Con la partecipazione di circa 60 sindacalisti, provenienti da 39 paesi, coordinati dalla segretaria generale dell’ITUC-CSI, Sharan Burrow, e dal segretario generale del TUAC, Jonh Evans, si sono svolti a Washington, tra il 12 e il 15 febbraio scorsi, gli incontri di alto livello tra il sindacato internazionale e la Banca Mondiale e il Fondo Monetario. Concordati con un protocollo comune del 2002 – che quest’anno è stato aggiornato e nuovamente sottoscritto – gli incontri di alto livello hanno cadenza biennale, mentre forme di consultazione e di confronto con lo staff delle due istituzioni finanziarie internazionali avvengono su base annuale o su programmi specifici. Gli incontri si sono articolati in numerose sessioni di lavoro, che hanno affrontato i vari capitoli delle politiche del FMI e della BM, con particolare attenzione alle loro ricadute sui temi dell’occupazione, del mercato del lavoro e dello stato sociale e si sono aperti con i – pur brevi – confronti con il nuovo Presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim (eletto nell’estate scorsa, a dispetto del nome è statunitense e indicato dall’amministrazione Usa, confermando così il duopolio Usa – Europa su BM e FMI, quando le economie emergenti rivendicano una configurazione più rispettosa dei nuovi equilibri mondiali) e il Direttore del Fondo Monetario, Christine Lagarde. E’ difficile sintetizzare i contenuti principali di quasi quattro fitte giornate di lavoro.
Tuttavia, si possono indicare alcuni elementi che le due istituzioni finanziarie internazionali, non senza articolazioni interne, hanno chiaramente sottolineato.
1) Dal punto di vista dell’economia globale, permane la forte crisi con epicentro in Europa, e nell’Eurozona in particolare. Quest’ultima rimarrà in sostanziale recessione anche nel 2013, contribuendo significativamente alla riduzione dei tassi di crescita globali e delle economie emergenti. Il FMI, in particolare, insiste sulla necessità che i paesi dell’eurozona rallentino le politiche di consolidamente fiscale, ponendosi riduzione del debito e del deficit come problema di medio termine, per dare maggiore spazio, nel breve termine, a politiche che sostengano la domanda e aiutino una ripresa che le faccia uscire dalla recessione. Il Fondo ha recentemente riconosciuto di avere sottovalutato i moltiplicatori “depressivi” delle politiche di austerità.
2) Anche se apprezzano quanto finora (da loro stessi) fatto, le due istituzioni confermano che rimane molto da fare sulla strada della regolazione del mercato finanziario, anche se divergono dalle proposte del sindacato (ad esempio sulla Tassa sulle Transazioni Finanziarie) e non indicano chiaramente tempi e regole da introdurre per riportare “sotto controllo” la finanza speculativa e ridare capacità di credito verso l’economia reale.
3) Il punto maggiormente negativo – nonostante le affermazioni che pretendono trattarsi di atteggiamenti “pragmatici” e non “ideologici” – rimane l’insistenza – in particolare per l’Eurozona, ma, di fatto, per tutti i paesi sui quali intervengono – su riforme “strutturali”, in particolare del mercato del lavoro, delle pensioni, del pubblico impiego, mettendo pesantemente in discussione la contrattazione collettiva, la stabilità dell’occupazione, le politiche di welfare e dei servizi pubblici. Sarebbero questi – secondo FMI e BM – i principali fattori che spiegano la bassa produttività e competitività dei paesi in sofferenza dell’Eurozona (Spagna, Italia, Portogallo, Grecia, ecc.) e – tanto più di fronte alla impossibilità di muovere il cambio e svalutare la moneta, comune a tutti nell’area euro – l’unica soluzione sarebbe la “svalutazione interna” con la drastica riduzione di salari e livelli di sicurezza sociale. Il che, palesemente, contraddice quanto sostenuto in termini di politiche macroeconomiche e di necessità di rilancio della domanda interna. Sia Kim che la Lagarde hanno ribaito l’impegno e l’interesse della BM e del FMI nel dialogo con i sindacati. “Strategico, costruttivo, dinamico”, l’ha definito Kim, confermando anche la disponibilità al dialogo a livello delle singole nazioni in cui la BM interviene. Kim – al suo primo incontro ufficiale con i sindacati – ha esordito dicendo che il problema più pressante per l’economia globale è la creazione di lavoro, con particolare attenzione all’occupazione giovanile. Ha ricordato il