AGCM: Relazione annuale Presentazione del Presidente Giovanni Pitruzzella

PAROLE CHIAVE AGCM.004Scarica le parole chiave della Relazione – Signor Presidente della Repubblica, la Sua presenza oggi costituisce un grande onore e attesta il rilievo che l’Autorità della concorrenza ha assunto nel panorama istituzionale ed economico del nostro Paese. Le esprimo quindi la profonda gratitudine mia, del Collegio e di tutti i funzionari dell’Autorità per la costante attenzione che ha voluto dedicare allo svolgimento delle nostre funzioni.
Onorevole Presidente del Senato della Repubblica, Onorevole Presidente della Camera dei Deputati, Illustri Membri del Governo,
Onorevoli Parlamentari, Autorità,
Signore e Signori.

1 – Questa è la mia settima e ultima relazione al Parlamento sull’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Non è mio compito esprimere un giudizio su questi sette anni. Mi sembra però utile evidenziare – con la consueta brevità – quelli che sono stati gli indirizzi di fondo seguiti, i principali problemi affrontati e le sfide ancora aperte, riannodando i fili presenti nelle relazioni degli anni precedenti.
Il periodo compreso tra il novembre del 2011 e oggi è stato caratterizzato dalla “Grande Trasformazione” che ha riguardato l’economia, la politica, le istituzioni, e ha lanciato sfide inedite alle Autorità antitrust in tutto il mondo e specialmente in Europa.

Questa Grande Trasformazione è stata alimentata da tre fattori, ciascuno dei quali portatore di un’innovazione “distruttiva”.

In primo luogo, la crisi economico-finanziaria, originata negli USA e trasferita in Europa, dove si è manifestata come crisi dei debiti sovrani, delle banche e poi dell’economia reale, cui ha fatto seguito una trasformazione, ancora parziale e insufficiente, della governance economica dell’Eurozona.

In secondo luogo, la quarta rivoluzione industriale, basata sulle tecnologie digitali, che si è sviluppata con una velocità sconosciuta alle precedenti rivoluzioni industriali (lo smartphone, per esempio, è stato introdotto soltanto nel 2007, meno di cinque anni prima dell’avvio della mia presidenza), creando nuovi mercati, nuovi modelli di business e nuovi monopolisti, con conseguenti profondi cambiamenti strutturali non solo nell’ecosistema di Internet e nei settori industriali collegati (in particolare le TLC), ma anche in settori che riguardano industrie e servizi tradizionali (dagli alberghi al trasporto urbano alla manifattura con l’applicazione dell’intelligenza artificiale).

Infine il pieno sviluppo della globalizzazione che, insieme agli eff benefi ha favorito l’aumento delle diseguaglianze in Occidente e, per converso, l’emersione di nuove spinte protezionistiche che hanno investito, specie dopo le ultime elezioni statunitensi, il commercio internazionale ma anche il mercato interno europeo e poi gli stessi ambiti nazionali.
Più in generale, processi storici di tale portata hanno rotto l’equilibrio costituzionale – costruito a partire dal secondo dopoguerra grazie all’interazione tra ordine internazionale, integrazione europea e costituzioni nazionali – tra democrazia, mercato e coesione sociale. Il modello europeo era riuscito a realizzare un equilibrio armonico tra le istituzioni e i valori propri di questi tre ambiti. Oggi questo equilibrio è venuto meno.

Negli anni recenti si è diffuso tra i cittadini europei un sentimento di angoscia che ha spinto in primo piano la domanda di sicurezza che sta alla base del contratto sociale. Pertanto, i tempi che viviamo sono caratterizzati da un “ritorno a Hobbes”, ossia dalla ricerca di quelle prestazioni di sicurezza che caratterizzavano il moderno Leviatano.
Tali processi inevitabilmente hanno investito anche le Autorità di tutela della concorrenza perché, fin dalle origini del diritto antitrust con lo Sherman Act del 1890, esse si collocano proprio al crocevia tra il mercato, la democrazia e la coesione sociale.

In presenza di cambiamenti così radicali, è stato naturale che noi, gli “enforcer”, tornassimo a interrogarci sulle questioni di base, e in primo luogo sugli obiettivi delle politiche di concorrenza e del diritto antitrust.
Alla tradizionale attenzione al benessere del consumatore e al mantenimento della struttura concorrenziale dei mercati – che hanno caratterizzato la pratica europea del diritto della concorrenza – si sono aggiunti nuovi obiettivi: lo stimolo all’innovazione, la spinta alla modernizzazione delle strutture dell’economia italiana per renderla più competitiva, i risparmi per i bilanci pubblici, il contrasto alle diseguaglianze attraverso la lotta alle rendite di posizione.

Con riguardo a quest’ultimo, ancora controverso, profi mi limito a osservare come sia ormai generalmente riconosciuto che l’aumento delle diseguaglianze in Occidente indebolisca la democrazia e, in alcuni Paesi, costituisca un ostacolo alla stessa crescita economica. Certamente le politiche di contrasto alle diseguaglianze riguardano settori e attori politico-istituzionali diversi dalle Autorità della concorrenza. Tuttavia, anche un effi enforcement antitrust ha un ruolo da giuocare. Infatti, l’attuazione del diritto della concorrenza riduce le rendite di posizione, che equivalgono a un’appropriazione di risorse da parte di chi ha un elevato potere di mercato, togliendole agli altri. Quando il market power è incontrastato, si realizza un incremento del surplus del produttore che aumenta la ricchezza degli azionisti e dei top manager, cioè di coloro che si trovano nella parte alta della distribuzione dei redditi. Per questa ragione un fi di pensiero autorevole – da Stiglitz a Piketty, da Fox a Baker e Salop – proprio negli anni della crisi ha auspicato il rinvigorimento dell’intervento antitrust come mezzo effi per contrastare le diseguaglianze.

Queste finalità hanno inciso, come vedremo, sulla scelta delle priorità e sulle policies concretamente seguite negli ultimi sette anni.

Tali scelte hanno condotto, innanzi tutto, a un irrobustimento della politica sanzionatoria. In Italia, ogni anno della mia presidenza si è caratterizzato per un incremento dell’importo delle sanzioni irrogate rispetto all’anno precedente. Nel periodo considerato abbiamo comminato sanzioni per poco meno di un miliardo e mezzo di euro e aperto più di 130 casi. Le decisioni con impegni, che escludono la sanzione e che avevano caratterizzato il precedente periodo, sono diminuite passando dal 49% del settennato precedente a circa il 26% del totale dei casi decisi. Al di là del dibattito teorico sul livello ottimale delle sanzioni, l’Autorità ha insistito sull’importanza della loro funzione deterrente, anche in periodi di crisi economica. Parimenti, si è cercato di rafforzare la prevedibilità delle stesse, adottando nell’ottobre 2014, sulla falsariga di quelle emanate dalla Commissione, delle linee guida per il calcolo delle sanzioni.

