Le diversità sono un valore e una ricchezza. Certo. Su questo siamo tutti d’accordo. Ma cosa significa, in concreto?
Conoscere le diversità significa sapere che le donne – anche a parità di mansione – guadagnano meno degli uomini e prendono pensioni più basse.
Tutto ciò a causa delle penalizzazioni economiche e contributive dovute alle assenze per cura dei bambini e dei genitori anziani e di percorsi di carriera più lenti e discontinui, a prescindere dai loro meriti.
Includere le diversità significa introdurre correttivi concreti per invertire questo fenomeno.
Includere le diversità vuol dire, anche, valorizzare le differenti abilità che le donne acquisiscono per il fatto di doversi continuamente organizzare tra diversi impegni familiari e lavorativi, anziché richiamarle alla presunta ineluttabilità della scelta tra figli e lavoro, come pare abbia fatto l’A.D. nel corso dell’iniziativa, rifacendosi alla propria esperienza personale (anzi, a quella della moglie).
Concretamente, si potrebbe riconoscere alle madri (e ai padri) che lavorano una maggiore autonomia nella gestione del tempo, attraverso elasticità e flessibilità di orario e una mobilità sostenibile.
Ancora, si dovrebbe permettere ai part time di recuperare il tempo aggiuntivo dedicato alla formazione in aula (evitando di penalizzarli sia dal punto di vista economico che della gestione del proprio tempo, o di escluderli di fatto dalla possibilità di formarsi).
Inoltre, si dovrebbero riconoscere ai part time pari opportunità in termini di carriera e di salario variabile e incentivato perché competenza, efficienza e qualità del lavoro non sono sempre e solo questioni di tempo.
Infine, andrebbero “premiati” (anziché ridicolizzati o marginalizzati) gli uomini che decidono di condividere i carichi di cura, attraverso integrazioni – in termini di tempo o di retribuzione – dei permessi quando siano gli uomini a fruirne.
Valorizzare le diversità significa integrare positivamente il contributo che ciascuno è in grado di dare alla vita aziendale, senza colpevolizzare chi ha problemi di salute, perché nella vita, prima o poi, capita a tutti e i sensi di colpa non aumentano la produttività.
Nel nostro Paese, nel nostro settore e nella nostra azienda, l’età media aumenta, e con essa aumentano i problemi di salute – e di disabilità – propri e dei propri familiari.
E’ un dato di fatto. Dobbiamo tutti, Azienda per prima, imparare a conviverci positivamente.
Infine, la cultura delle diversità si costruisce veicolando il messaggio che ogni mansione all’interno di un’azienda ha pari dignità e importanza e che tutte, senza alcuna eccezione, contribuiscono a perseguire il raggiungimento degli obiettivi.
Solo riconoscendo pari dignità a ogni anello della catena produttiva, alle mansioni operative, a quelle specialistiche e a quelle di controllo, al pari di quelle commerciali, si costruisce concretamente, giorno dopo giorno, un’azienda che conosce, valorizza e include le diversità e che produce ricchezza, benessere e senso di appartenenza.
In questi ultimi anni abbiamo, invece, assistito alla progressiva gerarchizzazione in chiave militaresca delle leadership aziendali, selezionate e formate in base a criteri di totale dedizione a logiche commerciali di brevissimo periodo.
Inoltre, la diversità è stata marginalizzata, nell’intento di ricondurla a “normalità”, nell’ottica di una produttività spiccia e il malessere diffuso nei posti di lavoro è frutto anche di questa precisa scelta manageriale.
Dubitiamo che l’iniziativa “Mps Diversity Inclusion” possa porre rimedio a una situazione ormai largamente compromessa, ma vogliamo interpretarla come una presa d’atto da parte aziendale dell’improrogabile esigenza di un radicale cambio di rotta e sottolineiamo perciò che lo stesso non può esaurirsi in un’idea estemporanea, ma dovrà realizzarsi attraverso la contrattazione ed il conseguente coinvolgimento delle commissioni bilaterali già istituite. Solo in questo caso sarebbe un’Azienda credibile.
Siena, 11 marzo 2019
LE SEGRETERIE