suo recente incontro con Guy Ryder, Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), con la quale la BM collabora anche sul tema del Social Protection Floor (SPF), lo zoccolo universale di protezione sociale. Partendo dal dato che metà dei lavoratori nel mondo sono occupati nell’economia informale, bisogna promuovere allo stesso tempo il welfare, un aumento della produttività e la coesione sociale. La crisi ha alzato la domanda dei paesi in via di sviluppo verso la Banca Mondiale, che intende favorire il rispetto delle norme fondamentali sul lavoro e della libertà di organizzazione sindacale. Secondo Kim, la BM è cambiata dagli anni ’90. Ad esempio, ha preso una posizione molto attiva sul cambiamento climatico. Rispondendo alle priorità del sindacato – occupazione di qualità, protezione sociale, lavori verdi – Kim ha ribadito che la priorità della BM è quella della lotta alla povertà, e che al centro degli interventi nei paesi in via di sviluppo deve stare la questione cruciale dei sistemi di istruzione e formazione per garantire un futuro migliore ai giovani e ai paesi stessi. Ha negato che la BM preferisca e favorisca la privatizzazione di sistemi scolastici, affermando che segue un atteggiamento “pragmatico” su quali siano le istituzioni più appropriate, ma sottolineando il fallimento del pubblico in molti paesi. Il settore privato, secondo Kim, “crea prosperità”, ma la distribuzione del reddito deve andare al 40 % più povero, ai giovani e alle donne. A quanti gli hanno contestato, al di là delle dichiarazioni, una scarsa attenzione al rapporto sul campo con i sindacati, Kim ha replicato che c’è un rapporto tra la BM e la “società civile” e che comunque, per i casi di contestazione delle modalità di intervento, la BM ha implementato un meccanismo formale di raccolta delle proteste. Christine Lagarde, direttore del FMI (intervenuta in video conferenza perchè si trovava sulla via del vertice dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del G20 a Mosca) è partita dalla gravità della crisi e dalla necessità di mantenere una visione globale, mentre la crisi spinge verso il ritorno a politiche locali. “Siamo stati nella crisi negli ultimi 5 anni e non ne siamo fuori anche se è superata la fase più acuta”, ha detto. La realtà, secondo il FMI, è di una crescita molto bassa con particolari problemi nelle economie sviluppate e una modesta crescita nelle economie emergenti. La disoccupazione nel mondo è ancora molto alta, con punte altissime in Grecia, Spagna, e altri paesi europei, specialmente per i giovani. Così come sono ampie le fasce di lavoro informale. Senza contare le categorie fuori dal lavoro, come le donne e i lavoratori più anziani che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro. Per Lagarde, l’obiettivo comune è la riduzione della disoccupazione con migliore e maggiore crescita, sostenibile e con più occupazione. Ma rimane aperto anche il problema del sistema finanziario: “abbiamo dedicato molto tempo alla ristrutturazione del settore finanziario e il lavoro non è ancora finito”, sostiene Lagarde. “Ora dobbiamo focalizzarci maggiormente sull’economia reale, continuando a mantenere l’obiettivo di regolare il sistema finanziario e bloccare il contagio negativo tra finanza ed economia reale, in tutte le sue ramificazioni”. Secondo il FMI, la crescita dev’essere più inclusiva verso i tradizionalmente esclusi dal mercato del lavoro e dalla redistribuzione del reddito, che dev’essere più equilibrata. Il FMI è chiamato ad aiutare i paesi “che non hanno fatto il loro lavoro”, con attenzione alla finanza pubblica e alle situazioni “malate”, di solito di fronte a gravi difficoltà ed emergenze. I paesi del Medio Oriente e del Nord Africa sono tra le priorità nell’agenda del Fondo, di fronte alle grandi trasformazioni. La crescita e le infrastrutture sono critiche per loro. Per quanto riguarda l’Europa, il consolidamento e gli aggiustamenti fiscali sono una necessità. Il FMI riconosce che riducono la crescita e quindi il loro passo deve essere adattato alle circostanze di ciascun paese. In molti casi il Fondo è stato il primo a chiedere modifiche alle politiche di aggiustamento fiscale, come per la Grecia e il Portogallo dove ha chiesto di rallentare l’aggiustamento fiscale. Secondo Lagarde, il Fondo sostiene che il peso deve essere ripartito appropriatamente e bisogna colpire