Il 9 febbraio CGIL CISL e UIL hanno riempito le vie e le piazze di Roma con una grande manifestazione nazionale. Si è trattato della prima iniziale risposta alle misure e, soprattutto, alle chiacchiere del Governo.
A questo continuo comunicare a vuoto attraverso i media si collega la necessità di trovare un nemico a cui dare la colpa per i problemi del Paese: gli immigrati, i sindacati, i giudici, le ONG, la Francia… e adesso è la volta del Direttorio della Banca d’Italia.
In una situazione in cui l’economia italiana galleggia a mala pena, le turbolenze internazionali (dazi, scontro Stati Uniti-Europa) arrivano a peggiorare tutto. Gli ultimi dati economici confermano che l’Italia è tornata in recessione. Una nuova crisi rischierebbe di risultare catastrofica per il Paese, compreso il suo sistema bancario. Pur sapendo che le chiacchiere nulla possono per fermare questa dinamica, il Governo continua invece ad ammassare presunti colpevoli da additare alla rabbia di una popolazione sofferente e impoverita da decenni di politiche economiche sbagliate.
Come OO.SS. abbiamo fortemente criticato queste politiche da qualunque governo venissero proposte. Abbiamo più volte spiegato che l’austerity non avrebbe risolto nulla e avrebbe disgregato il tessuto sociale e politico dell’Unione Europea. Eventi quali la Brexit e la nascita di alcuni governi ideologicamente sovranisti sono anche l’effetto di queste politiche sbagliate.
La sconclusionata aggressione del Governo odierno alla Banca d’Italia e ai suoi vertici ricorda sia la mozione di sfiducia nei confronti del Governatore voluta dal PD nell’ottobre del 2017, sia le più dolorose vicende del marzo 1979, quando la loggia massonica segreta P2 diede l’ordine al giudice Alibrandi di punire il vertice della Banca per l’autonomia dimostrata in alcuni casi di frodi bancarie (banche di Sindona, Italcasse, ecc.).
All’epoca il meglio del Paese, dall’accademia ai sindacati, accorse a difesa della Banca perché era chiaro che l’attacco mirava a distruggere non solo uomini retti ma un ostacolo al dilagare della corruzione e del malaffare. I più prestigiosi economisti, guidati da Federico Caffè, firmarono un appello in difesa di Baffi e Sarcinelli. È difficile che la reazione all’attacco dell’Istituzione Banca d’Italia da parte del Governo sia paragonabile a quella dell’epoca.
La Banca attuale, dobbiamo dircelo, non gode dello stesso prestigio.
In parte, ciò è dovuto ad aspetti che vanno molto oltre l’Istituto, basti pensare alla nascita dell’euro, all’Unione Bancaria, ecc., ma in parte dipende anche dalle scelte del nostro vertice, che non abbiamo mancato più volte di rimarcare. Peraltro c’è da dire che sinora non hanno incriminato nessuno, ma non si sa mai, se restassero a corto di nemici…
È comunque ovvio l’intento che muove il Governo: zittire le critiche, demolire l’autonomia delle Istituzioni (dalla scuola alla magistratura alla Banca d’Italia). Quando i membri dell’esecutivo parlano di vicende bancarie e finanziarie esprimono un’approssimazione sconcertante. Del resto, si tratta di una approssimazione da un lato di lungo corso, basti pensare alla per fortuna rapida avventura dei leghisti come gestori di una banca (Credieuronord, fallita praticamente subito), dall’altro fondata su idee balzane e complottiste tutte da dimostrare.
In questa situazione complessa, dove le scelte gestionali del vertice hanno portato a un allontanamento e a una profonda disillusione di molti colleghi verso l’Istituto, la CGIL, la CISL e la UIL si pongono a difesa a tutto campo del bene primario dell’indipendenza della Banca, consapevoli che, al di là degli uomini che oggi la guidano, questo attacco mira a una riduzione della competenza e delle capacità d’azione dell’Istituto, con ricadute anche sui lavoratori che vi operano con professionalità e dedizione.
Il Governo usa le vicende dei risparmiatori veneti per far dimenticare la propria estrema difficoltà a gestire la crisi economica e a far mutare direzione alle politiche dell’Unione Europea. La nostra risposta dovrà essere articolata, protratta e complessiva. Non si tratta solo del destino del vertice di Via Nazionale ma del futuro del Paese.
Emerge una considerazione che è nel DNA della Fisac, della First e della Uilca ma, a volte, è dimenticata nella gestione quotidiana in Banca: il destino dei lavoratori della Banca d’Italia non è molto distante da quello di tutti gli altri. Non siamo una torre d’avorio, ma al massimo il primo vagone di un treno che va nella stessa direzione.
Occorre una risposta di ampio respiro che, anche sindacalmente, vada ben oltre le mura della Banca.
La battaglia è appena cominciata.
Roma, 11 febbraio 2019
LE SEGRETERIE NAZIONALI