Il Progetto REST@Work (Reducing stress at work), finanziato dall’Unione Europea, ha sviluppato interessanti indagini sulle misure, le disposizioni e le politiche attuate in Europa in merito allo stress lavoro-correlato, con riferimento specifico agli otto paesi che partecipano al progetto: Francia, Grecia, Italia, Lituania, Portogallo, Romania, Spagna, Ungheria.
L’indagine è partita affrontando le differenze a livello normativo e di applicazione dell’Accordo Europeo sullo stress sul lavoro del 4 ottobre 2004 e, quindi, in premessa è utile fare una rapida panoramica sullo stato di attuazione dell’Accordo negli otto paesi europei che partecipano, in partenariato, al progetto REST@Work:
Queste le indicazioni relative ai singoli paesi:
- in Italia, l’accordo è stato firmato dalla maggior parte delle parti sociali ed esplicitamente menzionato dal Decreto legislativo 81/2008. Ciò ha reso le sue disposizioni applicabili nei confronti di tutti i datori di lavoro e di tutti lavoratori e non soltanto degli iscritti delle organizzazioni firmatarie;
- in Francia un accordo collettivo è stato firmato dalla maggior parte delle parti sociali più rappresentative, con la significativa eccezione della Confederazione Generale del Lavoro (CGT), ed è stato poi ampliato ed esteso da un Decreto ministeriale del 23 aprile 2009, divenendo applicabile a tutti i datori di lavoro ed a tutti i lavoratori;
- in Ungheria, i contenuti dell’accordo sono stati recepiti nell’ordinamento giuridico a seguito delle consultazioni con le parti sociali, rendendoli vincolanti per tutti i datori di lavoro del Paese;
- in Spagna le parti sociali hanno inserito l’Accordo europeo nel CCNL (ANC) del 2005-2006 e nei successivi rinnovi. Questi accordi sono firmati tra i sindacati e le organizzazioni datoriali più rappresentativi e formulano raccomandazioni e priorità sui contenuti dei contratti collettivi stipulati ai livelli inferiori. Pertanto sono soltanto una fonte per l’eventuale inserimento di clausole specifiche riguardanti lo stress lavoro-correlato negli accordi collettivi. In ogni caso va rilevato che, in assenza di un riconoscimento per legge, gli indicatori, i criteri e gli obblighi derivanti dal contratto sono vincolanti soltanto per i datori di lavoro affiliati alle organizzazioni che hanno sottoscritto i contratti collettivi, mentre gli altri restano vincolati soltanto alla definizione giuridica;
- in Lituania l’accordo è stato introdotto per legge dopo le consultazioni con le parti sociali. In ogni caso, dal momento che la legge non inserisce i rischi psicosociali tra i rischi professionali, ma le Ordinanze precedentemente menzionate sono da intendersi come mere ‘Linee guida’, rientra nella discrezionalità del datore di lavoro se inserirli nella valutazione dei rischi, eventualmente su richiesta del rappresentante dei lavoratori;
- in Portogallo, l’accordo non è stato ancora attuato e non si fa riferimento al concetto di rischi psicosociali nella contrattazione collettiva, né si affrontano rischi analoghi (quali la violenza sul lavoro o le molestie psicologiche). L’Unione Generale dei Lavoratori (UGT), uno dei principali sindacati portoghesi, ha ricordato che una traduzione dell’Accordo in portoghese è stata effettivamente realizzata e diffusa, e che è stato intrapreso un certo numero di iniziative (quali campagne di sensibilizzazione e corsi di formazione). Tuttavia, queste iniziative sono state promosse unilateralmente dai sindacati;
- in Grecia, le parti sociali hanno convenuto di attuare l’accordo a livello nazionale nel quadro del rinnovo del contratto collettivo generale nazionale per il 2008-2009;
- in Romania la versione nazionale dell’accordo, siglato nel 2007, non è più applicabile. Infatti, la Legge 62/2012 ha abolito la contrattazione collettiva a livello nazionale in Romania, la cui efficacia si estendeva in precedenza a tutti i datori di lavoro ed a tutti i dipendenti. Soltanto gli accordi a livello settoriale ed aziendale possono essere vincolanti per le imprese, a condizione che vengano raggiunte specifiche soglie minime di rappresentatività.