l’evasione fiscale. La Lagarde ha riconosciuto che c’è disaccordo con i sindacati sulle riforme del mercato del lavoro. Il Fondo pensa che sia meglio proteggere i lavoratori che i posti di lavoro, attraverso forme di assicurazione sociale verso i disoccupati. Secondo Lagarde va evitato un mercato del lavoro duale, che protegge i lavoratori stabili, e rende troppo caro rimuovere le loro protezioni, mentre i giovani non riescono ad entrare nel mercato del lavoro se non con posizioni precarie. In Europa i paesi della zona euro non possono muovere i tassi di cambio e quindi l’unica soluzione è la svalutazione interna e la riduzione dei costi: competitività interna e riduzione del costo del lavoro, anche se non necessariamente quello diretto. Alle proposte del sindacato sulla necessità di favorire occupazione stabile e di qualità e attuare politiche che riducano, anziché ampliare, le diseguaglianze, la Lagarde ha risposto che il FMI ha costruito un team intercompartimentale su crescita e posti di lavoro e un comitato consultivo, nel quale intende coinvolgere il sindacato, per valutare le conseguenze delle politiche di consolidamento fiscale su crescita e occupazione e riadattarle alle necessità sociali. Ma insieme al rispetto per le norme fondamentali sul lavoro, il FMI continua ad insistere, in materia di competitività, perchè i salari minimi e intersettoriali siano legati alla produttività, verso l’alto e verso il basso. Nella sessione dedicata all’intervento del FMI in Europa, Ranjit Teja del FMI ha premesso che l’attenzione è dedicata soprattutto all’eurozona, dove l’alta disoccupazione riflette problemi macroeconomici. Dal punto di vista del PIL, l’eurozona è ancora sotto il livello precedente la crisi scoppiata nel 2008. Ma ci sono grandi differenze tra i paesi, come tra la Germania, che è al di sopra di quel livello, e i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che ne sono molto al di sotto. L’incertezza politica e delle politiche economiche riduce la propensione agli investimenti, anche in conseguenza della debolezza delle banche e del credito. L’alto debito (pubblico e privato) riduce la domanda, anche se i diversi paesi hanno problemi di debito diversi tra loro. La caduta della domanda ha anche a che fare con l’incertezza sul futuro dell’euro. Bisogna facilitare la politica monetaria e tenere bassi i tassi di interesse, come sta facendo la BCE; ma questo non si trasmette sempre in tutti i paesi: in Francia e Germania i tassi sono scesi, mentre Italia e Spagna non hanno avuto corrispondente diminuzione dei tassi. Per quanto riguarda l’aggiustamento fiscale, il FMI insiste sul rallentamento del passo del consolidamento fiscale, anche se dove il debito è molto alto c’è la pressione dei mercati. Ciononostante bisogna rallentare le misure di austerità e non porsi l’obiettivo del 3% di deficit pubblico per il prossimo anno a tutti i costi, avendo piuttosto attenzione all’equilibrio strutturale in un più lungo termine. Per quanto riguarda il sistema finanziario, il FMI chiede di ricapitalizzare le banche anche attraverso il fondo europeo (ma finora, secondo Teja, i suoi consigli non hanno avuto molto seguito). Il Fondo insiste anche sulla necessità di riforme dal lato dell’offerta, anche se queste politiche hanno bisogno di tempo e non hanno effetti immediati. Il declino del PIL comporta ovviamente più grande disoccupazione, ma ci sono paesi molto lontani dalla media e quindi sono affetti da altri problemi oltre alla contrazione della domanda come causa della disoccupazione. Le ragioni di questi eccessi nella caduta dell’occupazione sono, secondo il Fondo, la caduta della produttività e la crescita dei costi unitari del lavoro prima della crisi. A partire dalla crisi alcune situazioni sono andate verso la riduzione del costo unitario del lavoro (non l’Italia). E’ difficile che la produttività del lavoro cresca nelle recessioni. Secondo Teja, il FMI non ha un’agenda e un’ideologia sul salario minimo: in Grecia andavano abbassati, in Romania sono stati alzati e devono essere ancora alzati. Teja ha riproposto la politica del Fondo in materia di mercato del lavoro. Va superata la “dualità” determinata dalla difficoltà di licenziamento dei lavoratori permanenti, che andrebbe a detrimento dei giovani. La crescita della disoccupazione avviene soprattutto a spese dei contratti temporanei. Una maggiore