Quale rapporto tra sicurezza sul lavoro ed invecchiamento lavorativo – Parte 1 di 2

Nel corso dei prossimi decenni l’Unione Europea registrerà un aumento della percentuale di lavoratori e lavoratrici anziani/e: le tendenze demografiche riguardanti la popolazione attiva nell’UE (28 Stati) indicano che la fascia d’età compresa tra 55 e 64 anni aumenterà di circa il 16,2% tra il 2010 e il 2030, mentre le altre fasce d’età diminuiranno dal 5,4% (40-54 anni) al 14,9% (25-39 anni). Inoltre, le proiezioni al 2080 evidenziano un incremento della popolazione al di sopra dei 65 anni di età, che rappresenterà il 28.7% dell’intera popolazione dell’UE-28, valore che nel 2014 era attestato al 18,5%; tale cambiamento demografico è dovuto all’aumento dell’aspettativa di vita e al tasso di fertilità ridotto.

Queste variazioni delle tendenze demografiche si riflettono anche sul mondo del lavoro con la conseguenza di delineare un invecchiamento della forza lavoro europea mai visto prima d’ora. Il tasso di occupazione dell’UE-28 per le persone di età compresa tra 55 e 64 anni è aumentato dal 39,9% nel 2003 al 50,1% nel 2013. È aumentata anche l’età media di uscita dal mercato del lavoro, che è passata da 59,9 anni nel 2001 a 61,5 anni nel 2010 con un trend, negli ultimi anni, in ulteriore crescita. Si definisce, quindi, una vita lavorativa più lunga per i cittadini europei.

Il quadro italiano non differisce molto da quello generale europeo: infatti, la pubblicazione dei dati ISTAT a marzo 2017, conferma la tendenza dell’invecchiamento della popolazione italiana. Nello specifico, al 1 gennaio 2017 i residenti hanno un’età media di 44,9 anni, due decimi in più rispetto alla stessa data del 2016. Gli individui di 65 anni e più superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli di 80 anni e più sono 4,1 milioni, il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono 727 mila, l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a 17 mila. Inoltre, secondo le proiezioni Istat del cambiamento demografico, l’età media della popolazione tenderebbe a crescere al ritmo annuale di circa due decimi di punto, passando dagli attuali 43,5 anni a 47,8 anni nel 2035 e si raggiungerebbe un massimo di 49,8 anni di età media nel 2059. Infine, a indicare un potenziale processo di stabilizzazione dell’invecchiamento, l’età media della popolazione potrebbe ridiscendere a 49,7 anni entro il 2065.

Lo scenario fin qui descritto si ripercuote, in tutta Europa, inevitabilmente anche all’interno del mercato del lavoro. A questo proposito va tenuto in considerazione che il limite dell’età lavorativa dipende dalla situazione economica e dalla legislazione previdenziale, che cambia da paese e paese e non certamente da un dato biologico.

Entro il 2030 i lavoratori di età compresa tra 55 e 64 anni costituiranno il 30% o più della forza lavoro nella maggioranza dei Paesi europei. Di fatto, con l’innalzamento dell’età pensionabile negli Stati membri, molti lavoratori probabilmente avranno una vita lavorativa più lunga: per questo, è importante impegnarsi per garantire condizioni di lavoro sicure e sane in tutto l’arco della vita lavorativa.

In Italia siamo passati da interventi di prepensionamento imposto, cassa integrazione decennale per le industrie in crisi sino alla decisione, tout court, di aumentare l’età pensionabile per tutti, senza tener conto delle condizioni sociali e di salute dei lavoratori. Non ci sono più soldi per pagare le pensioni e allora si aumentano le soglie di pensionamento in modo tale da non avere nuovi pensionati e potendo contare sul fatto che, lavorando fino a 67 anni, si versano i contributi per coloro che sono già in pensione.

Se nel 1993 la classe dei lavoratori maturi rappresentava meno del 9% dell’offerta di lavoro complessiva e i lavoratori giovani erano il 15% degli attivi, oggi assistiamo ad un’inversione di tendenza: i giovani rappresentano meno del 7% degli attivi contro un 12% dei lavoratori over 50.

Quindi, per quanto riguarda l’Italia si acuisce il problema dell’invecchiamento della popolazione lavorativa, in funzione:

– dell’invecchiamento della popolazione, compensato soltanto in parte dall’immigrazione;

– dell’incremento dell’età di pensionamento;

– della possibile esposizione più prolungata a rischi lavorativi;

– dei fattori economici (erosione della pensione; costo vita; disoccupazione coniuge o progenie, produttività e costo del lavoratore anziano);

– della scarsità di posti di lavoro in generale e in particolare adatti a lavoratori anziani.

A fronte di questi dati si rende necessario un approccio olistico alla gestione dell’età nei luoghi di lavoro con azioni su:

ambiente di lavoro, contesto del lavoro, salute fisica e psicologica, formazione e apprendimento permanente, politiche per la promozione della salute e del benessere lavorativo.

Fondamentale, per la sua riuscita, è il coinvolgimento del management aziendale e di tutte le parti interessate in particolare, i responsabili delle risorse umane , gli RLS e Rappresentanti sindacali.

Al centro dell’approccio olistico alla gestione dell’età nei luoghi di lavoro vi è il concetto di “capacità lavorativa”, intesa come equilibrio tra le esigenze lavorative e le risorse individuali: quando questi due fattori sono compatibili, la capacità lavorativa è adeguata.

I fattori fondamentali che influiscono sulla capacità lavorativa sono:

  • salute e capacità funzionali;
  • istruzione e competenza;
  • valori, atteggiamenti e motivazione;
  • ambiente di lavoro e comunità lavorativa;
  • il contenuto, i requisiti e l’organizzazione del lavoro.

Analizziamo più dettagliatamente alcuni di questi aspetti anche per valutare come si mettono tra loro in relazione.

La riduzione delle capacità funzionali può essere ritardata e limitata al minimo grazie ad abitudini e stili di vita sani, come un’attività fisica regolare e una corretta alimentazione. L’ambiente di lavoro svolge un ruolo fondamentale nella promozione di uno stile di vita sano e di attività che servono a prevenire il declino fisico, contribuendo quindi a mantenere la capacità lavorativa.

Con l’età crescono le esperienze e le competenze, ma diminuiscono le capacità funzionali, principalmente fisiche e sensoriali, per effetto del naturale processo di invecchiamento. Tali mutamenti devono essere presi in giusta considerazione dal sistema di gestione della salute e sicurezza delle aziende, in un’ottica di prevenzione che valuti correttamente i rischi connessi all’età ponendo attenzione all’ambiente e al contesto lavorativo, e che possa garantire la giusta valorizzazione del patrimonio professionale ed umano del lavoratore.

Va da sé che i cambiamenti psicofisici legati all’invecchiamento possono ridurre l’abilità allo svolgimento di alcune attività lavorative, o aumentare la suscettibilità ad alcuni fattori di rischio lavorativo o, ancora, creare condizioni che aumentano il rischio di infortunio. I lavoratori più anziani non costituiscono, però, un gruppo omogeneo. Possono sussistere differenze considerevoli tra persone della stessa età; infatti, i cambiamenti delle capacità funzionali non sono uniformi, in quanto esistono differenze individuali nello stile di vita, alimentazione, forma fisica, stato di salute, predisposizione genetica alle malattie, livello di istruzione, impieghi lavorativi, influssi ambientali.

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