Resta un grave problema irrisolto, quello dei programmi di leniency. Si tratta di quei programmi che consentono a un’impresa parte di un cartello di denunciare l’esistenza dell’illecito antitrust, avvalendosi del beneficio dell’esenzione o della riduzione della sanzione. Questo è il principale strumento di cui si servono le Autorità antitrust in Europa e nel mondo per reprimere i cartelli, ma che in Italia, tuttavia, stenta a decollare a causa di un quadro normativo che non ne agevola la diffusione.

La concorrenza è un driver dell’innovazione e l’innovazione è il motore della crescita economica. Il principale problema italiano è l’assenza di crescita che ha caratterizzato l’ultimo ventennio della nostra storia economica.

Il reddito pro capite in Italia è fermo dall’inizio dello scorso decennio. Oggi, grazie alla ripresa della crescita economica negli ultimi due anni, è tornato al livello del 1999. La conseguenza di questa lunga stagnazione è che ci siamo impoveriti rispetto al resto d’Europa. Nel 1999 il reddito pro capite spagnolo era inferiore a quello italiano, ora la Spagna cresce al doppio della nostra economia. Anche l’Irlanda e il Portogallo sono usciti dalla grande recessione più rapidamente di noi, pur avendo dovuto sopportare programmi di austerità ben più severi di quelli che sono stati adottati in Italia.

6 – Se non si continua lungo la strada della crescita economica, incrementandola, sarà difficile ridurre il rapporto debito/Pil e sarà ancora più difficile trovare le risorse necessarie per far fronte a quelle politiche di redistribuzione che vengono giustamente invocate per rispondere al bisogno di sicurezza che proviene da chi ha subito le conseguenze della crisi economico-finanziaria, gli effetti disruptive della quarta rivoluzione industriale, l’aggravarsi delle diseguaglianze.

L’innovazione è il risultato di una combinazione di fattori diversi, tra cui rientra l’adozione di politiche pubbliche adeguate a tale scopo. Anche le Autorità della concorrenza hanno un ruolo da giuocare in questo terreno. Innanzitutto nella scelta dei settori in cui intervenire, poi nel fare in modo che il loro intervento stimoli e non ostacoli l’innovazione.

Questa sfida è particolarmente forte quando ci confrontiamo con l’innovazione legata alla rivoluzione digitale. Oggi innovazione è quasi un sinonimo di economia digitale. Certo, di fronte a ondate di innovazione disruptive, che ridefiniscono i mercati e, finora, sono state capaci di sostituire rapidamente l’incumbent quasi-monopolista con un nuovo soggetto dominante, c’è il rischio che l’enforcement antitrust abbia l’effetto indesiderato di ostacolare l’innovazione. Tuttavia, se il rischio di over-enforcement va tenuto presente, parimenti non dobbiamo cadere nel pericolo opposto, quello dell’under-enforcement. Il ruolo delle Autorità della concorrenza è cruciale nel garantire il processo dell’innovazione, contro tutti i tentativi di bloccarlo.

A questo proposito, nella recente esperienza, hanno assunto rilievo soprattutto alcuni aspetti. Il primo è che, nella nuova economia, l’accesso ai servizi digitali è una componente essenziale della competitività e quindi, per esprimere il proprio potenziale di crescita, tutti i settori hanno bisogno di un’infrastruttura di rete con una grande disponibilità di banda. La realizzazione della banda larga e ultralarga in Italia è stata rallentata dall’assenza della televisione via cavo, che in altri Paesi ha permesso di utilizzare la relativa infrastruttura per la realizzazione di connessioni a banda larga, ma anche dai comportamenti dell’incumbent, Telecom Italia, che ha il monopolio della rete in rame.

Telecom aveva l’incentivo a sfruttare la rendita di posizione derivante dalla proprietà dell’infrastruttura di rete, difficilmente replicabile, piuttosto che a investire nella rete in fibra ottica. I concorrenti venivano sistematicamente ostacolati nell’accesso all’essential facility rappresentata dalla rete e, quindi, nell’offerta alla clientela di servizi di connessione a Internet a banda larga. Per questi motivi Telecom è stata sanzionata per abuso di posizione dominante con un’ammenda di 104 milioni di euro, cui hanno fatto seguito le azioni follow on dei concorrenti dirette a ottenere il risarcimento del danno subito. A questo primo intervento ne sono seguiti altri, sempre diretti a garantire l’accesso alla rete a condizioni non discriminatorie. Il risultato è stato un cambiamento degli incentivi che riguardano l’incumbent. Quando si è posto fine alla possibilità di ottenere una rendita di posizione grazie alla proprietà della rete in rame, la concorrenza si è spostata sul piano dell’innovazione. Telecom ha, infatti, avviato un piano importante per la realizzazione di una rete in fibra ottica ed è nato un nuovo operatore non verticalmente integrato (Open Fiber) che ha iniziato a implementare un proprio piano di investimenti nelle reti in fibra ottica.

Lo sviluppo della fibra ottica costituisce una delle grandi sfide infrastrutturali che l’Italia sta affrontando in questi anni. Si tratta di un processo che l’Antitrust ha seguito con particolare attenzione, pubblicando nel 2014 i risultati dell’indagine conoscitiva svolta con il regolatore di settore e rilasciando negli anni seguenti diversi pareri in merito agli schemi dei bandi di gara per la realizzazione delle reti pubbliche nelle aree a fallimento di mercato.

La concorrenza dinamica sta dando i suoi frutti: nel 2017, circa l’87% delle abitazioni (nel 2014 era il 32%) era raggiunto da una rete fissa di nuova generazione, anche se solo il 22% aveva a disposizione reti interamente in fibra. Permane, tuttavia, una notevole distanza dall’Europa nell’effettivo utilizzo delle connessioni a banda larga e ultralarga da parte delle famiglie.

