l’altra. Questo significa che dal momento in cui egli termina la sua giornata lavorativa potrebbe eventualmente prestare una sorta di “prestazione supplementare”, che deve essere retribuita sino alla undicesima ora precedente l’avvio della giornata lavorativa successiva. Per il tempo restante dovrebbe essere in disconnessione.

Immaginiamo, inoltre, un caso ulteriore e supponiamo che l’accordo individuale ci sia, ma non rispetto l’orario predeterminato per legge oppure, ipotesi ancora più complessa, pur prevedendo la disconnessione, questa sia articolata in modo da non assicurarla in concreto, prevedendo ad esempio una disconnessione per ore non continuative, ma alternate ad ore di connessione.
In queste ipotesi bisogna capire se, e in che termini, l’accordo individuale sia sindacabile.

In effetti, l’opzione scelta dal legislatore costituzionale in materia di predeterminazione dell’orario di lavoro giornaliero non è stata neutra: l’affidamento al legislatore del compito di fissre la durata massima della giornata lavorativa presenta una stretta connessione con il perseguimento dell’interesse primario, generale (e indisponibile) alla salute.

Le prime applicazioni in Italia

La disconnessione ha già conosciuto alcune esperienze applicative, anche se sporadiche, di poco precedenti l’entrata in vigore della legge n. 81/2017.
Le applicazioni più rilevanti in materia di smart working sono state regolamentate con accordi collettivi (spesso aziendali), a conferma della rilevanza del fenomeno, dell’opportunità che simili aspetti della prestazione lavorativa non vengano affidati solo ai sindaci, bensì all’intervento del sindacato.

 

 

Le nostre osservazioni conclusive

Come abbiamo visto, la disconnessione è legata all’impatto sull’organizzazione del lavoro dell’evoluzione tecnologica. Quest’ultima, però – intesa a livello più generale nelle sue implicazioni sulle modalità di interazione tra individui e gruppi – investe l’intera struttura sociale, arrivando a rimettere in discussione di fatto, se non ad abbattere, i confini tra i diversi ambiti della vita della persone (personale, familiare, amicale, lavorativo, ecc.), così come la possibilità stessa di avere spazi e tempi dedicati per ciascuno di essi.

La continua reciproca invasione tra ambiti differenti minaccia così l’equilibrio e la salute degli individui, la qualità delle interazioni e la stessa efficienza dei processi produttivi.
Mentre quest’ultimo rischio è parzialmente limitato dal potere di direzione e controllo del datore di lavoro, la difesa di uno spazio protetto dedicato alla vita privata diventa questione rilevante per l’armonico sviluppo della nostra società.

La disconnessione, per come è stata delineata all’inizio, riguarda non soltanto lo smart working o il lavoro agile, ma tutto il lavoro dipendente ed è in stretta relazione con il rispetto dell’orario di lavoro e con l’esigibilità degli orari di fatto. Su questo, come sul tema delle politiche commerciali, è necessario recuperare un effettivo potere contrattuale e una concreta capacità di incidere, pena un sottile ma continuo scivolamento verso modalità organizzative e produttive tipiche del lavoro autonomo. Si pensi solo alle implicazioni del concetto di lavoro per obiettivi, non solo in termini di tempo di lavoro ma anche di valutazione della prestazione, percorsi professionali, ecc.

In conclusione, riuscire a definire regole e limiti esigibili all’uso della comunicazione digitale al di fuori degli orari di lavoro – magari utilizzando la stessa tecnologia come negli accordi citati all’inizio (Volkswagen, Syntex, Bmw. Daimler) – diventa fondamentale per garantire un’effettiva conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per donne e uomini.

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