flessibilità di aggiustamento dei salari e degli orari deve riguardare tutti i lavoratori, e non concentrarsi sul lavoro temporaneo. La liquidazione e l’indennità di licenziamento sono troppo alte. Bisogna passare alla protezione dei lavoratori, non dei posti di lavoro. Per quanto riguarda la contrattazione collettiva: in tempi normali, c’è un ruolo per la contrattazione centralizzata, ma nei tempi di crisi, siccome nell’eurozona non c’è svalutazione della moneta, bisogna svalutare internamente allo stesso tempo salari e prezzi. Si potrebbe fare attraverso la negoziazione tripartita, ma in alcuni settori bisogna ridurre i salari. Secondo Olivier Blanchard, capo economista del FMI, la maggior parte della disoccupazione viene dalla mancanza di domanda. Mentre il Fondo condivide le richieste del sindacato per la protezione sociale, che è uno stabilizzatore automatico in tempi di crisi, è in disaccordo sulla questione della competitività. Molti paesi periferici devono aumentare la loro competitività e produttività, attraverso il calo dei salari e, di conseguenza, dei prezzi. Anche Blanchard sottolinea la posizione del FMI sul consolidamento fiscale in atto in molti paesi dell’Eurozona. Gli stimoli fiscali fanno crescere l’economia e il lavoro, ma questo dipende dal livello dell’indebitamento dei paesi. Anche Blanchard ha insistito sul ridisegno del mercato del lavoro, partendo da un apprezzamento positivo delle politiche di apprendistato, soprattutto in Germania, e dalla necessità di efficaci politiche attive del lavoro. Ma ha proseguito mettendo sotto accusa l’eccesso di protezioni per i lavoratori stabili in molti paesi europei. Analoga posizione sulla contrattazione collettiva, che dovrebbe favorire l’adattamento verso il basso dei salari. Per Blanchard un plafond nazionale sarebbe utile anche per consentire aggiustamenti nazionali dei salari e dei prezzi, ma va favorita la flessibilità contrattuale a livello di impresa. A loro ha risposto, tra gli altri, Roland Janssen della CES, che ha confermato il nesso tra crescita della disoccupazione e caduta della domanda interna. Il sindacato concorda con la necessità di un rallentamento dell’aggiustamento fiscale, ma chiede al Fondo di dire con chiarezza che gli obiettivi del deficit al 3% o di pareggio di bilancio devono essere rinviati al 2015 – 17, altrimenti l’insistenza sul loro raggiungimento immediato porterà ad un ulteriore aggravamento della crisi nell’Eurozona. La svalutazione interna dei salari non funziona e non può funzionare, anche in considerazione dell’alto debito privato in molti paesi. La deflazione causata dal taglio dei salari forza le famiglie nella povertà e nel maggior indebitamento. Si sta creando una corsa verso il basso tra i paesi europei, come sta succedendo in Grecia, Spagna e Portogallo. Adesso toccherà anche alla Francia, dove i salari, negli ultimi anni sono stati a malapena al passo con la sola inflazione. La fase finale di questo processo sarà il blocco delle esportazioni della Germania, ancora principalmente rivolte agli altri paesi europei, con un’ulteriore deflazione. Le ricette del Fondo su salari e mercato del lavoro confondono la politica dei salari con le politiche di reale aumento della produttività. In un mondo globalizzato non si può competere sul taglio dei salari, mentre le politiche di austerità stanno impoverendo i paesi e bloccando investimenti in qualità, innovazione e competenze, ancora una volta diminuendo le capacità di competitività. L’autonomia della contrattazione è garantita dalle convenzioni OIL ed è costitutiva del modello sociale europeo; le parti sociali, inoltre, conoscono meglio dei governi il mercato del lavoro ed evitano che la determinazione dei salari sia condizionata agli interessi di parte. Quello che sta succedendo oggi in Europa, con una massiccia redistribuzione dei redditi dal lavoro al capitale, non produce nemmeno la volontà di investimento da parte degli imprenditori. La Commissione Europea sta intervenendo per tenere i salari sotto l’inflazione e questo è molto pericoloso e porta alla sola crescita dei profitti, investiti nella finanza e non nell’economia reale. In Europa, tra i lavoratori e le popolazioni, cresce la sfiducia nei governi, nella BCE, nella Commissione e nelle IFI perchè sono solo impegnate a distruggere salari e condizioni di lavoro.
Jan Feb 2013 UNI Finance Bulletin