L’Antitrust continua a vigilare per assicurare che l’attuale dinamismo continui ad essere alimentato da una concorrenza che produca innovazione. è di quest’anno la decisione con la quale l’Autorità ha dato il via libera all’accordo tra Telecom Italia e Fastweb per la costruzione di una rete di telecomunicazioni fi in fi ottica (FTTH) nelle principali città italiane, mediante la società comune Flash Fiber. Gli aspetti dell’accordo tra due dei principali operatori del mercato che destavano preoccupazioni concorrenziali sono stati superati attraverso le modifi apportate dalle società coinvolte al progetto comune.
Nel mercato della telefonia mobile – in un periodo in cui gli operatori sono stati impegnati nella realizzazione delle nuove reti 4G l’Autorità ha strettamente collaborato con la Commissione europea nell’analisi della concentrazione tra Wind e H3G. L’operazione è stata autorizzata solo a fronte di rimedi che hanno consentito a un nuovo operatore, Iliad, di fare ingresso nel mercato italiano proprio in questi mesi. Sempre nel settore della telefonia mobile, l’Autorità ha recentemente adottato misure cautelari contro la decisione dei principali operatori telefonici di procedere – in occasione della rimodulazione del ciclo di fatturazione delle offerte da quattro settimane a un mese – a una variazione, coordinata e uniforme, in aumento del canone nominale. Il provvedimento ha avuto immediate ricadute anche sui consumatori in quanto, subito dopo l’adozione delle misure cautelari, gli operatori hanno annunciato riduzioni degli aumenti già comunicati.

Gli sviluppi delle reti di telecomunicazioni si intrecciano sempre più con l’innovazione nel settore televisivo, soggetto alle dinamiche innovative derivanti dallo sviluppo dei servizi audiovisivi online, con evidenti benefi per i consumatori. Si assiste, a livello globale, a vasti processi di ridefi dei modelli di business, dell’off di contenuti e delle modalità per la loro fruizione. Anche la struttura del settore è in profonda evoluzione nella direzione di una sempre maggiore convergenza: operazioni su scala europea e globale tendono ad aumentare sia il grado di concentrazione orizzontale dei mercati, sia l’integrazione verticale tra i soggetti che controllano le reti e i soggetti che producono i contenuti (si pensi, ad esempio, alla recente acquisizione da parte di AT&T di Time Warner negli Stati Uniti).

Non è un caso che, negli ultimi anni, l’Antitrust si sia trovata a valutare un elevato numero di operazioni di concentrazione proprio nel settore dei media. Ad esempio, l’Autorità ha trattato il progetto di acquisizione delle Torri di RaiWay da parte di EI Towers (ritirato dalle parti dopo la comunicazione delle risultanze istruttorie da parte dell’Autorità), l’acquisizione di Rizzoli da parte di Mondadori, l’operazione RTI/Finelco nel settore delle radio, l’acquisizione di ITEDI da parte del Gruppo Editoriale l’Espresso, la concentrazione tra Seat Pagine Gialle e Libero.

Un secondo aspetto dell’attività dell’Autorità della concorrenza riguardante l’economia digitale si collega al fatto che per svolgere un’attività economica occorre passare, sempre più di frequente, da piattaforme online, che diventano veri e propri gatekeeper in grado di controllare l’accesso al mercato.

A questo riguardo, posso citare il caso che ha riguardato Booking.com, con particolare riferimento ad una clausola – la cosiddetta Most Favoured Nation – che veniva inserita nei contratti con gli albergatori, creando un vincolo idoneo a ostacolare la concorrenza e l’innovazione proveniente da altre piattaforme online, oltre che da altri canali attivabili dagli stessi alberghi. Il caso si è chiuso rapidamente e simultaneamente in Italia, Svezia e Francia, accogliendo gli impegni proposti da Booking.com, che hanno comportato la modifi della clausola contrattuale. Dopo tale modifi il mercato ha registrato dinamismo e innovazione. A fi di Booking.com e di Expedia sono entrati nuovi e qualifi concorrenti e si sono sviluppate le off provenienti dai canali attivati dagli stessi alberghi.

Di tipo opposto sono quegli altri casi in cui l’innovazione che si sviluppa sul web viene ostacolata da comportamenti o da regole dirette a proteggere gli operatori dei mercati più tradizionali. In molti Paesi europei, e sicuramente in Italia, una grande resistenza è frapposta alle piattaforme della sharing economy.

Certamente non dobbiamo sottovalutare il loro impatto disruptive sui servizi tradizionali e quindi su tutti coloro che con essi si guadagnano da vivere. Così come è doveroso approntare forme di tutela dei lavoratori impiegati in questi nuovi mercati, parimenti non possiamo ignorare i vantaggi offerti da tali piattaforme: allargano le possibilità di scelta del consumatore, offrono servizi innovativi, permettono l’impiego di risorse che altrimenti sarebbero sottoutilizzate, abbattono i prezzi, consentono l’accesso ai nuovi servizi a fasce di consumatori che non si rivolgono ai servizi tradizionali.

Con riguardo alla sharing economy, l’Autorità italiana è intervenuta sia impiegando i suoi poteri di advocacy, per promuovere una regolazione che non blocchi lo sviluppo di piattaforme come Uber, sia utilizzando l’ampia strumentazione giuridica di cui dispone per ottenere la rimozione di regolazioni anticoncorrenziali. Per esempio, l’Autorità ha impugnato davanti al Giudice amministrativo il regolamento della Regione Lazio che ostacolava l’attività di piattaforme come Airbnb. Il Giudice ha accolto le ragioni proposte dall’Autorità, annullando le previsioni restrittive del regolamento.

Non sono, peraltro, mancati gli interventi di enforcement antitrust per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di nuove tecnologie per l’accesso e la fruizione di servizi tradizionali. è il caso della recentissima decisione con la quale è stata accertata la natura anticoncorrenziale delle clausole di non concorrenza contenute negli statuti e nei regolamenti dei principali operatori di RadioTaxi attivi a Roma e Milano che vincolavano i tassisti a destinare tutta la propria capacità operativa a un singolo radiotaxi. L’Autorità ha verificato l’idoneità di tali clausole a determinare un consistente e duraturo effetto di chiusura del mercato della raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi, ostacolando in tal modo l’accesso a nuovi operatori che adottano un diverso e innovativo modello di business, come la piattaforma Mytaxi, con rilevanti benefici sia per i consumatori sia per i tassisti.

Vi è infine il tema dell’immenso potere di mercato dei giganti del web – come Google, Amazon, Facebook e Apple – e della spinta alla creazione di nuovi monopoli, che sono alimentati dal combinarsi di effetti di rete, economie di scala, pratiche di lock-in, economia dei Big Data. Qui entrano in giuoco soprattutto i poteri della Commissione europea, a causa della dimensione dei fenomeni presi in considerazione (si pensi, per esempio, alla sanzione recentemente inflitta a Google).

