Patuelli: più prestiti se famiglie e imprese investono nelle banche

Corriere Economia intervista il presidente dell’Abi. Le banche prestano pochi soldi a famiglie e imprese? Famiglie e imprese investano nei prodotti delle banche, per rimediare alla scarsa liquidità. È la proposta-choc di Antonio Patuelli, neopresidente Abi, l’Associazione bancaria italiana.
Le banche faticano a concedere finanziamenti: tempi sempre più lunghi, tassi alle stelle. Il governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, l’ha ribadito la scorsa settimana. Ma prestare non è il vostro mestiere?
«Certo, ma in Italia le banche prestano il 20% in più di quanto raccolgono. Siamo commercianti specializzati. E abbiamo un problema di approvvigionamento a medio e lungo termine. Non si può chiedere a un commerciante di dare lo stesso un prodotto, se l’ha finito. Comunque i tassi sono ai minimi storici».
Ma la Banca centrale europea l’anno scorso ha iniettato mille miliardi nelle banche…
«La Bce non ci dà fondi a 15-20 anni. Abbiamo stock di mutui di questa durata, richiesti dalle famiglie, ma non abbiamo raccolta a così lungo termine. La Bce ha fatto un intervento a breve nel momento di massima emergenza».
Aumenterete l’erogazione di prestiti quest’anno?
«Dipende da dove i risparmiatori destineranno i risparmi e da come andrà l’economia».
In che senso?
«La premessa è che la raccolta bancaria nelle forme classiche trovi un più forte favore nell’opinione pubblica. Soprattutto non a vista, di breve termine, sui conti correnti, ma a lungo: con depositi vincolati, obbligazioni bancarie, certificati di deposito, conti di deposito con scadenze lunghe…».
Dipende dai rendimenti che date…
«Non solo. Se alziamo i tassi sui depositi, salgono anche quelli sui prestiti. Se vogliamo lo sviluppo non dobbiamo favorire la crescita dei tassi, che è stata imposta negli ultimi due anni dal decollo degli spread. Le banche si sono dovute alimentare ai prezzi della raccolta più elevata dello Stato. E a quei livelli hanno dovuto riprezzare mutui e prestiti».
Veramente la forbice dei tassi, per le famiglie, si allarga. Gli attivi sempre più bassi, poco sopra lo 0 per cento. I passivi sempre più alti, oltre il 18 per cento…
«La valutazione sugli spread delle banche è che la forbice si è ridotta: pagano di più il denaro, ma non ricaricano del tutto il costo sui clienti. Si vede dai bilanci, che non hanno fatto faville».
Insomma, famiglie e aziende devono darvi soldi per averne?
«È un circuito produttivo. Un invito alle famiglie e imprese che hanno liquidità. Investire in forme di durata elevata aumenta le possibilità di prestare. È una logica distorta pensare che le banche abbiano la fabbrica dei soldi».
I tassi scenderanno?
«Me lo auguro e opereremo in questa direzione, ma dipenderà dallo spread del debito pubblico, dal venir meno della rigidità internazionale e, appunto, dall’investimento nel risparmio bancario».
Avete chiesto «una scossa per dare liquidità alle imprese». Che cosa vuol dire?
«Chiediamo che la pubblica amministrazione paghi i debiti con la tempestività con cui esige le tasse. Così si immetterebbero 70 miliardi nell’economia produttiva. Le imprese avrebbero nuova liquidità e le banche la possibilità di ridurre le sofferenze».
Non c’è una responsabilità del sistema bancario nell’aumento delle sofferenze?
Il sistema bancario per noi non esiste più dal 1993, ci sono le singole banche. E le sofferenze si riducono se arrivano 70 miliardi. La crisi è supportata dalle imprese e dalle banche».
Anche dai consumatori. Le commissioni sui conti correnti per molte voci, come i bonifici, continuano a crescere.
«I consumatori possono cambiare banca. Anche nelle località più piccole ci sono diversi istituti di credito, più le Poste, e questo si somma ai conti online a condizioni bassissime. Si può scegliere».
Per gli sconfini ora c’è una commissione d’istruttoria veloce che tocca i 50 euro al mese. E per il fido si paga anche se non lo si usa. È giusto?
«Bisogna che la banca abbia liquidità sempre disponibile. E se si vuole poter prelevare fino alla cifra concordata, l’operazione ha un costo. La commissione di disponibilità fondi c’è in tutta Europa».
Avete incassato il salvataggio del governo Monti su queste commissioni bancarie.
«Nessun salvataggio. Le banche in Italia hanno costi elevatissimi, anche fiscali, che non vengono evidenziati».
Il caso Mps ha fatto emergere criticità sulla solidità patrimoniale delle banche.
«Il Montepaschi è un caso isolato ed eccezionale, su 670 banche in Italia. Non possiamo generalizzare né criminalizzare un mondo. C’è un problema, abbiamo rispetto delle autorità giudiziarie e di vigilanza. Mi limito a notare che in Italia non è stato dato un euro a fondo perduto alle banche e il prestito di 4 miliardi a Mps è a tassi dal 9 al 15%».
Interventi per la fiducia dei clienti?
«Le banche italiane hanno molti milioni di azionisti fra i risparmiatori. Il credito cooperativo ha 1,2 milioni di soci, le popolari altri 1,2 milioni, le spa quotate e non quotate altri milioni. Perciò i risparmiatori sono legati alle loro banche. Ci tengono».
Banca d’Italia dovrebbe poter rimuovere i vertici delle banche?
«Banca d’Italia ha già molti poteri: può commissariare, verificare i requisiti di onorabilità e professionalità. Le regole di vigilanza devono essere identiche nell’Europa dell’euro».
Il caso Mps ha sollevato anche il problema delle fondazioni: azionisti scomodi?
«Il rapporto delle fondazioni con le banche è da investitori istituzionali, non da speculatori: favorsicono la stabilità. E quando le banche hanno avuto bisogno di capitali, le fondazioni hanno versato. Le 89 fondazioni bancarie sono tutte diverse e poliedriche, la Fondazione Monte Paschi è da sempre un pezzo del Comune di Siena. Un’eccezione».

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