Per i piu’ giovani
1) MINI-GUIDA RISCATTO LAUREA
“Cosa è il riscatto di laurea?” Il riscatto di laurea consiste nel convertire gli anni passati all’università in anni utili alla sommatoria con gli anni di lavoro che permettono di andare in pensione. Questa modalità consente quindi ai professionisti di andare in pensione prima facendo quindi sommare gli anni utilizzati per affrontare l’intero ciclo universitario.
Pertanto il riscatto degli anni di laurea può essere indispensabile per raggiungere la pensione in anticipo. “Cosa devo fare per presentare la domanda di riscatto laurea?” La risposta è molto più semplice di quanto pensi, segui passo passo gli step:
1 Per prima cosa accertati di avere tutti i requisiti necessari. Verificalo subito!
Possono presentare domanda di riscatto del corso legale di laurea:
– i cosiddetti soggetti inoccupati, vale a dire i neolaureati e coloro che non abbiano ancora iniziato una qualsiasi attività lavorativa (il contributo versato con questa modalità sarà in seguito trasferito, a domanda dell’interessato, presso la gestione previdenziale nella quale saranno iscritti gli interessati in relazione alla loro futura attività lavorativa);
– i soggetti già iscritti al Fondo pensione lavoratori dipendenti, alle gestioni speciali per i lavoratori autonomi, ai fondi sostitutivi ed esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria e alla gestione separata.
2 Vai sul sito www.inps.it, in home page trovi indicato Come fare per>Riscattare la laurea.
3 Trovi tutte le informazioni che ti servono, leggile e poi clicca direttamente su >La domanda on-line. L’accesso richiede l’identificazione tramite PIN (basta cliccare su “Richiedi Pin” nel box di destra per richiederlo) e prevede l’immediata acquisizione della domanda, una volta verificata la completezza e la congruità dei dati inseriti.
4 Se non hai Internet non preoccuparti, la domanda può essere inoltrata all’Inps anche tramite i Patronati, attraverso i servizi telematici che essi stessi offrono.
5 Per pagare hai diverse opzioni. Il pagamento può avvenire in un’unica soluzione oppure in forma rateale fino ad un massimo di 120 rate mensili. Il contributo versato ai fini del riscatto è fiscalmente deducibile dall’interessato. Nel caso in cui il richiedente non abbia un reddito personale, il contributo è detraibile nella misura del 19 per cento dall’imposta dovuta dai soggetti dai quali l’interessato risulti fiscalmente a carico.
2) MINI-GUIDA ISCRIZIONE ALLA GESTIONE SEPARATA
“Cosa è la Gestione Separata?”
La Gestione separata è una forma di previdenza istituita per i lavoratori per i quali non era prevista alcuna forma di previdenza, ad esempio ai professionisti senza Cassa di previdenza di categoria. Nasce dunque a favore dei lavoratori autonomi, dei lavoratori a progetto, dei lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, degli incaricati alla vendita a domicilio, dei lavoratori autonomi occasionali e degli associati in partecipazione.
“Come si presenta la domanda di iscrizione alla Gestione Separata?”
Lo si può fare in vari modi, in pochi passaggi:
Per prima cosa verifica di essere tra coloro che devono iscriversi alla Gestione Separata.
Sono tenuti all’iscrizione entro trenta giorni dall’inizio dell’attività coloro che percepiscono le seguenti tipologie di reddito:
1 – redditi derivanti dall’esercizio abituale e professionale di un’attività di lavoro autonomo per la quale non è prevista una forma assicurativa pensionistica (in pratica professionisti senza Albo e Cassa di previdenza o iscritti in Albi privi di propria Cassa di previdenza);
2 – redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale qualora l’importo annuo di detta attività superi il limite di 5.000 euro l’anno;
3 – redditi derivanti da attività di vendita a domicilio;
4 – redditi conseguiti da associati d’opera.