C’è, comunque, uno spazio anche per le Autorità nazionali nell’ambito del network europeo della concorrenza. è sufficiente citare il caso pendente davanti al Bundeskartellamt sull’uso dei dati personale degli utenti a seguito della concentrazione che ha riguardato Facebook e WhatsApp.

Esiste la grande questione dei Big Data come fonte di potere di mercato delle imprese hi-tech, che possono utilizzare questa nuova risorsa per chiudere i mercati e bloccare l’innovazione che proviene da nuovi attori.

Numerosi sono i casi aperti dall’Autorità italiana, impiegando i suoi poteri di tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette, che hanno riguardato quasi tutti i giganti della rete e che, incidendo sul modo in cui devono proporre la loro offerta commerciale, hanno ricadute indirette sulle dinamiche concorrenziali.

Nel caso WhatsApp, l’Autorità è intervenuta tanto per la presenza di clausole vessatorie nei contratti con l’utenza, delle quali ha ottenuto l’eliminazione, quanto per sanzionare una pratica commerciale aggressiva. L’Autorità ha contestato a WhatsApp di condizionare la scelta dell’utente, facendogli credere di dovere accettare le nuove condizioni (e cioè, la cessione dei propri dati) al fine di continuare a godere del servizio aggiornando le modalità di fruizione. è stato affermato il principio secondo cui un servizio, pur apparentemente gratuito, che però comporta la cessione di dati personali poi utilizzati a fini commerciali, implica l’esistenza di una controprestazione – la cessione dei dati – e pertanto costituisce un vero e proprio rapporto contrattuale soggetto alla disciplina di tutela del consumatore nei confronti delle pratiche commerciali scorrette.

Più di recente, l’Autorità ha aperto un procedimento, non ancora concluso, nei confronti di Facebook, avente a oggetto due possibili pratiche commerciali scorrette: una per la carenza informativa, al momento della registrazione, circa l’uso dei dati personali degli utenti; l’altra per la modalità aggressiva con la quale l’operatore imposta la piattaforma, prevedendo in automatico la cessione e la condivisione dei dati con soggetti terzi, concedendo solo successivamente all’utente la possibilità di negare l’autorizzazione.

Passando dall’economia dei Big Data all’e-commerce bisogna sottolineare come l’Autorità abbia cercato di promuovere questa nuova modalità di consumo che mostra una crescita sensibile e che ha raggiunto nel 2017 un valore complessivo di circa 24 miliardi di euro, con un incremento del 17% rispetto al 2016.
Anche in ragione di ciò, negli ultimi anni l’Autorità ha intensificato la propria azione a tutela del consumatore nelle transazioni online, così da favorire lo sviluppo dell’e-commerce che nel nostro Paese non raggiunge ancora livelli di diffusione comparabili a quelli dei principali Paesi europei.

Tra gli interventi più significativi, ricordo quello nei confronti del gruppo Amazon per aver omesso o fornito in modo non adeguato ai consumatori informazioni rilevanti nel corso del processo di acquisto, in particolare, quelle precontrattuali obbligatorie relative al diritto di recesso e alla garanzia legale di conformità, nonché sulle condizioni dell’assistenza post vendita e sul perfezionamento del contratto di acquisto.
L’Autorità ha altresì rivolto la propria attenzione ai c.d. siti comparatori, strumenti molto utili ai consumatori per confrontare rapidamente online le offerte commerciali provenienti da differenti operatori; tuttavia, tali siti devono fornire informazioni chiare, veritiere e corrette agli utenti tanto in relazione ai prodotti offerti e ai soggetti che li pongono in vendita, quanto alla loro convenienza economica.

Inoltre, vi è stato un significativo impegno nell’attività di repressione del fenomeno del drip pricing, ossia l’esplicitazione tardiva nel processo di acquisto online di sovraprezzi di varia natura, e nel contrasto degli operatori che, a fronte di acquisti regolarmente effettuati dai consumatori, non provvedono a consegnare la merce acquistata online.

Infine, vorrei ricordare il ruolo svolto dall’Autorità nella lotta alla contraffazione che ha condotto alla chiusura di numerosi siti attraverso i quali venivano venduti prodotti non originali anche di noti brand italiani.
La tutela della concorrenza e del consumatore nell’economia digitale continueranno a lanciare nuove sfi all’Antitrust, che dovrà sempre di più attrezzarsi per comprendere i nuovi mercati. Cito tra i tanti problemi che sicuramente si porranno alla sua attenzione, quello del ruolo che possono svolgere gli algoritmi nel realizzare il coordinamento delle attività economiche, particolarmente dei prezzi, di imprese concorrenti. Una collusione realizzata non più attraverso l’intesa tra le persone fi ma direttamente dalle macchine e dagli algoritmi, potrà essere sanzionata dall’Antitrust e in presenza di quali condizioni? L’Autorità è pronta a raccogliere queste sfi e, al riguardo, vorrei ricordare che recentemente abbiamo svolto un concorso per selezionare esperti di algoritmi e esperti informatici.

Se i casi di abuso di posizione dominante erano stati, in precedenza, i più numerosi – anche perché si trattava di evitare che gli ex monopolisti ostacolassero il processo di apertura dei mercati -, negli anni più recenti l’Autorità si è concentrata nel difficile compito di contrastare i cartelli, che bloccano l’innovazione e, in certi settori, si traducono anche in spese maggiori per i bilanci pubblici e quindi in un maggior peso per i contribuenti, o hanno conseguenze particolarmente gravi sul piano dell’equità sociale.
Ricordo che, al 31 maggio 2018, risultano decisi 61 casi di intesa a fronte di 40 casi relativi all’abuso di posizione dominante.

Una particolare attenzione è stata prestata ai fenomeni di bid rigging nei contratti pubblici, con numerosi casi che hanno riguardato la centrale unica per gli acquisti della pubblica amministrazione (CONSIP). Tra le varie decisioni, cito quella del 2015 riguardante la gara, per un ammontare di circa un miliardo e seicento milioni di euro, avente ad oggetto i servizi di pulizia nelle scuole, in relazione alla quale alcune imprese avevano raggiunto un accordo per ripartirsi i diversi lotti.

