Intesa Sanpaolo si avvia ad incorporare in via definitiva il Banco di Napoli, appartenente al Gruppo da tempo, eliminando ogni parvenza di autonomia societaria e lasciando a quanto pare soltanto il marchio sulle filiali come mera operazione di marketing e branding. Al di là delle vicissitudini attraversate nell’arco degli ultimi vent’anni, il Banco di Napoli aveva conservato, e a tutt’oggi riveste, un ruolo preminente a sostegno dell’economia locale, nell’attuale forma societaria che la stessa Intesa Sanpaolo volle preservare giusto dieci anni fa, quando era guidata da Passera e Bazoli. Eventuali risparmi di costi, in una misura presumibilmente non eccezionale e ugualmente conseguibili con giusti investimenti e con l’ulteriore snellimento di una governance già di molto ridotta, giustificano del tutto un’operazione del genere? E, soprattutto, questa operazione giova davvero al territorio di riferimento?
In un paese così diseguale ed asimmetrico come il nostro, in cui il divario sociale economico ed occupazionale tra Centronord e Sud rappresenta la madre di tutti i problemi, il sistema creditizio, oltre le annose questioni su indeterminate banche del sud e all’interno di un ondivago processo di globalizzazione sempre meno decifrabile, assume un ruolo vitale per un rilancio concreto della macroregione meridionale.
E se nell’azione efficace di un Gruppo bancario le grandi dimensioni non possono essere separate dal presidio del territorio e dal rapporto diretto e costante con il tessuto economico locale, il ruolo del Banco di Napoli, con una quota di mercato che va oltre il 20 nelle Regioni in cui è presente, ambiva ad avere finora la missione strategica di sviluppare sempre di più la capacità di interagire con l’economia meridionale, per rispondere ad un tessuto imprenditoriale fatto di microimprese, aziende familiari e artigiane, e medie imprese che, nonostante la crisi ancora non del tutto alle spalle, aspirano a crescere e necessitano di accompagnamento sui mercati internazionali (parliamo di circa 10mila società con un fatturato compreso tra i 2,5 e i 150 milioni di euro e quasi 150mila piccoli operatori economici, che rappresentano più del 15% dei clienti del Gruppo: sono i numeri in questo campo del Banco di Napoli, che vanta utili di tutto rispetto).
E questo anche in relazione al modello di Banca dei Territori che Intesa Sanpaolo ha scelto, e non ancora abiurato, come idea vincente, dal momento che fa del radicamento territoriale e della vicinanza alla clientela un primum inderogabile. Un modello che, pur rischiando di impoverirsi quando si limita troppe volte alla sola raccolta di risorse e alla vendita indiscriminata di prodotti, ha mostrato vitalità e buoni risultati, attraverso il Banco di Napoli, anche nel Mezzogiorno. Oltretutto era ed è, quel modello, tale che una sua corretta evoluzione dovrebbe inoltre prevedere in ogni caso la riallocazione equilibrata di quelle risorse e la ricomposizione della presenza sul territorio con la costruzione e l’espansione di centri locali di eccellenza e di direzioni divisionali (ad esempio per il turismo e l’agroalimentare), di punti qualificati di corporate e di finanza d’impresa, attrattori di occupazione di qualità, con ruoli di consulenza e di sviluppo, quali coaguli di intelligenze aziendali capaci di valorizzare le potenzialità complessive esistenti sul territorio, vale a dire prevedere e attuare tutto un insieme di cose che costituiscono il segno effettivo di un radicamento locale per un’azienda bancaria.
Ora, la questione è capire se l’operazione di smantellamento del Banco di Napoli serve di più o di meno al dispiegarsi di una strategia aziendale che vada in quella direzione – strategia che vedrebbe, come sempre ha visto, la Fisac e la CGIL positivamente interessate -, e sicuramente non basta, a questo scopo, l’annuncio di Intesa Sanpaolo di allestire un polo di formazione per le assunzioni a contratto misto nella città di Napoli. Un tale intendimento sembra tutt’altro che sufficiente a stemperare il rischio evidente di un disimpegno del Gruppo su un territorio la cui importanza sistemica non può essere ignorata da un’azienda a vocazione nazionale che ha anche e meritatamente ricevuto attenzione e risorse dallo Stato.
Da tempo si avverte l’esigenza che occorra inserire nel processo economico valori altri. E’ una necessità che vale per tutte le aziende, ma in particolare per le banche. A loro tocca un ruolo più importante rispetto alla società, un ruolo di responsabilità maggiore verso la comunità di appartenenza, con una modalità di gestione disposta ad avere grande sensibilità ed attenzione nei confronti del territorio vivo in cui operano.
Sulla base di queste considerazioni decretare la fine di un istituto di credito di quasi cinquecento anni di età come il Banco di Napoli appare una scelta debole, sbagliata e di respiro corto, di cui il Gruppo Intesa Sanpaolo dovrebbe dare conto al Sindacato e alle Istituzioni, spiegando pubblicamente quale visione compiuta ha del futuro e se tale visione comprende nel suo orizzonte anche il bene del Mezzogiorno d’Italia e quindi dell’intero Paese.
DIPARTIMENTO MEZZOGIORNO FISAC CGIL