I BANCARI? SEMPRE DI MENO, PIÙ TECNOLOGICI. E SOPRATTUTTO DONNE
Se dovessimo immaginare come saranno banche e bancari del futuro dovremmo parlare di un mondo che si muove sempre meno su una dimensione fisica e sempre più su una digitale. Gli sportelli vengono chiusi e le visite dei clienti calano, mentre la digitalizzazione, la normativa europea e l’avanzata dei Gafa (Google, Amazon, Facebook e Apple) impongono alle banche un’attenzione sempre più forte alla loro redditività. Il volto che incroceranno i clienti in banca o al contact center, sarà sempre più spesso quello di una donna (sono il 45,9%), quarantenne (l’età media è 42,5 anni), molto probabilmente laureata, con un’anima digitale e capace di offrire consulenza ad ampio spettro, polizze e pacchetti di welfare inclusi. Questa nuova immagine ha però qualche aspetto che, soprattutto per i sindacati, suona come uno stridio.
I numeri.
Non tanto quelli del potere di acquisto dei lavoratori bancari, visto che la retribuzione contrattuale annua, secondo quanto emerge dal rapporto 2018 sul mercato del lavoro che Abi ha presentato a Milano, ha consentito il pieno recupero del potere di acquisto eroso dall’inflazione – anche se il calcolo si limitasse alla sola analisi delle voci tabellari nazionali – , quanto il loro numero fisico. La platea dei lavoratori interessata dal prossimo rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro dei bancari si assottiglia di anno in anno. I bancari dipendenti delle 359 aziende associate ad Abi sono scesi anche sotto la soglia dei 300mila. Stando ai dati del rapporto Abi del 2018 sono rimasti 297.700 (dato al 31 dicembre 2017): 267.600 nei 46 gruppi bancari e 30.100 nelle 155 imprese indipendenti.
Quello dell’industria finanziaria è un mondo dove i dipendenti sono sempre di meno, per effetto dell’atterraggio di importanti piani di ristrutturazione che hanno interessato molte decine di migliaia di bancari. Appena 5 anni prima, al 31 dicembre 2012, come si può leggere nel rapporto Abi del 2013, le imprese erano 476 e avevano 323.400 addetti.
Di questi, 289.800 dipendenti delle banche e 33.600 di società finanziarie.
La contrazione
Siamo dunque di fronte a una progressiva contrazione che nel 2017, rispetto al
2016, effettuando il confronto tra campioni omogenei di aziende, secondo quanto calcolato dall’Abi, è del 4,2%. Un dato che trova conferma anche nella
relazione annuale della Banca d’Italia dello scorso maggio da cui emerge una diminuzione dei dipendenti nel credito del 4,5%. Si tratta di un processo in corso ormai da molti anni, di cui oggi si
cominciano a vedere chiaramente gli effetti. Sui numeri assoluti, ma anche sul ricambio generazionale.
L’effetto delle ristrutturazioni
Le ristrutturazioni delle banche italiane sono infatti avvenute sempre attraverso accordi sindacali e l’uso del Fondo di solidarietà che hanno limitato al minimo l’impatto sociale delle uscite. Avvenute sempre su base volontaria, attraverso l’accompagnamento a pensione tramite le prestazioni dell’ammortizzatore di settore che nel periodo 2001-2018 ha consentito l’uscita di 70mila addetti. Con un abbattimento tra retribuzione e assegno pensionistico limitato a qualche punto percentuale, anche per effetto degli importanti apparati di previdenza complementare che caratterizzano il welfare del settore, e che sono presenti fin da quando i lavoratori fanno il loro primo ingresso in banca. Solo per fare un esempio, se è vero che l’ultimo rinnovo ha determinato un salario di ingresso per i giovani, è
altrettanto vero che l’impegno delle aziende sulla loro previdenza complementare è stato portato al 4%. La cornice previdenziale dei bancari è anche effetto della contrattazione nazionale e aziendale che è caratterizzata da relazioni costruttive con un sindacato molto rappresentativo, con una percentuale di iscritti bulgara, vicina all’80%.
Il ricambio generazionale
Le uscite sono comunque state compensate da un importante ricambio generazionale reso possibile dall’intervento di un altro strumento contrattuale bilaterale, il Fondo per l’occupazione che tra il 2012 e il 2018 ha dato risposta a 20mila domande di prestazione per assunzione o stabilizzazione di giovani. (ricordiamoci sempre che i soldi per il Fondo per l’occupazione li mettono i lavoratori, finanziandolo con l’equivalente di una giornata lavorativa ogni anno)
Il posto fisso
Nella discussione sulle tipologie contrattuali il credito si distingue perché il 55,3% dei contratti di assunzione è a tempo indeterminato, il 9,2% in apprendistato e il 35,5% a termine. Sono quindi stabili dall’origine quasi 7 posti di lavoro su 10. Un dato che si riflette su quello più generale secondo cui quasi il 99% dei lavoratori del settore ha un contratto a tempo indeterminato. La sicurezza del posto di lavoro fa sì che i lavoratori abbiano una certa stabilità e tendano ancora ad avere lunghi percorsi di vita professionale nel settore. Il risultato è che nonostante le uscite e nonostante il ricambio generazionale, l’età media dei bancari è 42,5 anni e che nel periodo 2008-2017 vi sia stato un
aumento dell’età media del personale di 4,4 anni. Un invecchiamento che è stato di 2,7 anni per i dirigenti, 3,9 per i quadri direttivi e 4,2 anni per le aree professionali.
Fonte: Il Sole 24 Ore