Giovedì 11 giugno sì è tenuto l’incontro in conference call della Rete RSI e Sostenibilità FISAC CGIL, con all’ordine del giorno temi quali la Digitalizzazione, lo Smart Working, l’Ambiente e la Mobilità, alla luce dell’Obiettivo 8 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ovvero: incentivare una crescita economica inclusiva, sostenuta e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti.
La crisi dei primi mesi del 2020 nel nostro settore ha fortemente accelerato la digitalizzazione e l’accesso allo smart working.
La grande mole di dati e informazioni fornita dalla digitalizzazione può però generare perdita di centralità: occorre pertanto scrivere nuove regole per governare la convivenza e la connessione tra macchine e uomini.
Le banche, in un’ottica di efficientamento dei costi, stanno organizzando alcune attività produttive mediante algoritmi, eliminando la componente etica e sociale, generando un sistema del lavoro de-umanizzato e sviluppando servizi di consulenza online.
L’emergenza e la necessità di distanziamento sociale ha inoltre incentivato la clientela verso la transizione ai sistemi digitali. Secondo una ricerca Accenture il 10% degli italiani, che prima si recava solo in filiale, sta passando al digitale.
Occorre sottolineare che la mancanza di regolamentazione di questi processi rischia però di scaricare sul lavoratore le responsabilità di processi non normati.
Durante la discussione è stata citata BPER banca, che per prima ha concordato con le OOSS una lettera di manleva che solleva i lavoratori dalle responsabilità derivanti dall’operatività diciamo “atipica” nel periodo emergenziale.
L’abitudine della clientela al digitale (vedi i pagamenti con moneta elettronica, chiedere e ricevere finanziamenti senza recarsi allo sportello, avere assistenza e consulenza remota da chatbot) non è utile alla ripartenza del paese se viene meno l’aspetto umano relazione, senza considerare il rischio di perdita di numerosi posti di lavoro.
Per la Banca del futuro occorre pertanto generare valore per i dipendenti (con la formazione al primo posto), per i clienti e per l’intero ecosistema.
Passando al secondo tema all’ordine del giorno, se Keynes predisse un futuro capitalista con orari di lavoro ridotti a tre ore al giorno, stiamo per contro assistendo alla mancanza di separazione tra lavoro e vita e questo appare ancora più evidente con l’adozione frettolosa e per nulla normata dello smart working.
Dopo una prima fase in cui il lavoro da casa ha rappresentato un’indubbia risorsa e opportunità in termini di sicurezza sanitaria, di gestione dei carichi familiari (vedi chiusura delle scuole) e riduzione dei costi per la mobilità, si assiste adesso ad una vera e propria commistione e sovrapposizione tra vita lavorativa e familiare, senza soluzione di continuità, con allungamento degli orari di lavoro, spesso in contesti in cui il dipendente non ha la possibilità di usufruire di uno spazio adeguato da adibire all’attività lavorativa, non dimenticando peraltro la nuova forma di alienazione generata dal sostanziale isolamento nel quale si trova ad operare il dipendente in SmW.
Più che di smart working si dovrebbe pertanto parlare di home working o tele lavoro, anche per l’adozione di devices spesso di proprietà del dipendente, non forniti dall’azienda, con utilizzo di risorse personali in termini di rete internet, energia elettrica, scaricando quindi sui lavoratori gli indubbi risparmi delle Banche, non tenute neanche alla corresponsione dei buoni pasto (nella contrattazione vigente sono contemplati, ma nella previsione di sw su massimo 10 gg lavorativi al mese, non nel lungo periodo, come sta succedendo durante l’attuale emergenza).
La digitalizzazione e lo smart working (legge 81/2020) necessitano urgentemente di una regolamentazione per normare, tra gli altri, le responsabilità dei lavoratori, le pause, la flessibilità, i modelli formativi, l’aspetto salariale.
Passando infine all’ultimo tema appare necessario interrogarci sulla relazione tra ambiente e pandemia e su sviluppo e fenomeno virologico.
Diversi studi evidenziano come l’eliminazione delle biodiversità, la deforestazione, l’inquinamento siano direttamente correlati allo sviluppo della pandemia, in assenza di barriere che potessero arginare come in passato il diffondersi del virus.
Con l’accelerazione dello sviluppo in questi termini, se non invertiamo la tendenza, saremo destinati a vedere il ripetersi, sempre più frequentemente, di questi fenomeni.
Occorre pertanto rivedere il nostro modello di sviluppo; un nuovo modello che non abbia al primo posto solo il profitto.
Non possiamo tornare alla normalità di prima, perché ci porterà inevitabilmente all’autodistruzione, con nuove pandemie, senza parlare dello scioglimento dei ghiacci, alla presenza delle plastiche negli oceani, etc. etc. etc.
Tra i comportamenti virtuosi da adottare possiamo considerare una nuova mobilità, caratterizzata dal car sharing (tra le città europee che già lo hanno adottato ci sono Parigi, Lisbona, Copenaghen), dalla mobilità dolce (a piedi, in biciclette e con biciclette elettriche), dall’utilizzo dei monopattini.
Nel nostro piccolo possiamo provare a cambiare.
Grazia Scarpa
RSA FISAC BPER Ferrara