Per quanto riguarda, invece, il settore privato, una particolare rilevanza ha assunto la decisione che ha sanzionato con 180 milioni di euro l’intesa tra due imprese farmaceutiche (Roche e Novartis), avente per oggetto la promozione, nel settore della cura di una grave patologia oftalmica (la maculopatia degenerativa), del farmaco molto più caro (Lucentis) a scapito di quello assai più economico (Avastin). In particolare, l’intesa riguardava la diffusione di informazioni volutamente esagerate circa la minore sicurezza dell’uso del farmaco più economico per spingere i pazienti e i medici a utilizzare il farmaco più caro.
L’intesa si traduceva in rilevanti guadagni economici per le due imprese, a causa dei complessi rapporti di licenza e di partecipazioni azionarie esistenti tra le stesse, con crescita dei costi per i pazienti e per il sistema sanitario. Infatti, le differenze di costo tra i due farmaci erano esorbitanti: a fronte del costo di una dose di Avastin, che poteva variare da 15 a 80 euro, l’equivalente dosaggio di Lucentis si attestava su un prezzo superiore a 900 euro.

La decisione è stata confermata dal Giudice amministrativo di primo grado; successivamente, a seguito dell’appello davanti al Consiglio di Stato, è stata proposta una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia. Quest’ultima, con una decisione del 2018, ha confermato l’interpretazione dell’art. 101 TFUE proposta dall’Autorità. La sentenza è molto interessante non solo per i profili che investono i rapporti tra concorrenza, da una parte, e regolazione e diritti di proprietà intellettuale, dall’altra, ma anche perché, avallando le scelte dell’Antitrust italiana, sembra delineare un nuovo profilo di illiceità hard core. Ossia quello relativo alla diffusione di un’informazione allarmante e ingannevole al punto di alterare la percezione dei rischi e di manipolare il processo concorrenziale, orientando le prescrizioni mediche verso il prodotto più oneroso. Si tratta di un indirizzo che potrà trovare applicazione anche in altri ambiti, ponendo in primo piano il problema della legittimità delle condotte informative delle imprese e che si intreccia con la concomitante disciplina di tutela del consumatore nei confronti della pubblicità ingannevole.

Nel settore farmaceutico, peraltro, l’Autorità è intervenuta più volte anche per sanzionare abusi di posizione dominante, aventi un carattere particolarmente odioso perché colpivano consumatori assai vulnerabili. In questa prospettiva, vorrei brevemente citare il caso di un’impresa dominante (Pfizer) che ha abusato della tutela brevettuale concernente un certo farmaco per realizzare un’estensione indebita del regime di esclusiva, ritardando l’entrata nel mercato di farmaci generici, che hanno costi sensibilmente inferiori agli originators. In un altro caso del 2016 è stata sanzionata una multinazionale sudafricana (Aspen) utilizzando la fattispecie, raramente applicata, di abuso per prezzi eccessivi, che è stata utilizzata a fronte di un incremento del prezzo di alcuni farmaci antitumorali superiore al 1500% e privo di ogni giustificazione in relazione alla struttura dei costi. è molto interessante osservare come questa tipologia di abuso abbia ripreso a essere impiegata in Europa: subito dopo la decisione italiana, infatti, anche la Commissione ha aperto una procedura nei confronti di Aspen.

A seguito dell’intervento dell’Autorità, i prezzi di tali farmaci, al termine del processo di negoziazione con AIFA, sono stati ridotti fino all’80%.

Molti dei casi che ho citato riguardano settori regolati e riaffermano il principio, ben presente nella giurisprudenza europea e nazionale, secondo cui la regolazione non esclude l’enforcement antitrust. Bisogna, tuttavia, riconoscere che, in tali ambiti, c’è sempre il rischio di sovrapposizioni e di conflitti tra Autorità di concorrenza e Autorità di regolazione. Questi rischi sono destinati ad aumentare nell’economia dei Big Data, perché i profili concorrenziali e quelli di tutela del consumatore sono sempre più intrecciati con quelli di tutela dei dati personali, affidati alle Autorità di tutela della privacy, e quelli riguardanti la regolazione. Abbiamo affrontato questi problemi, promuovendo la conclusione di appositi protocolli di intesa tra l’Autorità della concorrenza e le altre Autorità indipendenti, in modo da favorire lo scambio di informazioni e la consultazione reciproca, prevenendo così i conflitti di competenza. Finora questa soluzione ha funzionato assai bene.

Lo spirito di collaborazione si è esteso anche allo svolgimento di indagini conoscitive condotte in comune tra più Autorità. Al riguardo, ricordo l’Indagine sulla banda ultralarga condotta dall’Autorità della concorrenza e dall’Autorità di regolazione delle telecomunicazioni (5 novembre 2014), o la più recente indagine (non ancora conclusa) sui Big Data in Italia, condotta insieme dalle due Autorità citate e da quella di tutela della privacy.

L’attenzione che, negli anni più recenti, l’Autorità ha mostrato nei confronti della collusione in occasione delle procedure di gara necessariamente ha portato a interagire con le Procure della Repubblica chiamate ad affrontare i risvolti penali di tali fenomeni. Da qui la conclusione di protocolli di intesa tra l’Autorità e le Procure di Roma e di Milano che hanno condotto a collaborazioni tanto riservate quanto efficaci.

Nel periodo considerato, l’Antitrust ha esaminato 894 operazioni di concentrazione e ha svolto 25 istruttorie approfondite, oltre a 7 istruttorie per valutare istanze di modifiche a misure imposte in precedenti operazioni. Tra i settori maggiormente interessati vanno menzionati quello dei media, della distribuzione commerciale, dell’energia, nonché il settore bancario e assicurativo. Il divieto delle operazioni che presentano criticità concorrenziali si è confermato una soluzione del tutto eccezionale, atteso che l’Autorità generalmente è riuscita a risolvere i problemi concorrenziali imponendo alle parti adeguate misure correttive.

Dal 2013, solo le fusioni e acquisizioni che coinvolgono imprese che superano cumulativamente due soglie di fatturato sono notificate all’Autorità. Ciò ha portato a una riduzione estremamente significativa del numero di concentrazioni esaminate, un problema che non è stato del tutto risolto nemmeno con la riduzione della seconda soglia (da 50 a 30 milioni di euro) stabilita dalla legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2017. Anche a seguito di tale modifica, infatti, le maglie definite dalla legge per la notifica delle operazioni di concentrazione appaiono troppo larghe. Torno a ribadire, pertanto, la necessità di individuare soluzioni che consentano una più ampia verifica da parte dell’Autorità delle operazioni di concentrazione. Va tenuto, peraltro, presente che a livello internazionale ci si interroga anche sull’opportunità di esercitare un effettivo controllo delle transazioni di valore ingente, sebbene realizzate tra imprese che non generano al momento dell’operazione fatturati elevati. Trovo tale soluzione del tutto auspicabile anche al fine di assicurare l’efficacia del controllo antitrust nel settore digitale, nel quale le acquisizioni di startup e imprese innovative da parte dei grandi operatori del web potrebbero altrimenti non essere soggette a uno scrutinio effettivo.

