Una lavoratrice di banca era stata licenziata nel 2015 per aver effettuato interrogazioni di conti correnti non giustificate da ragioni di servizio.
Il Tribunale di Roma e poi la Corte d’Appello di Roma avevano considerato il licenziamento legittimo.
In particolare, la sentenza d’appello aveva ritenuto che i fatti contestati fossero dimostrati e che fossero tali da giustificare il licenziamento. Ciò in ragione della rilevanza del divieto di eseguire interrogazioni sui conti correnti non sostenute da ragioni di servizio, divieto volto a prevenire danni alla riservatezza e alla sicurezza della clientela e il rischio di azioni risarcitorie ai danni della banca da parte dei clienti stessi in caso di condotte lesive di tali beni.
Inoltre, la stessa sentenza aveva ritenuto che la Banca aveva rispettato l’obbligo informativo nei confronti dei dipendenti, obbligo previsto dalla legge n. 300/1970 art. 4 (come modificato dal decreto legislativo n. 151/2015) riguardo all’uso degli strumenti informatici e dei relativi controlli sui dipendenti.
Da ultimo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4871/2020, ha confermato in via definitiva il licenziamento, ritenendo condivisibili le argomentazioni della sentenza d’appello.
Inoltre, ha considerato adeguata l’informativa data ai lavoratori della banca prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo del 2015, una volta accertato che tale informativa fosse corretta anche ai sensi della normativa del 2015, senza necessità di reiterarla.
Appare assolutamente necessario prestare la massima attenzione a evitare interrogazioni non giustificate da motivi di servizio su dati riguardanti la clientela delle banche. Tali comportamenti possono essere accertati con facilità da ispezioni e verifiche interne ed espongono al rischio di sanzioni disciplinari assai gravi sino al licenziamento, sanzioni che la giurisprudenza considera pienamente giustificate e legittime.
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Alberto Massaia