LICENZIAMENTO O DIMISSIONI?
Una domanda che talvolta viene posta al sindacalista, quando è ormai chiaro che la contestazione sfocerà in un licenziamento disciplinare, è questa: è meglio accettare il licenziamento oppure rassegnare le dimissioni?
Può sembrare paradossale, ma – salvo il caso in cui le dimissioni siano accompagnate da un incentivo economico – normalmente il licenziamento è preferibile alle dimissioni, per diversi motivi.
- Il motivo più semplice è che la NASPI (nuova assicurazione per l’impiego), per quanto sia di un importo non elevato, spetta soltanto in caso di disoccupazione involontaria, ai sensi del decreto legislativo n. 22/2015, art.3. Ne consegue che la NASPI spetta anche nel caso di licenziamento, invece non spetta in caso di dimissioni volontarie.
- Un motivo più sfaccettato è rappresentato da fatto che l’impugnazione in sede giudiziaria di un licenziamento può essere certamente complessa, ma in linea generale, l’impugnazione delle dimissioni è sicuramente più difficile sul piano probatorio. Inoltre, in caso di licenziamento illegittimo vi sono pur sempre alcune specifiche tutele di legge, per quanto pesantemente decurtate dalle recenti “controriforme”.
- Infine, occorre tenere presente che il licenziamento non viene annotato sulla scheda professionale del lavoratore, il documento introdotto dal decreto legislativo n. 297/2002 e che ha sostituito il vecchio libretto di lavoro.
La possibilità da parte di un nuovo datore di lavoro di venire a conoscenza dei motivi delle dimissioni o del licenziamento comminato in precedenza da una banca o da una qualunque altra impresa, può derivare da accertamenti svolti in base a conoscenze e relazioni, non di certo da norme di legge.
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