Inform@fisac giugno 2019 n.3

STRESS LAVORO-CORRELATO

 

Cominci a sentirti un pochino così, quasi strano. Torni a casa dal lavoro, nessuna voglia dell’abituale serata fuori per la pizza in compagnia e con l’unico desiderio di affondare nella sempre più cara vecchia poltrona e … che nessuno disturbi. Pensi a cosa hai fatto nell’ultimo fine settimana per sentirti tanto “consumato” ma non hai una risposta immediata per questo fastidio diffuso che non passa e diventa un vero e proprio malessere. La stanchezza latente è in buona compagnia con insonnia, nervosismo e ci sono questi persistenti disturbi gastrointestinali. Ci mancava anche la novità dell’allergia che, ritieni, ti dà fiato corto e cefalee ma giustifichi dicendo che ormai l’hanno tutti. E’ l’inquinamento oppure il fatto che d’altronde non ci sono più le mezze stagioni. O forse entrambe le cose. Poi pruriginosi puntini nelle gambe, tensioni muscolari e, di tanto in tantoti pare di avere un po’ di tachicardia. Sesso? Magari sì ma non è un periodo ideale e rifletti che non lo è oramai da troppo tempo. Il nervosismo diventa aggressività, chiunque ti dà fastidio ed il dormire profondamente, o il solo dormire, è un lontano ricordo.

Cos’è questo sinuoso intreccio di avvisaglie psicosomatiche, calate addosso silenziosamente senza ti accorgessi? Lo psicologo Herbert Freudenberger, statunitense ma tedesco di nascita, di questi sintomi se ne è occupato per mezzo secolo. Fu lui nel 1974, per la prima volta, a sentenziare che di “mal lavoro” ci si può ammalare quando si dà smisuratamente noi stessi. Energie e risorse, sia fisiche, sia mentali, non sono illimitate e la loro distribuzione chiede equilibrio. C’è una linea rossa che non si può oltrepassare senza poi pagarne anche duramente le conseguenze. Freudenberger chiamò, questo sconosciuto e aggressivo “cocktail” di angoscia e dolenze fisiche, esplicitamente “burnout” tradotto” bruciare totalmente”. Giusto perché non ci fossero equivoci sulla drammaticità. In Italia è semplicemente “stress lavoro-correlato”, contemplato nel Dlg. 81/08, perché direttamente connesso al lavoro e qualsiasi volontà di estenderlo ad altre area della vita, come azzardano certe aziende, è capzioso. Ritenuto da sempre, sminuendo la ridondante gravità, un’emergenza sociale e non una malattia, i persistenti studi hanno portato ad un responso inequivocabile. I recenti risultati sanitari hanno obbligato la OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ad aggiornare l’International Classification of Diseases (ICD), la “bibbia” di ogni medico per distinguere e diagnosticare le malattie, includendo il burnout / “stress lavoro correlato”, come una reale “sindrome” annessa alla salute mentale con necessità di specifiche cure mediche. Nella motivazione si entra nello specifico descrivendone, ora, precisamente sintomi e cause. Il burnout è una sindrome che deriva dallo stress cronico mal gestito che si crea sul posto di lavoro. È caratterizzato da tre dimensioni: esaurimento fisico e mentale, distacco crescente dal proprio lavoro e una ridotta efficienza. Come contrastarlo? Nel modo più logico e facile adottando pratiche corrette che tutelino e favoriscano la salute mentale dei lavoratori evitando processi stressogeni e situazioni di disagio che protratti nel tempo ne favoriscono l’insorgenza.

Nella sola Unione Europea oltre 40 milioni i lavoratori colpiti da stress con, inoltre, costi “comunitari” esorbitanti che si aggirano approssimativamente a 20 miliardi di Euro. Fra le categorie più colpite vediamo chi si occupa di “servizio alla persona”, le forze dell’ordine, i trasporti, gli insegnanti e, chiaramente, noi bancari.

In Italia il 20% dei lavoratori “burnout” sono dipendenti di Istituto di Credito. Complice i casi di cronaca che hanno coinvolto diverse banche? Non proprio o in minima parte. Forse la punta dell’iceberg. Lo studio pilota condotto nel 2016 a Pisa con la collaborazione Fisac CGIL e ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma ci dice che sono proprio le condizioni generali di lavoro a essersi degradate e conferma che fare il “bancario” non è più il posto di lavoro idilliaco, sia per tranquillità, sia per ricchezza in soddisfazioni professionali (come economiche). I “privilegi” del bancario? Finiti da un po’ di tempo! La nostra categoria vede percentuali altissime, oltre 80%, di chi vive la quotidianità lavorativa con enorme “disagio” a 360°. Sebbene il rapporto conflittuale uomo-macchina sia ancora fervido altre tensioni minano le ore d’ufficio e a strascico le restanti post. Ormai in banca siamo tutti, e solo, commerciali. Il “leitmotiv”, il filo conduttore, la parola “magica” è margini immediati. Su questo ti misurano a prescindere da ruolo e mansioni che si ricopre. La vera difficoltà è sempre di più il rapporto uomo-uomo inteso come la relazione “gerarchica”. Il moltiplicarsi delle “figure di sintesi”, atte a “tambureggiare” carichi e ritmi di lavoro da catena di montaggio, sono il puntello alle pressioni commerciali. Budget collettivi e budget personali sono spesso umilianti. Per questioni morali, di formazione, d’insicurezza, di normativa, per educazione o sensi di colpa, non esiste vorrei ma non posso, non ho tempo, non so dove, non so con chi, e così via. Dubbi e difficoltà che, per un motivo o per un altro, prendono un po’ tutti, troveranno sempre qualcuno che ti “sussurrerà”, confidenzialmente, come dalle difficoltà puoi tranne opportunità e vantaggi. Gli stessi che compilano, con la stessa confidenza, quelle classifiche “ufficiali” non pensate per osannare i migliori bensì per frustrare, sfibrare l’autostima di chi non ha raggiunto l’obiettivo aziendale prefissato nella settimana. Confidenzialmente demansionamenti, trasferimenti, pubblica denigrazione sono quotidiani. Il tuo ego non può permetterselo a vent’anni figuriamoci quando hai figli e magari nipoti. Il 60% dei bancari non si riesce adattare ai continui cambiamenti e al “metodo” in atto, il 28% arriva all’uso di psicofarmaci.

RLS e OO.SS è da tempo che dichiarano come il livello di stress lavoro correlato nel settore bancario è ormai ben oltre il livello di guardia. Datori di lavoro e MC, ognuno nei propri ambiti, hanno l’obbligo di valutare e monitorare le cause. Il dettato della OMS ci dà pienamente ragione.

Umberto Piccinini
Coordinamento Nazionale Unipol Banca

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