Telecamere a lavoro, privacy e controllo a distanza. I principi della corte europea dei diritti umani

Sempre in tema di privacy e controllo a distanza , una riflessione di Maurizio Mancuso sulla sentenza della Corte Europea di Strasburgo.


Con la sentenza Lòpez-Ribalda del 17/10/19, la Corte di Strasburgo ha delineato nuovi ambiti di interpretazione ed applicazione delle garanzie a tutela della privacy, portando all’attenzione internazionale i delicati meccanismi di equilibrio tra difesa della sfera individuale e controlli in ambito lavorativo. 

IL FATTO 

Spagna, 2009: alcuni dipendenti di un supermercato spagnolo vengono sorpresi, dalle telecamere installate dal datore di lavoro, a prelevare indebitamente della merce dagli scaffali, per un valore complessivo di circa €82.000 e, a seguito di tale scoperta, vengono licenziati.

Giova precisare che le telecamere erano state installate per un periodo limitato di tempo e in luogo circoscritto, ma senza la preventiva comunicazione ai dipendenti, requisito richiesto dalla normativa spagnola. 

Alcuni dei dipendenti, impugnato il licenziamento davanti ai giudici interni, si vedevano bocciare il ricorso in tutti i gradi di giudizio, ragion per cui adivano la Corte Europei dei Diritti dell’Uomo, incardinando il ricorso sulla violazione dell’art 8 della Convenzione dei diritti dell’Uomo ( diritto alla privacy nella sfera privata) e sulla violazione dell’art 6 (diritto ad un equo processo). 

LA SENTENZA

La Corte Europea, confermando la decisione dei giudici spagnoli, ha rigettato il ricorso dei dipendenti dichiarando che non c’è stata violazione della privacy né del diritto ad un giusto processo, confermando pertanto il licenziamento dei ricorrenti.  

Secondo i giudici di Strasburgo infatti, se da una parte si rilevava un profilo di violazione della normativa sulla Privacy nel momento in cui il datore ometteva di fornire comunicazione preventiva delle riprese ai dipendenti, dall’altra ammetteva le registrazioni come prova all’interno del processo e non ne condizionava, complessivamente, l’equità, in ragione del fatto che tali registrazioni non erano state le uniche prove a carico dei dipendenti, ed i giudici interni avevano potuto formulare il giudizio anche sulla scorta di altri elementi quali, ad esempio, prove testimoniali. 

E’ stato riconosciuto inoltre che tali registrazioni, nella misura in cui erano state delimitate nello spazio ( un punto specifico del supermercato ) e nel tempo ( 10 giorni ), e per il fatto che erano state ritenute non sostituibili a mezzi alternativi di controllo sui beni aziendali, rispettavano il criterio di proporzionalità dettato dalla stessa Convenzione Europea dei Diritti Umani.

I PRINCIPI 

Con la sentenza Lòpez-Ribalda vs Spagna, la Corte conferma quindi alcuni punti chiave necessari a contemperare la tutela della privacy individuale e la libertà di impresa, ovvero, a gestire i controlli su beni aziendali e gli accertamenti su condotte illecite dei dipendenti:

  • La necessità della comunicazione preventiva,  nel rispetto della tutela della sfera individuale dell’individuo, che ricomprende,  evidentemente, anche la vita lavorativa. 
  • Il rispetto del principio di proporzionalità, che si estrinseca, ragionevolmente, nell’accertamento circa l’inevitabilità dell’uso di impianti di ripresa audiovisiva, e nella delimitazione spazio-temporale di tale utilizzo. 

…E IN ITALIA? 

L’articolato sistema di garanzie costituito dallo Statuto dei Lavoratori, dal Codice della privacy e dalle Linee Guida del Garante (che può delineare, a pieno titolo, regole di gestione utili ai giudici italiani in fase processuale) costituisce la base normativa sulla quale ci si deve orientare per operare nel rispetto della privacy nei confronti dei lavoratori. 

Poco sorprende, pertanto, la decisione dei giudici europei, poiché i richiamati principi sono ben contenuti nell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, anche a seguito delle modifiche del d.lgs.151/2015 (Jobs Act),  che rimanda, peraltro, al Codice della Privacy per l’utilizzo dei dati anche in ragione della preventiva informazione. 

Ricordiamo infatti che l’art.4 dello Statuto prevede l’installazione di telecamere previo accordo sindacale, o, in difetto, previa autorizzazione dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. In sede di esame, si verificheranno con le parti a) l’effettiva necessità e b) la non sostituibilità con altri mezzi di tutela. 

Inoltre, relativamente ai dati raccolti attraverso impianti di registrazione o strumenti tecnologici (pc, oppure telefoni e smartphones aziendali ),si stabilisce che siano utilizzabili esclusivamente dopo adeguata informazione preventiva. 

Appaiono quindi, nel dettato normativo italiano, soddisfatti i requisiti ribaditi dalla Corte di Strasburgo, pertanto non dovremmo osservare particolari novità né sul fronte normativo né tantomeno su quello giurisprudenziale. 

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