Puoi procedere velocemente sul web, cliccando su www.inps.it e seguendo il percorso Servizi Online>Servizi Telematizzati>Domanda d’iscrizione alla Gestione separata;
Se preferisci segui passo passo le istruzioni telefoniche, contattando il contact center integrato, al numero verde 803164;
Oppure rivolgiti ai Patronati e tutti gli intermediari dell’Istituto, usufruendo dei servizi telematici offerti dagli stessi.
3) MINI-GUIDA Il contributo del datore di lavoro
C’è un aspetto che spesso viene trascurato dai lavoratori quando optano per mantenere il tfr in azienda ( ndr.: TFR che, comunque, non rimane in azienda ): il contributo del datore di lavoro.
Quest’ultimo, infatti, spetta al lavoratore soltanto se la sua decisione è quella di aderire al fondo pensione negoziale: nel caso invece opti per il tfr in azienda, questo versamento extra viene a mancare.
Il contributo del datore di lavoro, frutto degli accordi sindacali di categoria, oscilla di solito ( prendendo in considerazione la molteplicità dei settori di lavoro ) tra l’1,0% e l’1,80% della retribuzione annuale: se, per esempio, un lavoratore ha un reddito lordo annuo di 30 mila euro, con un contributo del datore di lavoro all’1% si vedrà versare sulla sua posizione pensionistica integrativa 300 euro in più all’anno mentre se l’aliquota è dell’1,80% l’importo che il datore di lavoro verserà sarà pari a 540 euro.
Abbiamo provato a determinare l’impatto di questo benefit dal luglio 2007 a fine novembre 2012 per verificare quanto abbiano accumulato in più i lavoratori che hanno optato per l’adesione al fondo negoziale rispetto a quelli che hanno scelto di mantenere il tfr in azienda.
Immaginando che a luglio 2007 la retribuzione annua lorda del lavoratore fosse di 32.500 euro e che a novembre 2012 sia diventata di 38 mila euro (pari al 3% di rivalutazione media annua), è stato calcolato quanto abbia reso, da un lato, investire nel fondo pensione negoziale il tfr maturato anno per anno più il versamento del datore di lavoro e, dall’altro, mantenere il tfr in azienda: i risultati sono stati elaborati come media dei 70 comparti dei principali fondi pensione negoziali attivi senza soluzione di continuità dal luglio 2007.
Il lavoratore avrebbe versato, in media, 13.121 euro: lasciati in azienda, il tfr accumulato e rivalutato sarebbe ammontato a fine novembre 2012 a 14.108 euro.
Il lavoratore che invece avesse optato per l’adesione al proprio fondo pensione negoziale, oltre ai 13.121 euro versati come tfr, avrebbe potuto contare sui 3.228 euro versati dall’azienda: il capitale medio accumulato (tfr + contributi del datore di lavoro + rendimenti finanziari netti) sarebbe ammontato a 17.045. Questo valore equivale a quasi 3 mila euro in più rispetto a quanto accumulato dal lavoratore che ha lasciato il tfr in azienda e cioè il 20,8% in più in termini percentuali.
Da segnalare che, se la media si attesta a 17.045 euro, il livello massimo si posiziona a quota 19.390 euro (+37,4% rispetto al tfr lasciato in azienda) mentre quello minimo è a quota 15.713 euro (+11,4%). Questa ampia differenza rispetto alla media è dovuta principalmente a due fattori: l’andamento della quota del comparto e l’aliquota del contributo del datore di lavoro.
Infatti se dal luglio 2007 al novembre 2012, il valore della linea ha registrato una buona performance ma, soprattutto, è sceso molto tra il 2007 e il 2009 per poi risalire dal 2009 al 2012, il lavoratore ha sfruttato la formula dei versamenti periodici (mensili o trimestrali) al fondo pensione: comperando a bassi prezzi le quote del fondo dal 2007 al 2009 ne ha beneficiato negli anni successivi quando le quote, grazie al rialzo dei mercati , sono gradualmente aumentate di valore. Il secondo fattore decisivo, e più importante nel lungo periodo, è però quello derivante dall’aliquota a carico dell’azienda. Infatti, un conto è beneficiare dell’1% extra della propria retribuzione per 30 anni e altro è incassare il 2% o anche più per lo stesso arco di tempo.