Anche nell’esperienza italiana, in particolare nella più recente, si sono scontrate due anime del diritto della concorrenza: quella che pone in primo piano l’esigenza di certezza del diritto e di prevedibilità delle decisioni, che alimenta un approccio più formalistico ai casi, e quella che invece si preoccupa dei falsi positivi e teme che, in mercati dinamici e in crescente trasformazione, in nome di un’idea astratta di concorrenza, si pregiudichi l’efficienza economica. è peraltro vero che, da quando la Commissione ha introdotto un more economic approach, è passato molto tempo senza che si sia definito in modo univoco il corretto bilanciamento tra queste due esigenze.

In Italia, abbiamo cercato di valorizzare maggiormente rispetto a quanto fatto in passato un effect based approach e si inserisce in questo sforzo l’istituzione dell’ufficio del Chief Economist. Penso che ancora ci sia molto da fare per portare l’Autorità della concorrenza ad accogliere con convinzione questo approccio, coniugandolo con l’esigenza di certezza del diritto che resta un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico. Certamente, in tale ambito, sono fondamentali gli insegnamenti che provengono dalla Corte di Giustizia e, a tale riguardo, la recente sentenza sul caso Intel offre importanti spunti di riflessione.

L’advocacy è una parte importante dell’attività di un’Autorità della concorrenza. E lo è a maggior ragione in un Paese, come l’Italia, in cui ancora convivono, da una parte, una struttura economica competitiva con imprese leader a livello mondiale e, dall’altra parte, una struttura economica ancora arretrata, che ha livelli di produttività assai bassi. Tra le cause di questo dualismo economico c’è anche una regolazione pubblica che protegge dalla concorrenza certi settori, creando rendite di posizione, favorisce legami perversi tra pubblico e privato, dando vita a una specie di

capitalismo di relazione, e appesantisce con oneri burocratici sproporzionati l’attività delle imprese.
Insomma, da una parte i soggetti perfettamente integrati nella catena globale del valore e nei mercati internazionali, dall’altra le imprese protette, poco produttive e alla ricerca delle rendite di posizione.

L’Autorità ha svolto un’intensa attività di advocacy per aprire alla concorrenza i settori protetti e modernizzare le strutture dell’economia italiana. Nel corso del mio mandato sono stati adottati 414 interventi di advocacy. Due terzi di questi interventi sono stati indirizzati al Parlamento o a un’amministrazione centrale, mentre il restante terzo è stato indirizzato alle Regioni e alle amministrazioni locali. In 135 casi l’Autorità ha impiegato uno strumento che costituisce un unicum in Europa, e cioè la possibilità di rivolgere a un’amministrazione un parere diretto a ottenere la rimozione di un atto o di una regolazione anticoncorrenziale e, in caso di mancato adeguamento al parere, di impugnare l’atto davanti al Giudice amministrativo. Ancora, in 76 casi abbiamo inviato un parere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri affinché impugnasse davanti alla Corte costituzionale leggi regionali lesive della concorrenza. L’Autorità effettua un costante monitoraggio dell’esito dei suoi interventi di advocacy, il cui tasso di successo complessivo si attesta intorno al 50%.

Tra le attività di promozione della concorrenza, possono farsi rientrare anche le indagini settoriali, che l’Autorità conduce per comprendere le dinamiche di funzionamento di certi mercati, al fine di promuovere successive modifiche legislative o interventi di enforcement antitrust. Nel periodo considerato sono state svolte indagini conoscitive, che hanno riguardato settori rilevanti dell’economia italiana, che vanno, tra l’altro, oltre ai casi già citati, dalla gestione dei rifiuti ai vaccini, al trasporto pubblico locale.

Tutela della concorrenza e tutela del consumatore sono strettamente interdipendenti e credo che in Europa il modello italiano, che affi alla medesima istituzione i due compiti, sia un successo. Questo modello si è consolidato per eff del decreto legislativo n. 21 del 2014 che, superando i precedenti dubbi, ha affi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato una competenza generale in materia di repressione delle pratiche commerciali scorrette e della pubblicità ingannevole che si estende anche ai settori regolamentati.

La tutela della concorrenza interviene sul lato dell’offerta garantendo una struttura aperta del mercato. La tutela nei confronti delle pratiche commerciali scorrette interviene sul lato della domanda, contribuendo a incrementare la fiducia dei consumatori, incentivando una competizione delle imprese basata sui meriti effettivi e non sull’inganno, stimolando, anche per questa via, l’innovazione. Aggiungo che il cumulo dei due compiti permette all’Autorità di accrescere le sue conoscenze sulle dinamiche dei mercati e le loro trasformazioni.
Nel periodo considerato sono stati conclusi 646 procedimenti per pratiche commerciali scorrette e 39 per clausole vessatorie. Sono state irrogate sanzioni pari a oltre 230 milioni di euro e sono stati chiusi con una moral suasion oltre 300 procedimenti.

Nell’economia digitale, come ho già detto, l’impiego degli strumenti di tutela del consumatore è stato particolarmente esteso negli ultimi anni. Le relative decisioni sono state adottate in tempi assai più rapidi di quelli richiesti dalle procedure antitrust e comportano modifiche dei comportamenti adottati dalle imprese che indirettamente possono rafforzare la concorrenza nei mercati.

Tuttavia, non sono mancati gli interventi nei settori più tradizionali. L’Autorità, da un lato, si è occupata di questioni che, nonostante precedenti decisioni, sono state oggetto di nuove segnalazioni da parte dei consumatori, quali quelle relative alle attivazioni non richieste e al trattamento delle istanze di fatturazione dei consumi, al fine di verificare, a valle dei provvedimenti assunti, il rispetto delle inibitorie e delle misure prescritte; dall’altro lato, ha affrontato nuovi temi di indagine, quali la vendita di diamanti “per investimento” e la prospettazione degli stessi quale investimento profittevole, sicuro e immediato, laddove il guadagno era del tutto aleatorio o comunque caratterizzato da una profittabilità di lunghissimo periodo.