In particolare, poi, una parte dell’indagine si è addentrata sul tema del “sistema sanzionatorio” relativo alla valutazione dei rischi, inclusi quelli psicosociali, e ha raccolto informazioni su alcuni strumenti di valutazione nazionali.
Sanzioni e strumenti che sono descritti nel documento, correlato al progetto, in cui viene sottolineato che le diverse modalità di definizione dello stress lavoro-correlato nei diversi contesti nazionali “determinano impatti diversi in termini di sanzioni relative alla mancata inclusione dello stress nella valutazione dei rischi o al fatto di non affrontarlo in modo adeguato”.
Un documento, quindi, che riporta indicazioni sulle differenze europee nel sistema sanzionatorio relativo alla valutazione del rischio stress e presenta alcuni strumenti per supportare il controllo dello stress lavoro-correlato e che conviene analizzare in dettaglio, sia pur rapidamente e limitatamente ai paesi – tra quelli che partecipano al progetto – in cui sono previste sanzioni amministrative in caso di mancato inserimento dello stress lavoro-correlato nella valutazione dei rischi ed il danno causato ai lavoratori dallo stress lavoro-correlato può portare a risarcimenti e sanzioni penali.
In Italia il decreto legislativo 81 del 2008 ha reso obbligatorio un iter di valutazione dei rischi da stress da lavoro correlato, di competenza dei datori di lavoro delle aziende, tenuti a compilare il DVR (Documento di Valutazione Rischio), che deve contenere le seguenti informazioni principali:
- rischi di stress legato al lavoro e criteri su cui si basa la valutazione dei rischi stessi;
- misure preventive adottate;
- relazione sull’organizzazione dell’azienda e l’assegnazione dei differenti ruoli;
- eventuali mansioni specifiche richieste ai sottoposti;
- elenco dei responsabili e rappresentanti per la sicurezza e salute sul lavoro aziendale.
Una superficiale o inadeguata valutazione dei rischi e il diffondersi di casi di stress da lavoro correlato all’interno dell’azienda possono esporre il datore di lavoro a serie conseguenze, quali:
- pagamento di una sanzione compresa tra i 2500 e i 6400 € e arresto da 3 ai 6 mesi per la completa omissione della valutazione dei rischi;
- sanzione dai 2000 ai 4000 € per la redazione di un DVR incompleto o per il mancato ricorso all’RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) durante la stesura del documento;
- sanzione compresa tra 1000 e 2000 € per l’omissione dei criteri di valutazione del rischio.
In Francia il sistema di assicurazione collettiva contro gli infortuni sul lavoro “è stato progettato anche al fine d’incentivare comportamenti proattivi da parte delle imprese, in quanto aumenta o diminuisce in linea con il numero effettivo di incidenti o malattie professionali registrati dall’impresa”.
In Spagna “a seguito del nesso operato dalla giurisprudenza tra stress lavoro-correlato e Articolo 50 dello Statuto dei lavoratori, il lavoratore che soffre di patologie dovute allo stress lavoro-correlato può richiedere la cessazione volontaria del contratto ed il risarcimento monetario previsto per i licenziamenti senza giusta causa”.
In Ungheria la legge “prevede sanzioni amministrative nel caso in cui non vengano adottate azioni preventive. Tuttavia, secondo la Federazione nazionale dei consigli di fabbrica (Mosz), si registra una scarsa applicazione di questa norma, sia in conseguenza del numero ridotto d’ispettori nel Paese che delle preferenze a favore di un ‘approccio morbido’ da parte degli ispettori, che preferisce incentivare le imprese a sanare le violazioni piuttosto che applicare direttamente le sanzioni. Per quanto riguarda i risarcimenti, anche se sono previsti nel caso in cui sia dimostrato il nesso fra stress lavoro-correlato e danni alla salute, si potrebbe non riuscire a comprovarlo in quanto dovrebbe essere documentato dal medico di medicina del lavoro responsabile della società in questione, che in effetti è assunto dalla società stessa, o dagli altri dipendenti che operano nello stesso posto di lavoro”.