In Italia sono circa 7 milioni le donne, appartenenti a qualsiasi classe sociale, culturale ed economica, che nel corso della loro vita sono state colpite da forme di violenza: insulti, denigrazioni, comportamenti di controllo, molestie, maltrattamenti, stalking, percosse. Vittime che spesso vengono colpevolizzate, messe in discussione e isolate da parole e comportamenti figli di radici culturali stereotipate.
Per questo sono essenziali strategie politiche mirate all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento e alla realizzazione di pari opportunità e di pari dignità. Un ruolo fondamentale lo ha illavoro che attraverso l’autonomia economica e il riconoscimento sociale è strumento di supporto per la donna nel rompere la dinamica di sottomissione e dipendenza.
Ma cosa sono esattamente le molestie e cosa succede quando anche nel mondo del lavoro si insinuano molestie e violenza?
Sono 1 milione 404 mila (l’8,9% per cento delle lavoratrici, attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione) le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro.
Si definisce molestia sessuale ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di discriminazione basata sul sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne nell’ambiente di lavoro, ivi inclusi atteggiamenti di tipo fisico, verbale o non verbale. Fatti che producono nell’ambiente di lavoro un clima insopportabile che non solo offendono la persona ma minano le proprie capacità, condizionano l’efficienza sul lavoro, ledono il diritto al lavoro ed alla salute. In pratica si tratta di tutti quegli atteggiamenti che “enfatizzano il ruolo della donna come oggetto sessuale piuttosto che come collega di lavoro”, alcuni più immediatamente riconoscibili altri, invece, più subdoli e latenti. Per fare alcuni esempi, sono molestie:
- tutti i contatti fisici indesiderati e sgraditi;
- le proposte indecenti, le avances pesanti e non ricambiate, le domande e le insinuazioni sulla vitasessuale, gli epiteti e gli insulti, gli apprezzamenti allusivi e i doppi sensi sgraditi, le esternazioni volgari sull’aspetto, sul corpo, sull’abbigliamento, gli scherzi di cattivo gusto a sfondo sessuale, la pressione esercitata con le parole per ottenere favori sessuali, le richieste di appuntamenti e rapporti sessuali implicite o esplicite non gradite;
- le scritte licenziose, gli atti di esibizionismo, emettere fischi al passaggio, compiere gesti di significato sessuale, distribuire materiale pornografico in ufficio o affiggere fotografie ed immagini scabrose e a chiaro contenuto sessuale che ricordino al soggetto molestato di essere considerato più per il ruolo sessuale che per le capacità lavorative;
- le promesse, implicite o esplicite, di agevolazioni e privilegi oppure di avanzamenti di carriera in cambio di prestazioni sessuali e le conseguenti ritorsioni in caso di risposta negativa.
Ma come distinguere un complimento o un corteggiamento da una molestia?
Il corteggiamento prevede condivisione, complicità, accettazione. La differenza la fa il “NO”, il rifiuto, l’imbarazzo. La molestia cela un abuso di potere, si crea un’atmosfera di soggezione o di timore.
Ma perché allora è così difficile?
Perché sono ancora tante le differenze, discriminazioni e asimmetrie tra i generi che si amplificano quando le questioni attengono al fronte sessuale. Questo perché nell’immaginario collettivo la donna continua ad essere considerata come “preda”, oggetto da possedere, indipendentemente o contro la sua volontà. E questa percezione è la motivazione primaria del persistere di violenze e abusi consumati sui corpi delle donne.
VIOLENZA SULLE DONNE NON SIGNIFICA SOLO SCHIAFFI E LIVIDI. C’E’ IL PESO DELLE PAROLE, QUELLE CHE ACCUSANO E FERISCONO UNA SECONDA VOLTA. C’E’ CONSIDERARE LA DONNA COME UN CORPO DA USARE, CONSUMARE, FAR PROPRIO. C’E’ L’INDIFFERENZA DI CHI GUARDA E ASCOLTA, MAGARI RIDE E GIUSTIFICA. C’E’ CHI NON VEDE E SENTE I NOSTRI NO! NON LASCIAMO PIU’ PERDERE: CHE POI A PERDERCI SIAMO NOI!!