Nel settore bancario, l’Autorità ha fornito un contributo rilevante anche al complesso e annoso problema del c.d. “anatocismo bancario”, accertando pratiche commerciali aggressive, da parte di alcuni primari intermediari bancari, finalizzate a ottenere surrettiziamente l’autorizzazione all’addebito degli interessi anatocistici.

L’Autorità è altresì intervenuta in diverse occasioni contro le c.d. “pratiche leganti”, accertando la scorrettezza dei comportamenti tenuti da diversi operatori, consistenti nel condizionare di fatto l’erogazione di mutui e finanziamenti a favore dei consumatori all’acquisto di azioni e obbligazioni della banca o all’apertura di un conto corrente presso la stessa.

Il rating di legalità è stato introdotto nel 2012 al fine di promuovere la diffusione di principi etici in ambito aziendale: a questo fine è stato previsto che del possesso dello stesso si tenga conto in sede di concessione di finanziamenti pubblici e di accesso al credito bancario, secondo le modalità previste da un decreto interministeriale.
Lo strumento riecheggia la teoria funzionalistica elaborata da Norberto Bobbio secondo cui il diritto non può essere pensato in termini di mero ordinamento coercitivo volto a scoraggiare gli atti illeciti, ma deve avere anche una “funzione promozionale” di atti socialmente desiderabili attraverso la previsione di incentivi. E il “messaggio” del rating è proprio questo: rispettare la legge non soltanto è doveroso, ma è anche conveniente.

Stando al numero di domande prevenute nel corso del tempo, il “messaggio” è passato: ad oggi sono state scrutinate più di 6.500 domande di attribuzione del rating.

Appare, ormai, innegabile l’influenza della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sui procedimenti sanzionatori delle Autorità amministrative indipendenti dopo le pronunce Menarini (27 settembre 2011) e Grande Stevens (4 marzo 2014) che hanno affermato la natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate dall’Antitrust e dalla Consob, ai fini dell’applicazione dell’art. 6 della Convenzione.

Anche alla luce della seconda delle decisioni ricordate, in Autorità abbiamo realizzato una rigorosa separazione tra le funzioni degli uffici istruttori e i poteri decisori del Collegio: il che
– unitamente alle particolari garanzie procedimentali che assistono il procedimento davanti all’Autorità, idonee ad assicurare la parità di armi tra “accusa” e “difesa” – orienta senz’altro nel senso della conformità dell’attuale modello a quanto affermato dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens.

Tali sviluppi hanno contribuito a risolvere in senso positivo la questione della legittimazione del Collegio dell’Autorità a sollevare questione di legittimità costituzionale davanti al Giudice delle leggi (ordinanza n° 1 del 2018). Sono state rinvenute, infatti, tutte le caratteristiche individuate dalla giurisprudenza costituzionale al fine della sussistenza della legittimazione a sottoporre, in via incidentale, al vaglio della Corte il dubbio in merito alla conformità a Costituzione di una norma di diritto interno. Indipendenza, imparzialità, applicazione oggettiva delle norme, garanzie del diritto di difesa, natura di autorità di aggiudicazione dell’Antitrust hanno convinto il Collegio della possibilità di esplorare tale strada, riducendo, peraltro, in tal modo, la possibilità di zone dell’ordinamento “franche” dal controllo di costituzionalità.

La giurisprudenza della Corte EDU ha confermato la bontà del sistema italiano di controllo della sussistenza o meno dell’illecito antitrust anche sotto un ulteriore profilo: la citata sentenza Menarini ha, infatti, riconosciuto la pienezza del controllo che il giudice amministrativo svolge sui provvedimenti dell’Autorità. La necessità di una verifi puntuale, anche sotto il profi del pieno accesso al fatto, con il solo limite del divieto di sostituzione della valutazione del giudice a quella dell’Autorità, è stata da me sempre sostenuta nella convinzione che l’esercizio di uno scrupoloso esame in sede giurisdizionale non possa che accrescere la legittimazione delle decisioni assunte.
Anche alla luce di tutto ciò, non possiamo che essere particolarmente soddisfatti degli esiti del contenzioso nel periodo 2012-2018, nel quale il 78% delle pronunce del Tar del Lazio (relative a decisioni adottate sia in materia di concorrenza che di tutela del consumatore) sono state favorevoli all’Autorità, con conferma dei provvedimenti adottati. Di questo 78%, peraltro, solo nel 15% delle sentenze il Tar del Lazio ha rivisto il trattamento sanzionatorio imposto dall’Autorità.
Con riguardo alle controversie che hanno raggiunto il grado di appello, oltre il 70% delle pronunce del Consiglio di Stato sono favorevoli all’Autorità e di queste solo nel 10% dei casi il Giudice di secondo grado ha modificato la sanzione originariamente definita dall’Autorità o successivamente rideterminata dal Tar del Lazio.

Sul piano organizzativo, va sottolineato il fatto di essere riusciti a reintrodurre, con la stipula di un accordo sindacale, un meccanismo di valutazione dei dipendenti dell’Autorità fondato sul merito, unica bussola che può orientare le scelte in materia di personale.

La parità di genere rappresenta un elemento determinante per un’equilibrata gestione dell’Istituzione; in Autorità, nel corso di questi sette anni sono aumentati gli incarichi direttivi affidati a donne: ad oggi sono superiori al 50%.

Abbiamo anche perseguito un’attenta politica di spesa, tramite una rigorosa applicazione di tutte le norme di spending review, un’oculata gestione degli acquisti, sempre compiuti con il massimo della trasparenza e anche una serie di tagli ad alcune voci di spesa: ad esempio, il costo delle auto di servizio è stato abbattuto dell’86%, il trattamento di missione (applicato anche ai vertici) è stato significativamente ridotto (per circa il 35%), le spese per il lavoro straordinario sono diminuite del 23%.
I risparmi di spesa ottenuti hanno consentito di ridurre costantemente l’aliquota del contributo per il finanziamento dell’Autorità.

