Inform@fisac febbraio 2020

BASTA CON I “MANTRA”

 

La parola “mantra” viene usata nel linguaggio comune per significare impropriamente una sorta di “formula magica”, che dovrebbe determinare qualche effetto subliminale. Anche in BPER da qualche tempo viene fatto un uso improprio di alcuni “mantra”, dei quali il più in voga è: “non possiamo lamentarci”.

Le legittime segnalazioni di problemi, difficoltà, malfunzionamenti derivanti da quest’ultima fusione vengono spessissimo tacitati con questa affermazione. Tale scelta comunicativa denota una strumentalizzazione di concetti che, astratti dal contesto originario, si trasformano in slogan controproducenti e demotivanti: un atteggiamento di minimizzazione dei problemi, già denunciato dal Sindacato, che non porta a risolvere i problemi e di certo non contribuisce ad alimentare lo “spirito di squadra” ed il senso di appartenenza, elementi indispensabili per affrontare il contesto assai difficile che ci si trova ad affrontare.

Che qualcuno possa contare su una forma di convincimento subliminale indotta da questa affermazione, risulta francamente preoccupante. L’unico risultato tangibile è quello del “silenzio” di chi ha perso la speranza in un confronto utile. Un “silenzio” di cui non si vuole riconoscere le effettive motivazioni.

Altro “mantra” molto in voga: “la formazione è un obbligo dei lavoratori, se non riesci a farla al lavoro, la fai dopo l’orario e senza segnare straordinario perché va a tuo vantaggio”. È necessario fare chiarezza: alcune norme introducono l‘obbligo, per il datore di lavoro, di fornire ai lavoratori la formazione specifica. In assenza della quale, in taluni casi, i lavoratori devono necessariamente astenersi dall’operatività connessa. Il potere dispositivo del datore può imporre al lavoratore di seguire i corsi di formazione, ma questo dovere non può che essere subordinato alla effettiva fruibilità della stessa.

In generale, al di là degli obblighi di legge, la formazione dei lavoratori è un  dovere/interesse del datore perché fattore cruciale per il buon funzionamento dell’azienda, presupposto irrinunciabile per minimizzare rischi di ogni genere ed incrementare la capacità di produrre reddito, nell’interesse di tutti gli stakeholder.

Insomma: la formazione è lavoro e si deve fruire durante l’orario di lavoro, sul luogo di lavoro o nelle modalità previste. Va sottolineato che il datore di lavoro deve garantire condizioni idonee affinché i lavoratori possano beneficiare di un effettivo apprendimento, senza innominabili scorciatoie (p.es. nel fruire dei corsi mentre si servono i clienti allo sportello priva di qualunque effettiva esperienza formativa).

Al lavoratore spetta chiedere quando e come fruirne, ma non deve essere fatta a “spizzichi e bocconi” tra un cliente e l’altro e nemmeno durante la pausa pranzo. Se fruita oltre l’orario di lavoro, costituisce prestazione straordinaria che deve essere autorizzata e retribuita. I lavoratori devono assolutamente rifiutarsi di ottemperare a simili illegittime pratiche tossiche, sia per non veder lesi i propri diritti, ma anche per non avvalorare, con il loro eccesso di dedizione, le incapacità organizzative dell’Azienda.

A scanso di equivoci e strumentalizzazioni, è necessario sottolineare che le scriventi OO.SS. non hanno nessuna volontà di puntare in dito contro chicchessia, poiché hanno sempre pensato che vi sia univocità d’interessi tra tutti i lavoratori. È la cultura aziendale di cui è intrisa l’intera la struttura che invece favorisce le divisioni tra i colleghi. Una cultura che deve necessariamente essere cambiata al più presto, lasciando totalmente da parte l’utilizzo di deleteri slogan “motivazionali” che possono incentivare comportamenti non in linea con gli accordi o le norme, per rimettere le persone al centro della vita organizzativa.

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