Le Autorità della concorrenza nazionali sono un Giano bifronte: da un lato sono Istituzioni nazionali, dall’altro sono Istituzioni europee. Esse, infatti, applicano direttamente il diritto europeo della concorrenza, trattano casi di rilevanza europea, collaborano con la Commissione e tra di loro nell’European Competition Network per scegliere come allocare i casi, per concorrere alla decisione dei casi, per scambiarsi informazioni, per lo svolgimento di attività istruttorie. Il Regolamento n. 1 del 2003 ha realizzato un equilibrio tra le ragioni della centralizzazione e quelle del decentramento, favorendo un’integrazione giuridica ed economica efficiente e dotata di una robusta legittimazione. L’esperienza dell’ECN è quella di una storia di successo, che dovrebbe essere replicata in altri settori. Le Autorità della concorrenza partecipano altresì alla formazione del diritto europeo nei settori di propria competenza. In particolare, l’Autorità ha attivamente partecipato alla formazione e al recepimento nel diritto domestico della direttiva Consumer Rights (direttiva 2011/83/ UE e decreto legislativo n. 21 del 2014), della direttiva sul private enforcement (direttiva 2014/104/UE e decreto legislativo n. 3 del 2017), e più di recente all’elaborazione della direttiva ECN Plus, che rafforza indipendenza e poteri delle Autorità di concorrenza insieme al ruolo del network europeo, la quale dovrebbe completare l’iter legislativo entro l’anno in corso.
In questi anni la presenza dell’Italia nel network europeo è stata costante e costruttiva e i rapporti con la Commissione sono

stati pressoché quotidiani a livello di struttura e molto frequenti a livello di vertice. Il rafforzamento del ruolo dell’Autorità in Europa è stato uno degli aspetti in cui abbiamo investito molto in termini di risorse e di tempo, conquistando un ruolo di riconosciuta rilevanza e autorevolezza.
L’integrazione dei mercati a livello europeo e spesso anche a livello globale fa sì che i fenomeni affrontati dalle Autorità della concorrenza siano spesso di carattere transnazionale, richiedendo una cooperazione che inevitabilmente si svolge sia tra Autorità del network europeo, sia in una dimensione globale. In questo quadro l’International Competition Network si rivela sempre più importante, perché favorisce la cooperazione tra Autorità, rende possibile una maggiore convergenza nell’approccio ai problemi, facilita lo scambio di modelli e di best practices, rafforza la legittimazione delle singole Autorità della concorrenza nazionali.

Quest’ultimo profilo costituisce una sfida per tutte le Autorità della concorrenza in un momento storico in cui sono forti le spinte contrarie all’apertura dei mercati e a favore del protezionismo economico. Alle Autorità della concorrenza spetta il compito di tutelare l’apertura dei mercati e l’integrazione economica non già in base ad astratte ideologie pro mercato, ma dimostrando nei fatti come il loro intervento serva a fare sì che siano valorizzate le virtù dei mercati e repressi i loro vizi, per realizzare quella che Jean Tirole, in un libro recente, ha definito l’Économie du Bien Commun.

Le sfide che abbiamo dovuto affrontare nel corso di questi anni sono state di grande complessità: abbiamo tentato di fronteggiarle al massimo delle nostre possibilità, con la speranza di essere riusciti a contribuire a uno sviluppo inclusivo del Paese e a costruire spazi sempre più ampi di libertà, mai scissi da una altrettanto vigorosa tutela dell’eguaglianza.
Tutto ciò che è stato fatto dipende, in primo luogo, dall’altissima qualità professionale delle donne e degli uomini dell’Antitrust, con i quali sono stato orgoglioso di lavorare in questi anni e ai quali va il mio più sentito ringraziamento per l’impegno che hanno profuso nello svolgimento dei loro difficili compiti.
Voglio, altresì, esprimere la mia gratitudine al Collegio dei Revisori e alle organizzazioni sindacali.
Roberto Chieppa è stato Segretario Generale dell’Autorità e la

sua nomina quale Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri ci inorgoglisce. Si tratta di un ruolo che certamente svolgerà in modo eccellente, contribuendo al miglior funzionamento delle nostre Istituzioni. Il contributo che ha dato all’enforcement antitrust e all’efficienza della nostra struttura amministrativa è stato fondamentale e difficilmente le parole potranno esprimere l’intensità della mia gratitudine. Filippo Arena, il Capo di Gabinetto, da grande esperto della materia e uomo di rara intelligenza fa sì che l’attività istituzionale continui a essere condotta al meglio. Vincenzo Valentini, Capo del mio Staff, svolge con equilibrio un’opera davvero preziosa, sopportando quotidianamente i miei ritmi di lavoro. Mi sono stati accanto, tutti, sia pur con diversi ruoli, nel corso del tempo: voglio loro rivolgere un ringraziamento non formale per tutto quanto hanno fatto per l’Istituzione. Un grazie speciale ai miei assistenti e alla mia segreteria per la competenza e la dedizione al lavoro dimostrate in questi anni.

Rivolgo un vivo ringraziamento a tutte le altre Istituzioni con cui abbiamo proficuamente dialogato nel corso di questi anni: le varie articolazioni della Guardia di Finanza che ci supportano quotidianamente con grande professionalità, dedizione e senso di responsabilità; il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato, le cui decisioni sono state fondamentali per orientare la nostra attività; l’Avvocatura dello Stato, che non ha mai fatto mancare la propria assistenza legale sempre prestata a livelli di eccellenza; le Procure della Repubblica di Roma e Milano; la Corte dei conti, le altre Autorità indipendenti, la DGComp della Commissione europea, le Autorità antitrust dell’ECN e dell’ICN.

Gli avvocati della comunità antitrust e le Associazioni di tutela dei consumatori hanno rappresentato uno stimolo costante a migliorarci: la loro attività è essenziale per il buon funzionamento dell’Autorità.
In questi sette anni ho avuto la fortuna di poter lavorare con componenti del Collegio, la cui imparzialità, indipendenza e preparazione sono stati centrali ai fini delle decisioni da condividere.
Un grazie davvero sentito, dunque, a Gabriella Muscolo e Michele Ainis con i quali ho trascorso gli ultimi anni sempre in un clima stimolante, foriero di indicazioni indispensabili per affrontare le complesse questioni da decidere.

Il mio ringraziamento va altresì a Carla Rabitti Bedogni, Piero Barucci, Salvatore Rebecchini e Antonio Pilati, con i quali ho avuto
modo di collaborare nei primi anni della mia presidenza e di cui mantengo un ricordo sempre vivo. Non posso che finire ringraziando i Presidenti che mi hanno preceduto – Antonio Catricalà, Giuseppe Tesauro, Giuliano Amato, Francesco Saja – che mi hanno consegnato un’Istituzione che costituisce un’eccellenza di professionalità di cui il Paese può essere fiero. A mia volta, ho l’orgoglio di consegnare al mio successore un’Istituzione che sono sicuro continuerà ad accrescere il suo prestigio in Italia e in Europa.

Ringrazio ancora una volta il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha voluto onorarci della Sua presenza oggi.
Grazie a tutti Voi per avermi ascoltato.

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